Il Teatro vive con i Manhattan Transfer la
prima del Bologna Jazz Festival Bologna, 9 Novembre 2011
Pubblico in estasi nel primo appuntamento del Bologna Jazz Festival. Gli
eterni ragazzini dei Manhattan
Transfer hanno esaltato gli spettatori del Teatro delle Celebrazioni,
che ancora una volta hanno potuto ammirare questi maestri del Jazz, da quarant'anni
sulla cresta dell'onda. "Negli ultimi anni Festival è cresciuto anche in controtendenza
con altri eventi analoghi", ha introdotto orgoglioso il direttore Massimo Mutti.
E' con emozione che ha presentato il gruppo che nel 1981
ha vinto il Grammy Award sia nella categoria jazz che in quella pop, e ha guadagnato
con l'album Vocalese nel 1985 dodici
nomination, un record sorpassato solo da Thriller di Michael Jackson. Il
gruppo è attivissimo e, dopo questa tappa bolognese, sarà impegnato in un tour che
li vedrà negli Stati Uniti fino ad aprile. Si comincia con pezzi classici, come
il famosissimo "I love coffe, I love tea…" dall'album Java Jive. Ma gli spettatori
sono già carichi e di caffè non ne hanno bisogno. Tim Hauser, il leader,
ha quasi settanta anni, è la storia del jazz, ma ha energia che altri ben più giovani
si sognano. Con lo swing di Tisket, il pubblico è stato coinvolto attivamente
a battere il ritmo e si è esaltato all'assolo appassionato di Cheryl Bentyne,
che ha infuso tutta la sua plastica gestualità nel far vivere la musica: quasi un'attrice.
Spazio anche per una dedica: "ci sono due cose che voi italiani fate veramente bene:
il caffè e l'amore. E io ho provato a combinare queste due cose". La sua voce sa
raggiungere tranquillamente vette di alti e bassi in Morning Cawfee: il corpo
si muove come se stesse davvero comoda a casa sua a bersi un caffè assieme al pubblico.
Che ringrazia. È finalmente la volta anche di Janis Siegel: se finora s'era
fatta notare "solo" (si fa per dire) per i suoi versetti scat stile Dalla,
adesso racconta, come fosse tarantolata, la vera storia del SideWinder e
di come si può essere morsi da un serpente. Pure gli altri si divertono a guardare
la sua imitazione. Poi è stata un'escalation: da Bahia, passando per Soul
food to go, per arrivare a Birdland. Tutta l'orchestra a spiegare il
tempo, con applausi sempre più scroscianti. Come in un'estasi nietzscheana, il teatro
si è trasformato in un unico soggetto. E' la Terra degli uccelli? No, per una sera
è stata la terra dei Manhattan.
Il clou del Bologna Jazz Festival: di nuovo
assieme il Pat Metheny Trio Bologna, 12 novembre 2011
Teatro Europauditorium pieno, per quello che il direttore del Bologna Jazz Festival
Massimo Mutti ha definito "l'appuntamento clou". Pat Metheny,
che nella sua lunga carriera ha collaborato con i più grandi artisti della sua epoca,
aveva già suonato assieme a Bill Stewart e Larry Grendadier,
fondando nel 2000 il trio che porta il suo nome.
"E' bello riunirsi di nuovo – dice alla folla il più famoso chitarrista di Kansas
City -, dopo anni, qui a Bologna, assieme a Larry e Bill". Agli inizi è sembrato
più un riscaldamento, come una fase di studio reciproco. Con il pubblico concentrato
e quasi ipnotizzato. La platea, curiosa, ha voluto vedere cos'aveva stavolta il
trio in serbo per lei, e ha assaporato in silenzio ogni minuto, ogni nota, ogni
sfumatura. Ha viaggiato rilassata tra gli arpeggi, scaricando di tanto in tanto
il proprio "entusiasmo" con qualche applauso, più di stima, forse. Poi, Metheny
ha deciso che doveva cominciare a fare sul serio e i suoi fan si sono scossi sempre
più spesso. In vena di sorprese, si è avvalso della chitarra acustica tradizionale,
quella elettrica, la synth o la chitarra baritono.
E il pubblico è tornato "quieto" a scoprire quali effetti ha pronti, per mostrare
tutto il suo apprezzamento. Metheny è sempre un mago e imbraccia la sua chitarra
come fosse la sua amata, e lo è. Se la coccola tutta, si contorce, la corteggia,
segue l'onda delle sue note, balla assieme a lei. Anche Bill Stewart, sempre
in forma, si è prodotto in uno strepitoso assolo di cui tutto il teatro è sembrato
riecheggiare le note e assorbire l'atmosfera. Il terzetto è giunto al massimo dello
sforzo e della concentrazione e il pubblico sembrava quasi non volerlo disturbare,
immerso in atmosfere a volte arabeggianti, altre più psichedeliche.
Metheny ha proposto una summa della sua carriera: il primo successo Bright size
life, poi Change of heart, Soul cowboy, Always and forever,
Question and answer. Fino allo strano esperimento di Orchestrion,
una specie di orchestra tecnologica comandata dalla chitarra. C'è anche stato spazio
per qualche battuta col pubblico: "State dormendo? Ogni tanto cerco i vostri sguardi,
per capire se vi sto annoiando". Con un'ovazione, il pubblico gli dice che va bene
così. "Ora farò Finally for your dreams – incalza Pat -, forse è appropriato
per stasera.". Sì, decisamente è un sogno rivedere finalmente Pat, Bill e Larry
a Bologna.
Il basso di Chrstian McBride fende la nebbia di Vignola Vignola, 15 novembre 2011
Nonostante la nebbia, a Vignola numerosi sono i fan accorsi per sentire Christian
Mcbride. Un evento che ha anche voluto rilanciare l'attività del Teatro
Emanuele Fabbri, il cui motore è stato riacceso di recente dall'Associazione Vignola
Jazz Club, che ha ospitato addirittura la prima tappa del tour europeo del bassista
americano, per la prima volta a Vignola. Il trentanovenne McBride è attivo dal 1995 e ha suonato con artisti provenienti da
vari stili: da Rollins a Queen Latifah, da Metheny a
Uri Caine.
Inoltre, lo scorso ottobre ha duettato con Sting in un concerto di beneficenza in
occasione del 60° compleanno dell'ex leader dei Police.
McBride è partito da lontano, proponendo pezzi del suo primo album, come Gettin'
to it, per poiinterpretare classici del jazz, come Sofisticated lady
e Juicy Lucy. Accompagnato alla batteria da un musicista molto originale,
Ulysses Owens, espressione di estro e potenza. Un piacere anche per
gli occhi vedere come si muove con agio e naturalezza. Mentre al piano si è esibito
una giovane promessa di 22 anni, Christian Sands. Segnatevi questo nome,
perché è probabile che farà strada. Tecnicamente molto bravo, forse all'inizio è
sembrato un po' intimidito. È sembrato quasi (a chi scrive) che avesse imparato
bene la lezioncina, ma fosse ancora alla ricerca del suo personale stile. Il pubblico,
invece, ha apprezzato: speriamo che gli servirà in futuro. E infatti così è stato
questa volta. Dopo un po' si è caricato, grazie anche a McBride che, dal canto suo,
incoraggia, stimola, dà la carica. Dall'esperienza di leader della Big Band con
cui ha realizzato il suo ultimo album The Good Feeling, ha imparato a dirigere
e incoraggiare i suoi uomini, per realizzare un tutto armonico. E infatti si vede,
quando suonano I Mean You, My Favourite Things e la
colonna sonora del musical Killer Joe.
A Vignola con Atakoglu un concerto per viaggi e
sognatori Vignola, 17 novembre 2011
Nella splendida cornice della Rocca dei Contrari si è tenuto l'ultimo concerto della
stagione del Vignola Jazz Club, nell'ambito del Bologna Jazz Festival. A fare gli
onori di casa, Fahir Atakoglu, pianista turco che ha cominciato
ad avere successo in patria negli anni Novanta, con le colonne sonore per diversi
documentari. Dopo aver composto anche la musica per l'Istanbul National Opera and
Ballet, si è spostato negli Stati Uniti, dove tuttora collabora con diversi musicisti
jazz. Da tempo attivo con il batterista Horacio "El Negro" Hernandez, quest'anno
ha anche inaugurato una serie di concerti con il celebre bassista canadese Alain Caron,
con i quali ha in progetto di realizzare un disco.
Atakoglu si è divertito, facendo quasi fatica a stare seduto quieto, tanto era preso
nel vortice della sua musica. Quando anche il resto della squadra si è galvanizzato,
avrebbe quasi ballato, quando si è goduto lui stesso gli arpeggi di Caron. "Jazz is life", usa dire il 46enne pianista turco. E, infatti, in ogni sua espressione,
in ogni suo gesto eloquente è come se avessero vissuto le note. Tenendo la padronanza
assoluta del gruppo, con una mano ha addomesticato il suo piano e con l'altra si
muoveva come se avesse voluto catturare le melodie dei colleghi. I suoi uomini sapevano
cosa devono fare e lui era lì ad aspettare la nota giusta.
Una serata dinamica, in cui è sembrato quasi che Atakoglu facesse uscire le note
dal piano e le assemblasse per farle cantare in un coro vivente. Come in una danza
gitana, è lo sciamano che si agita attorno al fuoco della vita. Invece di predire
il futuro, ha visto le sue note, che sono diventate i colori di Istanbul. Ha ricordato
il padre, ora morto, in Galata, antico ponte di Istanbul che usava attraversare
assieme a lui a 12 anni, quando stava imparando a suonare il piano. Ha descritto
le sue due patrie, la terra dove è nato e quella che l'ha accolto. Con Sync -
op e Gipsy in me, da Istanbul in Blue, ha spiegato il suo
orgoglio per la Turchia: in un simpatico dialogo col pubblico, ha chiesto se qualcuno
c'è mai stato e ha descritto le diverse origini della Turchia, i suoi diversi colori
e i diversi tempi, così naturali da ballare. E poi la vita dei gipsy, tipici personaggi
del suo paese, molto colorati e buoni musicisti.
<<C'è una storia dietro ogni canzone>>, riflette Atakoglu: così, ha proposto il
repertorio di East Side Story, che gli ha dato il successo internazionale,
e del suo nuovo album, Faces and Places, un viaggio musicale avventuroso,
dedicato a coloro che si muovono per seguire i propri sogni, come lui è andato negli
Stati Uniti per amore della musica.
Il Bologna Jazz Festival termina con Bollani, lo Charlot del Jazz Bologna, 19 novembre 2011
Tutto esaurito al Teatro delle Celebrazioni, per la sesta edizione che chiude alla
grande con uno Stefano
Bollani in splendida forma, accompagnato come al solito dai partner
danesi Jesper Bodilsen, al contrabbasso, e Morten Lund,
alla batteria. A introdurre la serata, Giovanni Serrazanetti, storico direttore
artistico della Cantina Bentivoglio: "La terra emiliana ha dimostrato di avere un
cuore che batte a tempo di swing. Bollani è l'unico che ha tre grandi caratteristiche:
il talento, saper fare spettacolo, cosa che pochi hanno. E infine è ironico e intelligente.
Così Bologna vuole omaggiarlo con una rosa, in ricordo di quando ancora non era
così famoso come adesso, ma era già un habitué dei locali bolognesi".
E infatti spettacolo è. Il trio è subito attivissimo e travolge il pubblico. Sembra
di nuotare, di galleggiare leggeri. Nessuno dei tre è passivo, si seguono tutti
a vicenda, pronti ad aspettare ed estrarre la nota a sorpresa. Tra di loro sembrano
dirsi: adesso vediamo che combini, fammi sentire. Alternando pezzi originali e storici
successi pop rivisitati, come Billie Jean di Michael Jackson o la
nostrana Mi ritorni in mente, Bollani picchietta, punge. È vero jazz, vera
improvvisazione. Sembra quasi che debba tenere a bada delle note troppo esuberanti.
Le sue mani sembrano dotate di vita propria, fuori dal suo controllo (per fortuna).
Come Charlie Chaplin in Tempi moderni improvvisava uno swing inventando e
mimando parole, anche stasera si sfiora il cabaret, con mimiche e battute nonsense.
Fin dai suoi primi concerti bolognesi, il 39enne pianista toscano ha imparato che
noi siamo abituati a non buttare via niente, per goderci tutto. E anche lui non
snobba niente del piano. Poteva limitarsi alla tastiera? Poteva, come tanti altri.
Ma lui è Stefano Bollani e, invece, usa di tutto. Se Charlot giocava pure
con i panini, lui dà il tempo con la rosa. E così, nell'agone musicale vola di tutto:
vola lo spartito, vola anche la sua fantasia. Sembra di vedere il Monello,
quando i tre si fanno piccoli dispetti a vicenda.
Il Bologna Jazz Festival è finito, presentando in undici giorni jazzisti famosi
accanto a giovani promesse, a Bologna, Ferrara, Minerbio e Vignola. E, grazie a
Bollani, abbiamo imparato a vagabondare spensierati nella musica: e anche se ci
farà uno sgambetto, atterreremo leggeri sopra il suo spartito.