Rumori mediterranei XXXIV Edizione
Erhuasian summit. verso Est, ai confini del Jazz Roccella Jonica, 12 - 24 agosto 2019
Direzione artistica di Vincenzo Staiano di Vincenzo Fugaldi
click sulle foto per ingrandire
Il festival calabrese ha concluso quest'anno il suo terzo decennio
con un nutrito programma che andava dal 12 al 24 agosto. L'idea di base di quest'anno
era contenuta nel titolo: ERHUASIAN SUMMIT. VERSO EST, AI CONFINI DEL JAZZ. Uno
sguardo rivolto dunque verso l'Est, quello prossimo (i Balcani) e quello remoto,
la Cina, rappresentata dallo strumento di Guo Gan, appunto l'erhu. Molte prime nazionali
e produzioni originali del festival hanno caratterizzato l'edizione.
Le prime quattro serate erano dedicate alla sezione del Roccella Balkan Showcase.
Dalla Macedonia veniva il trio del chitarrista Saso Popovski con un repertorio,
come richiesto dalla direzione artistica, tutto di composizioni originali. Un trio
con contrabbasso e batteria, equilibrato e sobrio, all'insegna di un chitarrismo
jazz moderno che segue i maestri contemporanei della chitarra. Dalla Romania il
pianista Sorin Zlat Jr., accompagnato da una ritmica italo-statunitense (Gianluca
Renzi e Marcello Pellitteri). Zlat è uno strumentista di caratura
internazionale, trentaquattrenne, che viene da una famiglia di musicisti, suona
diversi strumenti ed è pienamente padrone del linguaggio del jazz moderno. Composizioni
originali, un modern mainstream eseguito con stile e rilassatezza da un trio
che dava spazio anche per pregevoli assolo del contrabbasso e della batteria. Nella
parte finale, il trio ha accolto la cantante Mihaela Alexa, moglie del pianista,
e insieme hanno percorso altre atmosfere legate alle radici della loro musica popolare.
Dalla Bulgaria invece il quartetto di Dimitar Liolev, sax alto, accompagnato
da Martin Tashev alla tromba, Biroslav Petrov alla batteria e dal
contrabbassista italiano Massimiliano Rolff. Liolev come Zlat è figlio di
un musicista, è un talento musicale precoce, con ogni probabilità il jazzista di
punta nel suo paese. Il suo jazz contemporaneo, di grande qualità, è ispirato anche
al folk bulgaro, e il gruppo si muove con dimestichezza in territori metrici di
notevole complessità, senza mai perdere il controllo del ritmo.
Altri concerti della sezione: il Napulitan Gipsy Power
degli O'Rom, che hanno ospitato il grande sax tenore di Daniele Sepe, prodottosi
in assolo fenomenali, che a tratti ricordavano Gato. In primo piano la potente voce
di Carmine D'Aniello, il gruppo fonde la tradizione napoletana con quella
balcanica e rom, con propri brani originali e canzoni balcaniche festose e coinvolgenti.
E poi il gospel del quintetto vocale guidato da Samuel Cromwell nel consueto repertorio
di musica religiosa, in sostituzione di un gruppo albanese che non è potuto essere
presente, e una coproduzione tra il festival di Roccella e il vicino Kaulonia Tarantella
Festival, denominata Greek Blue, che affiancava il mandolino del pugliese Marcello
Epifani ai flauti di Carlo Frascà, con l'apporto fondamentale dei jazzisti
Thomas Umbaca (tastiere, berimbau) e Raul Catalano (batteria). Infine
il Mediterranean Quartet del flicornista serbo Stjepko Gut, in alcuni
classici del jazz, saldamente nel solco della tradizione dal jazz moderno.
Da citare a parte il nuovo trio di Claudio Cojaniz, pianista
che risiede per una parte dell'anno a Roccella, che ha chiamato dal Friuli il fido
conterraneo Alessandro Turchet al contrabbasso e dalla Sicilia il batterista
Francesco Cusa. Al trio si è affiancata la voce recitante di Domenico
Campolo, che introduceva i brani declamando con enfasi testi poetici in italiano,
calabrese e greco. I brani originali, nella quasi totalità di recente composizione,
tutti profondi e poetici, sono stati eseguiti con una classe senza pari, con il
pianoforte e il contrabbasso che si integravano alla perfezione, mentre Cusa interagiva
da par suo con la consueta creatività, con ritmi mai banali e colori ottenuti mediante
l'utilizzo di oggettini di ogni genere. Tra influenze provenienti dalle origini
balcaniche, da un Africa vissuta in prima persona, e soprattutto dal blues, linguaggio
che Cojaniz padroneggia come pochi, e dall'amato Thelonious Monk, il concerto si
è concluso tra meritatissimi applausi.
Le serate al Teatro al Castello si sono aperte con l'Orchestra
Rumori Mediterranei, in collaborazione con il Conservatorio di Cosenza. Diretta
da Nicola Pisani, l'orchestra schierava una gran quantità di ottimi solisti,
tra i quali citerei almeno i sassofoni di Alberto La Neve e Francesco
Caligiuri, la tuba di Oscar De Caro, la chitarra di Massimo Garritano.
Ospite la cantante pop pugliese Serena Brancale. Il progetto, collaudato
in apposite prove, ha presentato diverse atmosfere, da brani di Pisani ad altri
della Brancale, a composizioni e brani tradizionali di matrice etnica, ad altri
tradizionali di area balcanica. Sul finale una composizione originale di Pisani
(Roberta and Myself) che confluiva nella notissima Our Spanish Love Song
di Charlie Haden.
Il secondo concerto, altra produzione originale, ha visto l'incontro
tra il pianista Antonio Faraò (con Amen Saleem al contrabbasso, Bruce Ditmas
alla batteria), il sax soprano di
Dave Liebman
e l'erhu di Guo Gan. Guo Gan, vero virtuoso dello strumento, cinese residente
a Parigi, non è nuovo a collaborazioni con jazzisti, e ha mostrato come il suo strumento
tradizionale cinese, per certi versi assimilabile al violino ma totalmente diverso
nella sua conformazione essendo privo di tastiera, capace di riprodurre anche suoni
della natura, poteva integrarsi con il jazz di altissima qualità del gruppo di Faraò.
Un concerto che rimarrà negli annali del festival. Dopo l'iniziale shorteriana
Footprints e una composizione originale di Faraò nelle quali il quartetto
ha mostrato una grande classe esecutiva, con un Liebman in stato di grazia, Guo
Gan si è inserito nel gruppo con un brano in duo col pianoforte, il lirico Syrian
Children, poi con un brano in solo entrambi di struggente bellezza, per integrarsi
compiutamente nell'ensemble nell'esecuzione, tra l'altro, di una suggestiva versione
del coltraniano India.
Crimson! è un interessantissimo e perfettamente riuscito
lavoro sulle musiche del principale gruppo del progressive rock britannico,
i King Crimson, ancora pienamente in attività dopo mezzo secolo. Il Delta Saxophone
Quartet (Pete Whyman, contralto; Chris Caldwell, baritono;
Christian Forshaw, soprano; Tim Holmes, tenore), in attività dal 1984,
si muove con dimestichezza tra musica contemporanea, jazz e rock. Nel 2016 il quartetto
si è dedicato, in collaborazione con il conterraneo pianista Gwilym Simcock,
un musicista che sta riscuotendo notevoli successi grazie alla gran mole di progetti
nei quali è impegnato in prima persona, appunto alla musica dei King Crimson. Simcock
è particolarmente titolato ad arrangiare questo materiale per aver suonato con il
batterista Bill Bruford. Crimson! è una realizzazione di grande qualità, che si
avvale di validissimi arrangiamenti del pianista, con una scrittura che valorizza
le notevoli doti dei componenti del quartetto, lasciando anche ampi spazi per il
pregevole lavoro del pianoforte. Le qualità solistiche e d'insieme del quartetto
si sono rivelate formidabili, così come quelle del pianista, che a momenti dirigeva
il quartetto a cappella lasciando il pianoforte.
Impegnata a promuovere il suo recente «Letters to Bach»,
Noa, di casa a Roccella, dove si è esibita più volte, era affiancata dal
fedele Gil Dor alla chitarra, Or Lubianiker al basso e Gadi Seri
alle percussioni. La parte centrale del concerto era focalizzata sul progetto bachiano,
inframezzato dalla lettura delle pregnanti lettere scritte al compositore, ma all'inizio
e alla fine l'artista ha riproposto alcuni fra i suoi più noti successi, da Mishaela
a I Don't Know, escursioni nella canzone napoletana (Santa Lucia),
e ha suonato a lungo il suo set di percussioni, con la verve e l'energia che la
caratterizzano, colloquiando amabilmente con l'uditorio, concludendo con un inatteso
Roccella Jonica Blues.
Bojan Z ha omaggiato la propria cultura originaria balcanica con un formidabile
e inedito trio insieme al trombettista greco Pantelis Stoikos e alla cantante
bosniaca Amira Medunjanin. Stoikos è uno dei trombettisti più creativi dell'intera
area balcanica, e la Medunjanin una grande interprete della tradizione canora della
sua terra. Il trio dai perfetti equilibri ha pienamente convinto, grazie alle potenti
acrobazie trombettistiche di Stoikos (molto suggestivo anche al flauto) e alla solida
guida di Bojan Z, ispirato e profondo nella esecuzione dei canti tradizionali bosniaci,
dalle melodie a volte tristi e a volte fortemente ritmati, tutti ugualmente coinvolgenti.
Affiancando il pianoforte al piano elettrico, Bojan ha anche eseguito la sua travolgente
composizione Le Debacle. Bojan Z, che ha ricordato di aver già suonato a
Roccella ben ventisette anni addietro (era la magica edizione dedicata all'etichetta
d'oltralpe Label Bleu), ha confermato ancora una volta di essere uno dei pianisti
di punta del jazz europeo.
Il secondo concerto della serata è iniziato con African Market,
un brano eseguito in sestetto da Claudio Cojaniz (oltre al pianista, i componenti
del suo nuovo trio Turchet e Cusa e inoltre Massimo Garritano alla chitarra,
Carmelo Coglitore al sassofono e Domenico Ammendola al clarinetto),
una bella composizione di ampio respiro, una formazione interessante che potrebbe
avere un seguito, sono salite sul palco le voci nere di Samuel Cromwell. Il gruppo
gospel ha eseguito alcuni brani noti e meno noti del genere, affiancato successivamente
da alcuni coristi locali, e accogliendo infine l'intero sestetto di Cojaniz, stavolta
alla tastiera, per un paio esecuzioni dense e movimentate.
La serata conclusiva della trentanovesima edizione di Rumori mediterranei è iniziata
con un progetto multimediale della Tai No-Orchestra, Omaggiando Gaber,
Jannacci e Cage. La base audiovisiva era costituita da un filmato che ruotava
intorno al tema dei limoni, con riferimento alla canzone di Gaber e Jannacci
Una fetta di limone. Al contempo, sul palco, l'orchestra, suddivisa in tre trii,
costruiva il proprio gioco improvvisativo intorno a brandelli ripetuti della voce
di Gaber giocando intorno a fraseggi che a tratti richiamavano il tema, con padronanza
del linguaggio dell'improvvisazione radicale. Alternando momenti leggibili ad altri
più concitati e liberi, l'ensemble si è caratterizzato, oltre che per i voli solistici
dei fiati, per gli interventi ludici di Monico e l'apporto di Prati.
Ottimo infine il concerto di chiusura: in prima nazionale, il Clifton AndersonSextet (oltre al leader al trombone, Antoine Roney-sax tenore e soprano,
Tadataka Unno-pianoforte e piano elettrico, Belden Bullock-contrabbasso,
Ronnie Burrage-batteria e Victor See Yuen-percussioni). L'agguerrito
gruppo, costituito da musicisti tutti intorno ai sessanta anni a eccezione del giovane
pianista giapponese, propone un modern mainstream di grande qualità, vivace
e gioioso, che ruota su un repertorio di brani originali del leader (nipote e collaboratore
di Sonny Rollins)
e su pochi standard (In A Sentimental Mood, Without a Song).
Jazz fresco, vincente, ricco di colori, suonato con tecnica e sentimento da tutto
il gruppo, a partire dall'instancabile leader e dalla batteria di Burrage, uno dei
musicisti più richiesti per la potenza della sua carica ritmica.