Il gelo atmosferico di Milano non è riuscito a fermare la musica
e soprattutto il pubblico del
Blue Note,
arrivato numeroso ad ascoltare il Trio di
Lorenzo Tucci,
che presentava il suo progetto "Tranety": omaggio del batterista a
John Coltrane.
E bisogna dire che sarebbe stato impossibile soffrire il freddo, perché è stata
questa una serata di musica di alto livello artistico, divertente, energica ed intensa.
Come hanno fatto Tucci, Filippini e Bulgarelli ad ottenere questo risultato? Il
segreto è che Tucci, con "Tranety" non vuole "replicare" Coltrane. Piuttosto, emozionalmente,
vuole trasmettere al pubblico ciò che Coltrane ha significato per lui. Ecco perché
non occorre un sassofono. Occorre un batterista, anzi occorre Tucci per capire cosa
Coltrane ha significato nella propria carriera di musicista.
Qual è il punto d'incontro tra due
strumentisti così apparentemente distanti? La risposta è semplice. Il punto d'incontro
è la musica. Com'è facilmente intuibile, in "Tranety" gli spunti ritmici sono infiniti,
tanto che alla fine ci si augura che qualcuno abbia registrato il concerto per poterne
cogliere tutto ciò che è potuto sfuggire ascoltando estemporaneamente. Ma di sicuro
varietà ritmica non è equivalso allo spadroneggiare della batteria, che non ha fagocitato
dunque suoni, atmosfere, dolcezze e giochi armonici. Tucci ha dalla sua una tecnica
prodigiosa, il che vuol dire avere un perfetto controllo delle bacchette e dello
strumento per asservirli completamente all' istinto, alla musicalità, e dunque all'
espressività. Inoltre sa essere "melodico" e persino "armonico". E infatti nel primo
brano in scaletta, "Moment's Notice" la melodia è cominciata proprio con il suo
lungo solo introduttivo, al punto che è arrivato senza stacchi l' intreccio con
le note del pianoforte, al momento dell' entrata elegantemente espressiva di
Claudio Filippini.
Tucci è un leader autorevole e certo non autoritario. Suggerisce
il clima, senza imporne i volumi o le complete fattezze, guida ma ascolta: ne conseguono
episodi di musica sempre connotati da grande energia, estrema varietà, ma anche
di squisita gradevolezza sonora. Sia essi siano costruiti essenzialmente su armonie
sospese (come ad esempio l' intro di Filippini in "Wise One", in cui il tema emerge
da un ostinato e in cui la batteria destruttura invece di regolamentare), sia nel
caso del Latin più accattivante e contagioso, il feeling si percepisce chiarissimo.
Naturalmente questo è possibile anche perché Filippini e Bulgarelli sono musicisti
sensibili ed esperti di un linguaggio non semplice. Non c'è un solo spunto che venga
da loro accolto acriticamente. Tutto il materiale viene estemporaneamente ricreato
dal pianoforte e dal contrabbasso. Nell' aria la musica è tanta e forse emoziona
proprio per questo. E allora in "Afro Blue" Tucci, dopo un' intro
ad alto volume, sa ritrarsi per far prevalere il pianoforte che deve esporre il
tema, per poi ritornare ad un drumming pienissimo (sorprendente il suo rullante):
il che porta Filippini ad un pianismo sanguigno e percussivo, alla Chucho Valdes,
ma senza gli eccessi che a volte gli ensemble cubani raggiungono. Espressività,
raffinatezza, niente esasperazioni stilistiche. E questo perché, dall' inizio alla
fine del concerto, Coltrane è sempre lì. Se c'è un episodio energico è perché l'
atmosfera è quella dei soli pazzeschi di un sassofonista che ha saputo essere lirico,
nostalgico, rabbioso, disperato, felice, in una parola espressivo. E' l' essenza
di Coltrane.
E' musica e in cui può accadere di tutto, ma nulla è casuale. E' divertente persino
guardarli in faccia questi tre musicisti che si divertono si sfidano, si spalleggiano
e si sorprendono a vicenda.
Durante "Hope, brano originale firmato Tucci, si capisce quanto lo stesso ami armonie
ed atmosfere serafiche. Non è un brano ritmico, anzi è quasi introspettivo, ed è
il pezzo più sognante e impalpabile di tutti. Ed è proprio la batteria che lo rende
così metafisico, anche nei momenti più intensi. Il ritmo ed i battiti servono a
sublimare il contesto armonico, ed è Filippini (e non Tucci) con il suo solo che
decide l' intensificarsi del volume e dello spessore sonoro.
E' importante sottolineare che al
Blue Note sono
andati in scena il Blues, il Latin, il Jazz più soft delle ballad, la Black Music
in tutta la sua pienezza. C'è stata persino l'atmosfera orientale di "After the
rain", con una intro di batteria descrittiva, quasi "onomatopeica" dei rumori della
pioggia: suoni cristallini ottenuti con pregevole cura dalle bacchette di Tucci
sui piatti, un intensificarsi di tintinnii naturali che si sono via via di nuovo
alleggeriti fino all' entrata di Filippini, tutta giocata su affascinanti pentatonismi,
abilmente supportato da Bulgarelli e dal suo contrabbasso.
Forse il segreto di Tucci è regalare alla batteria combinazioni sonore quasi infinite:
sa benissimo che ognuno degli elementi che compongono il suo strumento ha un proprio
suono assoluto ma anche molti suoni "relativi" dovuti al contrasto che si ottiene
percuotendo abilmente ogni elemento in successione all' uno o all' altro. Il rullante
percosso prima del piatto dà un particolare suono a quest'ultimo, che cambierà se
suonato in successione ad un altro piatto. Questa sapienza lungimirante può disegnare
suoni diversi a seconda di una loro progressione fortemente voluta rispetto ad un'
altra: per ottenerla bisogna sapere tutto del proprio strumento.
Quando si suona così, la differenza si sente anche se non si è esperti di musica,
o di jazz. Gli applausi arrivano perché si sono provate emozioni: tutte, dal divertimento,
allo stupore, alla gioia, alla malinconia. La musica vera, questo ottiene. E così
è andata al Blue Note.