Dave Holland Quintet
24 Novembre 2006 – Padova – Teatro Verdi
Dave Holland, contrabbasso
Chris Potter, sax
Robin Eubanks, trombone
Jason Moran, piano acustico e tastiere
Nate Smith, batteria
Dopo il previsto tutto esaurito per
Ornette
Coleman, il teatro Verdi sfiora il bis con il quintetto di
Dave Holland,
che presenta a sorpresa una variazione: il pianista Jason Moran prende il
posto del vibrafonista Steve Nelson. I musicisti sono ormai affiatati da
tempo e questo cambio minimo sembra ininfluente relativamente al risultato sonoro.
Se non che, il fraseggio di Moran apporta un qualche cosa di nuovo perché
costringe gli altri a seguirlo nei suoi tentativi di liberarsi da scelte scontate
e da una certa schematicità. 5 i brani in scaletta più un bis per un unico set lungo
quasi due ore. E' una musica piacevole, che non dà fastidio, quasi un jazz easy-listening,
ma le emozioni sono assenti. Perché? Eppure i musicisti sono di indubbio valore.
Però, allo stesso modo che dall'ascolto dei dischi, ad un certo punto ci si "stufa".
Si apprezza del leader la presenza, il suono pulito e corposo, gli assolo ordinati.
Di Eubanks l'applicazione tenace. Chris Potter lo preferiamo al tenore,
quando alterna timbriche calde ad altre nasali, che possono ricordare Garbarek,
mentre nei solo al soprano sembra indulgere in un fraseggio spezzettato, alla ricerca
di un qualcosa di significativo che invece non arriva. Piace il piano non invadente
di Moran, anche nell'appendice elettrica, perché sembra avere qualcosa da
raccontare. Preciso Smith, privo però di un suono che lo contraddistingua.
Intendiamo dire che ascoltando il suo percuotere, anche dopo un po' di tempo, non
avvertiamo una particolare personalità e/o originalità. I solo sono "banalmente"
funkeggianti, anche se per fortuna non sovrasonori, ma troppo lunghi. Ciò nonostante
suscitano le maggiori ovazioni del pubblico. Che dire ancora? La musica non si allontana
da un moderno Mainstream, basato su un funky moderato o una bossa-jazz, come nell'ultimo
brano "Like it seven", del batterista, che ti
alletta, ti metti a seguirlo e… sei lì che aspetti qualcosa che purtroppo non arriva.
Claudio Fasoli e la Civica Big Band di
Milano
25 Novembre 2006 – Teatro Verdi – Padova
di Giovanni Greto
Direzione, arrangiamenti: Riccardo Brazzale
Composizioni, sax soprano e tenore:
Claudio Fasoli
Tromba:
Enrico Rava
E' stato l'appuntamento del teatro Verdi, scelto per i concerti di maggior
richiamo, più disertato dal pubblico. Eppure, nonostante la timidezza e il timore
iniziale, il concerto è cresciuto brano dopo brano, mostrando una big band vogliosa
di suonare, in grado di interpretare tecnicamente ed espressivamente le composizioni
di
Fasoli, direttore artistico del Padova Porsche Jazz Festival,
il quale, per la prima volta, ha presentato un proprio progetto all'interno della
rassegna. Due parole sulla Civica Big Band. Nata nel
1996 nell'ambito dei civici corsi di jazz dell'Associazione
culturale Musica Oggi, l'orchestra si è presentata a Padova con 11 fiati – 8 allievi
più i docenti Roberto Rossi al trombone, Giulio Visibelli al sax contralto
ed Emilio Soana alla tromba -, una sezione ritmica composta da
Paolo Birro,
unico elemento esterno, al piano, Marco Vaggi al contrabbasso e Tony Arco
alla batteria, entrambi docenti e due solisti ospiti,
Fasoli ai sassofoni soprano e tenore ed
Enrico Rava
alla tromba. Nel corso degli anni l'orchestra ha costruito una vasta letteratura,
incidendo tre CD per la Soul Note, guardando senza preclusioni l'intero universo
jazzistico – comprendendo anche le proposte che giungono dall'Europa – e afroamericano.
A dirigerla al Verdi, anziché l'abituale pianista e compositore Enrico Intra,
è stato chiamato il vicentino Riccardo Brazzale, che dal
1989 ha fondato e dirige la Lydian Sound
Orchestra, ispirata all'organico della storica "Tuba Band" di Miles
Davis, ma rivitalizzata da un approccio estetico contemporaneo. In quasi un'ora
e mezza l'orchestra ha cercato di far rivivere alcuni momenti della carriera di
Fasoli, andando qua e là negli anni, come ha affermato lo stesso
Brazzale nel corso della serata. Si è partiti da un trittico, per così dire
una suite in tre movimenti, il primo e il terzo – "Mister"
e "B" – con riferimenti all'ambiente musicale
balcanico, pieni di fervore ritmico, il secondo,‘Adagio",
legato ad atmosfere mediterranee e italiane. Il pezzo, molto lento, e che dà il
titolo all'ultimo CD del sassofonista veneziano, si avvale, nell'esposizione del
tema, del timbro caldo e penetrante del tenore, assecondato dall'attenzione della
sezione ritmica, in cui spicca per corposità il contrabbasso. Sembra una musica
per viaggiatori, intenti ad attraversare ampi spazi o a vivere esperienze fondamentali
nella ricerca di un punto di arrivo o forse del significato dell'esistenza. Eseguita
la suite, Brazzale introduce
Rava
che, da qui in avanti, suonerà fino alla fine. Il primo pezzo è un delicato 6/8,
in cui i due solisti –
Fasoli al soprano – sono affiancati dai soli piano e contrabbasso.
Il tema è una melodia di 8 misure, ripetute forse troppe volte durante le circolari
improvvisazioni che seguono l'ordine tromba, soprano e pianoforte. Ancora un inizio
di piano e tromba, che si avventura in parecchi sovracuti, commentati stavolta dalla
batteria, in "Icona", un pezzo tratto da un
disco inciso originalmente da
Fasoli con
Rava
e Franco
D'Andrea. C'è un che di onirico che si ripete. La band entra in punta
di piedi e, mano a mano che il pezzo si evolve, circonda i solisti con sempre maggior
partecipazione. Il concerto sta decollando e raggiunge il suo climax ascendente
in "Fly", risalente agli anni
'80, che alterna il latino allo swing, in "Complain",
che riporta ad atmosfere orchestrali care a Stan Kenton, in "Praima",
un 3/4 in cui c'è spazio per la sezione ritmica con un lungo assolo di pianoforte,
mentre
Fasoli esibisce un suono che oseremmo definire coltraniano. Conclusione
affidata ad "Azurka", un esempio, sottolinea
Brazzale, dei molti temi di
Fasoli, cui è stata tolta la lettera iniziale. E' un brano molto
lungo e tematicamente vario, con degli azzeccati riff ritmici che permettono ai
fiati di far sentire la loro necessaria presenza e contrassegnato da accelerazioni
e rallentamenti perfettamente inseriti nei diversi assoli. Applausi festosi inducono
i musicisti ad un bis di 16 misure nel quale anche gli altri fiati dell'orchestra
possono dire con eleganza la loro. Ed è bella la presentazione finale di ogni insegnante,
caposezione, dei rispettivi allievi.
Mino Cinelu Solo
26 Novembre 2006 – Padova – Caffè Pedrocchi ore 12 e 30
di Giovanni Greto
Nella sala Rossini dello storico locale patavino c'è una nutrita coda
fin dalle 11 per assistere al concerto finale – gratuito previa prenotazione telefonica
e da tempo esaurito – del Padova Porsche Jazz Festival. Nel bailamme
che ne scaturisce, molti resteranno fuori. I più fortunati assistono ad un'esibizione
salottiera, casalinga, come forse succedeva nei tempi antichi, quando l'unico mezzo
per ascoltare la musica erano le riunioni riservate a gente di un certo ceto sociale.
Mino Cinelu si propone di far viaggiare musicalmente chi lo sta ad ascoltare.
Segue una scaletta di una decina di pezzi, mutandone l'ordine, lasciandosi trasportare
dall'istinto del momento. Parte alla chitarra elettrica, eseguendo una medley in
memoria di
Michel
Petrucciani, "Petit Prince" e "See
Yea Salee Yea", il primo tema solo strumentale, il secondo cantato in
francese, malinconicamente melodico e dalla struttura circolare ripetibile ad libitum.
Mino passa poi alle congas, suonate in piedi, tentando di evocare lo spirito di
Miles Davis ai tempi di "Jean Pierre". Nel brano seguente il musicista
parigino di origini martinicane improvvisa su una base registrata sempre uguale.
Prende ora uno shaker, ora un pão da chuva, un triangolo, batte le mani e
dai piatti passa alla batteria, dopo aver stoppato la base, eseguendo un assolo
jazzistico con elementi marziali, nel senso del tempo di marcia. Un breve frammento
al cajon con cordiera ha l'effetto di spaventare una bambina, ma amabilmente
Mino le si rivolge e l'agitazione si affievolisce. A questo punto Cinelu
sta per attaccare una canzone con il piano elettrico, quando si accorge che in un
angolo del salone sta riposando un pianoforte acustico. Non resiste all'impulso,
si alza ed esegue un pezzo sulla situazione del pianeta, canticchiato in francese.
Trasferimento repentino al piano elettrico e, con l'ausilio di un clapping del pubblico,
Mino presenta "Cold is the night", un blues
con venature gospel, che fa parte della colonna sonora del film "la Californie"
del regista esordiente Jacques Fieschi, adattamento di un romanzo di George
Simenon "Chemin sans issue". Grandi applausi per un breve intervento all'Udu
drums, un vaso di ceramica percosso a mano nuda, e conclusione affidata alle percussioni
– congas, timbales, batteria, campanacci, artigli - su una base di rumba che vira
in batucada brasileira e sfuma dolcemente in un'ipnotica melodia strumentale, ricreata
elettronicamente, dell'arcipelago indonesiano. Applausi calorosi convincono il Nostro
a due bis, il primo al piano elettrico, il secondo "Feels
like Winter", alla chitarra, che fa parte del soundtrack citato.
Che dire? Cinelu lo conoscevamo solo in veste percussionistica,
in quei felici album dell'ultimo rientro sulle scene di Miles Davis. E' una
persona gentile, un amabile intrattenitore, suona con garbo svariati strumenti,
però non c'è un particolare coinvolgimento in chi lo sta ad ascoltare. Certo, il
solo fatto di riuscire a fare un concerto in solitudine, rappresenta già un merito
indiscutibile. Riuscire a catturare l'attenzione senza tediare per poco più di un'ora
è però un obiettivo non ancora raggiunto. Comunque complimenti e, ascoltando anche
il soundtrack citato, la strada di compositore per musiche da film è senz'altro
da continuare.
18/08/2011 | Gent Jazz Festival - X edizione: Dieci candeline per il Gent Jazz Festival, la rassegna jazzistica che si tiene nel ridente borgo medievale a meno di 60Km da Bruxelles, in Belgio, nella sede rinnovata del Bijloke Music Centre. Michel Portal, Sonny Rollins, Al Foster, Dave Holland, Al Di Meola, B.B. King, Terence Blanchard, Chick Corea...Questa decima edizione conferma il Gent Jazz come festival che, pur muovendosi nel contesto del jazz americano ed internazionale, riesce a coglierne le molteplici sfaccettature, proponendo i migliori nomi presenti sulla scena. (Antonio Terzo) |
15/08/2010 | Südtirol Jazz Festival Altoadige: "Il festival altoatesino prosegue nella sua tendenza all'ampliamento territoriale e quest'anno, oltre al capoluogo Bolzano, ha portato le note del jazz in rifugi e cantine, nelle banche, a Bressanone, Brunico, Merano e in Val Venosta. Uno dei maggiori pregi di questa mastodontica iniziativa, che coinvolge in dieci intense giornate centinaia di artisti, è quello, importantissimo, di far conoscere in Italia nuovi talenti europei. La posizione di frontiera e il bilinguismo rendono l'Altoadige il luogo ideale per svolgere questo fondamentale servizio..." (Vincenzo Fugaldi) |
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Data pubblicazione: 09/04/2007
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