Intervista a
Michel Camilo
9 marzo 2006, Blue Note - Milano
di Marco Losavio
foto di
Alberto Gottardelli
Grande
attesa al Blue Note
per i concerti del funambolico pianista Michel Camilo. La sala è gremita
e per chi ama il pianismo di Camilo sicuramente le aspettative sono state
soddisfatte. Accompagnato dal fido Charles Flores al contrabbasso e dal giovane
Dafnis Prietto alla batteria,
Camilo
ha iniziato il concerto con
Cocowalk estrinsecando
subito l'energia sprizzante che lo contraddistingue. I due partner lo seguono assecondando
i molteplici obbligati ritmici anche se inizialmente sembrano mancare della calma
e della rilassatezza che il leader invece possiede. Così anche in
Two of a kind e
Hello & Goodbye. Gli occhi
del batterista sono continuamente puntati su Camilo alla ricerca di un'intesa
che seppur lievemente sfuggente nei primi brani diventa poi perfetta se non addirittura
incredibile. Prietto si è completamente rilassato e segue perfettamente tutta
la musica diventando, fino al termine, addirittura l'elemento più convincente. In
Remembrance emerge la
vena classica del pianista di Santo Domingo che si evince nel tocco e nelle armonizzazioni.
Tutto ciò fa da preludio alla conosciutissima
On Fire sulla quale tutti
"viaggiano spediti" e raccolgono i meritati applausi. Seguono
Why not! e
Twilight Glow fino ad un
acclamatissimo bis con St. Thomas.
Camilo ha confermato di possedere un pianismo ritmicamente possente, secco
nel tocco, perfetto nell'"arrotolare" gli accordi, armonioso e sensibile
nelle ballad ma sempre "micidiale" nell'infilare con estrema nitidezza ogni
nota. E' lui che comanda, è lui che senza guardare quasi mai la tastiera incrocia
gli sguardi dei "discepoli" guidandoli come un "capo branco". Il contornarsi
di giovani talentuosi procura certamente a Camilo nuova linfa da cui attingere
ed esternare il suo smodato amore per la musica. Amore che ci conferma durante l'intervista,
rilasciataci molto gentilmente tra il primo e il secondo set, da cui emerge anche
un Camilo molto cordiale, che vive il suo rapporto con l'arte in modo intenso e
totalitario.
M.L.: Cosa vuol dire
suonare il piano oggi per Michel Camilo?
M.C.:
Oh, per me suonare il piano significa la famiglia, perchè tutto ciò che ricordo
è correlato con la musica. Ho iniziato a suonare a 4 anni e mezzo e se penso alla
musica penso ai miei nonni, ai miei genitori a mio zio, a mia sorella. La mia famiglia
è composta tutta da musicisti e compositori. Quindi suonare il piano per me significa
la mia vita. Non posso immaginarmi senza piano.
M.L.:
Dopo un paio di note, chiunque
può riconoscere che si tratta di Michel Camilo. Come può un musicista costruire
un proprio suono, una propria voce?
M.C.:
Credo che la cosa più importante sia
imparare e conoscere la tradizione. Una volta che si è compresa la tradizione e
si ha rispetto per essa allora si può esplorare il proprio suono e la propria interiorità,
la propria anima per individuare ciò che di particolare ha. Penso che la cosa principale
sia fare ciò che i Maestri sempre dicono: ricordare a se stessi di ascoltare ciò
che si fa e cominciare a renderlo luminoso, come un diamante e se ascolti lentamente,
lentamente troverai te stesso. Un grande musicista, Count Basie, mi disse.
"Non dimenticare di guardarti nello specchio così coglierai ogni tua espressione
e conoscerai chi sei". Inoltre, penso sia realmente importante non dimenticare
da dove si proviene.
M.L.:
Hai suonato in diverse situazioni:
orchestra, combo, trio e, infine, anche in piano solo. Come hai deciso di suonare
in solo?
M.C.:
Nella storia del piano jazz, ogni
pianista, almeno una volta, ha registrato un album in piano solo. Penso sia importante,
penso che sia il linguaggio più intimo nel jazz e l'ho presa in modo molto serio,
ho impiegato sette anni per farlo. Ho voluto esplorare qualcosa che fosse in grande
contrasto con tutti gli altri miei lavori. E' realmente qualcosa di diverso dal
mio suono usuale e quello che ho voluto fare, sperando di esserci riuscito, è anche
di sorprendere i miei fan e di individuare nuovi elementi da sviluppare nel lavoro
successivo. Ed è arrivato al momento giusto, dopo un doppio album live, riconosciuto
con un Grammy, molto importante per me (ndr. Live at Blue Note), dopo vent'anni
che ho lavorato in trio, mi sentivo pronto, inoltre mi ha dato l'opportunità di
lavorare sulle sfumature ma al tempo stesso di avere anche molta libertà. Quindi
è stato il momento più giusto, dopo il grande trionfo del
Live at Blue Note...e mi
son detto che se sono in grado di fare questo, probabilmente è possibile non trovare
particolari definizioni alla mia musica, non trovare soluzioni, ruoli per il futuro.
M.L.:
Questo album è come una trilogia
per i tre gruppi di brani scelti (jazz, originali e brasiliani) ma anche per le
tre maggiori influenze del tuo stile: classico, jazz e latino. Quali sono i principali
aspetti che emergono da queste tre influenze mentre suoni?
M.C.:
La musica classica ti da la conoscenza
del modo in cui la musica scorre, il suo flusso, come dovrebbe essere sviluppata
l'architettura di una tua composizione e ti indica come utilizzare quella conoscenza
per fare in modo che tu possa suonare meglio e anche come si possa suonare meglio
con gli altri. Come si può vedere, utilizzo molta dinamica nel mio trio e tutti
i tipi di contrasti tra le sezioni derivano dal mio background classico. Dal jazz,
naturalmente, emerge la possibilità di comporre in tempo reale, la creatività e
la sfida di ciò che non si conosce, di arrivare dove non si sapeva di arrivare.
Infine dal latin prendo il ritmo, l'eccitazione, l'intensità emotiva, la passionalità
e poi prendo anche l'aspetto romantico...daltronde il termine "latin lover" è abbastanza
esplicativo e non si può negarlo. Quindi questi tre mondi normalmente coesistono
nella mia musica, a volte il jazz diventa più importante, a volte è il latin ad
emergere e l'aspetto classico viene fuori nel mezzo delle ballad, come in Remembrance,
ad esempio, che è anche il secondo movimento del mio concerto per piano in una versione
differente ovviamente. Quindi è bello vedere la mia musica come un triangolo, ho
anche inciso un album dal titolo
Triangulo, dove ogni angolo
ha la stessa importanza mentre a volte qualche angolo diventa più importante, o
meno importante e la cosa bella è che ciò cambia costantemente. Nell'album
Solo, c'è una leggera differenza
perchè oltre l'aspetto latin c'è quello brasiliano. Mi ritengo molto fortunato ad
aver incontrato compositori e musicisti veramente grandiosi in Brasile. Sono stato
diverso tempo in Brasile e amo la loro musica.
M.L.:...meravigliosa
la versione di Luiza...
M.C.:
Oh, grazie, è uno dei pezzi che preferisco, è molto bello...
M.L:
Giusto per continuare con la metafora
del triangolo: tre cambiamenti che ti piacerebbe vedere nel mondo musicale...
M.C.:
La prima cosa è aprire le porte dei grandi spazi in cui poter fare musica, i grandi
teatri, le grandi hall. Una nuova cosa che sta accadendo negli ultimi cinque anni
è che mi invitano a suonare in grandi teatri e penso sia molto importante per il
futuro della musica convogliare grande e nuovo pubblico intorno alla musica. Inoltre,
il suonare con orchestre sinfoniche, come è capitato a me, può aiutare ad attrarre
nuovo pubblico che magari non sa che il jazz può piacergli mentre invece il jazz
a loro piace e quando ascoltano questi concerti rimangono sempre molto ben impressionati.
Ogni volta che suono con un'orchestra, i primi 20/25 minuti suono in piano solo
ma non suono musica classica come Chopin, Beethoven, suono jazz e il pubblico gradisce
molto anche per il fatto che ascolta un piano acustico, senza amplificazione, sentono
la vibrazione della musica, mi ritengo molto fortunato a poter suonare in questi
contesti ed è per questo che ho registrato l'album
Rhapsody in Blue, per attrarre
più gente alla nostra musica, alla musica jazz. E questo ho ritenuto che potesse
avvenire con Gershwin perchè egli ha saputo muoversi in entrambe le parti,
classica e jazz.
Un
altro cambiamento è relativo alla didattica. penso che ci debbano essere molte più
master class. In questo ultimo periodo sono molto coinvolto nell'insegnamento. L'ultima
volta che sono stato in Italia, ad Umbria Jazz, ho tenuto una master class e tutti
erano lì che cercavano di carpire informazioni. Penso che ogni musicista dovrebbe
trasmettere la tradizione, le proprie nozioni alle nuove generazioni. Non ci sono
segreti nel jazz pertanto dobbiamo trasmettere ciò che sappiamo alle nuove generazioni
molto più di quanto sia stato fatto nel passato. Ed è quello che personalmente cerco
di fare nelle università e nei conservatori in giro per il mondo in cui insegno
trasmettendo tutto perchè i giovani hanno bisogno di qualcuno che gli dica queste
cose per la prima volta pertanto mi piacerebbe vedere anche molti altri miei colleghi
coinvolti in questa attività.
E l'ultimo cambiamento riguarda la comunicazione. Abbiamo bisogno di essere
supportati e seguiti molto di più dai media, dalla televisione. Negli anni passati,
i grandi maestri come Duke Ellington, Dizzie Gillespie, Count Basie,
erano spesso in televisione, al cinema, fornendo così non solo l'opportunità di
essere ascoltati ma anche di essere visti. E ciò è importante per noi e dovremmo
vivere nuovamente quei tempi, avere più visibilità sui media, coinvolgere le masse.
Sono stato molto fortunato ad aver partecipato a due film e sono stato in televisione
in Italia, Francia, Germania ma penso che se fosse di più sarebbe meglio perchè
creerebbe più pubblico. L'aspetto visivo è importante, la gente può vederti, può
vedere il tuo look, come stai sul palco, come senti la musica, come interagisci,
il tutto diventa più fisico, si entra in contatto maggiormente con l'animo di chi
suona. Quindi, con un maggiore supporto di televisione e cinema, ci sarebbero molti
risvolti positivi per questa musica.
M.L.:
Un'ultima domanda. Puoi raccontarci
qualcosa riguardo l'esperienza di suonare con la grande orchestra di Barcellona
nel tuo ultimo album?
M.C.:
Ho una metafora per descrivere questa
esperienza. Letteralmente, è come se nuotassi nel suono. L'orchestra emette il suo
suono che non arriva direttamente al pubblico. Prima di arrivarvi, essendo il solista,
il suono ti avvolge e passa prima attraverso te, è una sensazione incredibile, bellissima.
Specialmente quando ti sei guadagnato il rispetto dell'orchestra, i musicisti suonano
per il solista. Ancora una volta, mi ritengo davvero molto fortunato ad aver suonato
varie volte con orchestre in giro per il mondo e il 99% delle volte è un'esperienza
meravigliosa. I musicisti dopo la prima prova....in genere alla prima prova sono
tutti scettici perchè si trovano dinanzi un pianista jazz, loro che sono tutti musicisti
classici...ti guardano circospetti: "Ma suona? Legge le parti?". Loro tutti hanno
la parte scritta. E quando si inizia a suonare, dopo il primo pezzo, normalmente applaudono.
E così tutta la diffidenza sparisce e si parte a fare musica insieme. Non
c'è niente di simile è realmente un'esperienza incredibile. Addirittura, alla prova
successiva, alcuni di loro vengono da me per farmi autografare un disco e diventiamo
amici, per sempre. Ricordati, se dovessi vedere un concerto con un'orchestra, poni
attenzione a come i musicisti ricevono il solista, come esce dal palco, è la chiave,
se i musicisti applaudono con l'archetto... da ciò dipende se sarà una bella performance...
M.L.:
Grazie Michel, sei stato molto
gentile...
M.C.:
Grazie a voi, è stato un grande piacere.
..::Le foto del
concerto e dell'intervista::..
15/11/2009 | I Triad Vibration al Blue Note di Milano: "Una bellissima serata, il sound dei Triad Vibration è coinvolgente, energetico, ipnotico, riporta alle radici...si passa da contaminazioni jungle, tribali, funky, etniche a influenze world music, jazz, latin jazz, blues, e addirittura house." (Eva Simontacchi) |
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Data pubblicazione: 15/04/2006
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