Jazz al Metropolitan 2003/2004
S axophone
Summit
23/10/2003 – Palermo, Teatro Metropolitan
di Antonio Terzo
photo by
Antonio Terzo
Dave Liebman, Joe Lovano, Mike Brecker
Phil Markowitz (pn)
Cecil McBee (cbs)
Billy Hart (dr)
Tre anime per uno solo strumento. Questa, in sintesi, potrebbe essere l'esperienza che si trae dopo aver assistito al Sax Summit, il progetto musicale cui protagonisti sono tre giganti dell'ancia jazz, Dave Liebman, Joe Lovano e
Mike Brecker, a Palermo per la rassegna "Jazz al Metropolitan".
Liebman presenta subito la band che assiste il terzetto, Phil Markowitz al piano, Cecil McBee al contrabbasso e Billy Hart alla batteria. E ci si chiede subito che effetto faranno tre solisti che suonano contemporaneamente, e per di più lo stesso strumento: probabilmente si accavalleranno l'un l'altro alla ricerca di quella spettacolarità che guadagni ad uno soltanto di loro il favore del pubblico, l'applauso più partecipato e caloroso.
Invece, già dal primo brano,
Loudly
dello stesso Liebman, i tre dimostrano un insolito perfetto equilibrio. Brillantemente sostenuto dallo scoppiettante
drumming di Hart, il primo solo è per Lovano: nonostante la rapidità, la sua intonazione è incredibile, poderoso il suono, scattante il fraseggio. Segue il tenore di Liebman, sul quale i compagni tracciano all'unisono un disegno contrappuntistico di grande pregnanza. Squillante e, se possibile, ancora più rapido e impetuoso è il suo lessico, intriso di tremoli e vibrati che a quella velocità denotano una maestria tecnica incredibile perfino ai presenti.
Quindi è il turno di Brecker, più lirico e meditativo, ma non per questo meno fantasioso e incisivo degli altri. Paragonabile quasi ad un cicaleccio l'elegante interludio solistico di
McBee, mentre Hart sciorina una vorticosa varietà di registri, dalle vibrazioni di piatti, agli accenti del rullante, ai tonfi di tom e cassa. Un acerbo growl di Liebman segna la chiusura del brano sul cui finale tutti e tre i sax players insieme sembrano lo spaccato di una bigband. Grande l'applauso tributato all'ineguagliabile grinta percussiva di Hart,
ed è proprio questi a staccare
Flights of Fancy
di Joe Lovano, con un break pirotecnico in cui dialoga con ogni singolo pezzo della sua batteria-orchestra. Gli si sovrappone in duo la voce melodica dell'autore, quindi lo scambio con
McBee e poi l'ingresso del soprano di Liebman e del tenore di Brecker. Ma ancora, anziché un caos di confusi suoni e cadenze, emerge una lucida esposizione ed una profonda conoscenza reciproca, e si comprende che l'intesa si fonda sull'identità di sensazioni degli esecutori. Andamento molto swing con una malinconia da blues nell'intervento del sassofonista italo-americano, che adesso viene affiancato da Brecker, il quale gli si avvicenda producendo un pregevole vibrato su note velocissime: alla fine il suo sax appare spossato!
Appena accennato, quasi impalpabile nel ruolo di supporter, il piano di
Markowitz in monologo è invece molto agile, con lunghe e ripetute scale cui fanno da sfondo l'indomito
Hart ai mallets ed il robusto contrabbasso di McBee all'archetto: l'atmosfera adesso è quasi onirica per la coda di Liebman, Lovano, e Brecker.
Senza nulla togliere agli altri brani, sicuramente quello che meglio ha evidenziato la luminosa alternanza degli individuali approcci estetico-stilistici dei tre fiatisti è
The 12th Man, una composizione di Markowitz già solo per questo tracimante. Dopo un intimo inizio sulle spazzole di Hart e l'ostinato ripetersi di due sole note da parte di McBee, le articolazioni pianistiche cedono il passo a Brecker, artefice di un sapiente uso degli spazi per dare respiro al proprio strumento prima di lanciarsi, in improvvisazione, dietro al ritmo sbilenco dell'ipnotico loop in 7. E' poi la volta di Liebman, che grazie al soprano interpreta il medesimo tema melodico con un mood radicalmente diverso, più slanciato,
le frasi in verticale che svettano su sovracuti da fuori rigo. Ancora mirabili spunti propulsivi provengono dalla ritmica di Hart, a precedere la lettura più pacata e pastosa di Lovano, la quale esalta un inaspettato groove dai toni funky.
Finale per tutti, dopo l'inciso, adagiato sui gravi del contrabbasso.
A ridosso di Gathering of Spirits
di Brecker, l'esecuzione più free della sequenza, più al di fuori degli schemi tonali, la session incalza con la celebre
India, un immancabile omaggio a John Coltrane, innovatore del tenorismo jazz cui i tre protagonisti dichiaratamente s'ispirano. L'inizio è affidato a Hart che con l'impiego delle mazze ovattate crea un surreale microcosmo sonoro. L'atmosfera è quasi bucolica con
Liebman al flautino, Lovano al flauto traverso e Brecker al legno di un elegante ed austero flauto dritto. Un intreccio di leggere e gradevoli voci paniche, molto rilassanti, quasi new-age. Poi Liebman imbraccia il soprano e, accompagnato dai due amici, dà corpo all'essenziale linea motivica del pezzo.
Markowitz svolge un assolo di gran livello tecnico, molto sentito, su cui Lovano sfodera un bassethorn, strumento particolarissimo, che tanto nella forma quanto nel registro costituisce una via di mezzo tra clarinetto e sax: e la sua versatilità timbrica si attaglia perfettamente allo stile energico e dinamico che il sassofonista riserva alla sua esecuzione. Al proprio turno Brecker si esibisce in un'esposizione improvvisativa fantasiosa all'inizio e spettacolare alla fine, mentre i compagni danno conto all'unisono della trama della melodia, accompagnando in ensemble il solista verso il finale del capolavoro
coltraneiano.
Un lungo applauso risponde ai ringraziamenti dei tre sassofonisti e del gruppo, i quali si concedono quasi subito al bis, con la combinazione di altre due composizioni di "Trane",
After the rain
ed Expression, i tre mattatori a condividerne le linee melodiche,
le dissonanze controllate: ciascuno secondo il proprio timbro, ciascuno secondo
le proprie corde, tutti compenetrati contribuiscono a tratteggiare la propria
parte della composizione generale, che così ne risulta arricchita.
Sebbene sia mancata la dimensione dello scontro, del chase, della disfida fra i tre protagonisti, che, troppo scontata per quanto interessante, avrebbe forse appesantito di eccessiva spettacolarizzazione l'avvincente set, il concerto, già annunciato come un confronto fra tre diversi linguaggi interpretativi, non ha affatto disatteso le aspettative della nutrita platea di ascoltatori, incentrandosi tutto sulle tensioni e distensioni dinamico-espressive di cui sono stati artefici i tre superbi esponenti del moderno tenorismo jazz, coadiuvati peraltro da una sezione ritmica di notevole spessore tecnico che ha reso ancora più godibile la performance.
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Data pubblicazione: 27/10/2003
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