Intervista a
Caudio Fasoli
di
Marco Losavio
Claudio Fasoli,
sassofonista, compositore, docente...decano della musica jazz, dagli inizi della
sua carriera ad oggi continua nel suo viaggio di scoperta della musica caratterizzandosi
soprattutto per un'apertura culturale di ampio spettro che lo porta oramai ad essere
un vero e proprio punto di riferimento per molti.
M.L.: Quando ha preso
in mano il primo sax Fasoli e...perchè proprio il sax?
C.F.:
Sono nato e vissuto a Venezia, in una famiglia dove la musica si ascoltava
tutto il giorno, dalla mattina alla sera, ed era sempre musica classica di ottimo
spessore; da ragazzino ho studiato un po'
il
pianoforte, poi ho sentito
Lee Konitz e il sax alto è diventato il mio strumento prediletto
che ho cominciato a studiare intorno ai miei 15 anni. Mi piaceva anche Paul Desmond,
senza dimenticare naturalmente Charlie Parker e molti altri. Questa influenza
è stata definitiva e mi è capitato di scherzarne con Lee in varie occasioni. Per
lui nutro tuttora un enorme rispetto e ammirazione. Vivo a Milano da molti anni
ma quello è un periodo che mi è molto caro.
M.L.: Hai collaborato
con molti musicisti grandiosi...c'è qualcuno che ti ha lasciato il segno?
C.F.: Credo onestamente che non ci sia musicista che non mi abbia dato qualcosa
di importante quando si è suonato insieme:ho avuto la fortuna di trovarmi sui palcoscenici
o in sala di registrazione con personalità assai significative e forse quello che
mi ha sempre colpito è stato la loro onestà intellettuale nel contribuire attivamente
a miei progetti, nel dare sempre il loro contributo originale per realizzare quello
che desideravo. Questa sostanziale serietà e disponibilità è la più bella conferma
che mi abbiano dato un po' tutti, da Wheeler a
Rava,
da Stanko a Schoof, da
D'andrea
a Jenny Clark a Oxley etc.
M.L.: Hai suonato in
moltissimi paesi del mondo. Riguardo il jazz e il modo di approcciare il jazz, quali
differenze ti senti di voler sottolineare tra l'Italia e gli altri paesi?
C.F.: La differenza positiva è che in Italia ci sono una valanga di ottimi
musicisti che stanno tracciando vie interessanti e innovative da anni, mettendo
a punto progetti coinvolgenti e degni di ascolto: tutto ciò non avviene dappertutto
ed è merito di questi talenti ma anche delle opportunità di studio se ciò avviene.
Il negativo è che dall'altro lato questo fenomeno venga ignorato dalla Tv,
forse un po' meno dalla radio dove la passione di pochi ottiene spazio per la nostra
musica.
Chi
latita totalmente sono le Istituzioni italiane che ben poco fanno per favorire questo
linguaggio artistico.
M.L.: Sei uno dei principali
attori del jazz italiano degli anni '70, dal famosissimo Quintetto "Perigeo" con
Franco D'andrea
e Giovanni Tommaso, a Gaslini...Vuoi raccontarci un po' il clima artistico
di quegli anni?
C.F.: Ci si credeva tanto in tutto quello che si proponeva, ma però anche
adesso non è molto diverso: l'intensità del coinvolgimento propositivo non è minore
oggi rispetto a ieri. Però sembrava che qualcosa potesse cambiare in senso innovativo
in tutti i campi, sembrava di respirare aria nuova, che non si potesse tornare indietro
ai soliti luoghi comuni...
M.L.: Parliamoci chiaramente...il
jazz di quell'epoca è spesso giudicato non benissimo soprattutto da chi ha vissuto
il jazz in Italia dal dopoguerra fino agli anni
'60. Molta politica, il
jazz-rock, il free in cui ci si poteva "confondere"...una sorta di "confusione artistica"...Tu
come la pensi, oggi?
C.F.: Forse poteva esserci
"confusione artistica" come dici tu, ma sostanzialmente voglio credere che ci fosse
anche tanta buona fede. La buona musica comunque resta buona in ogni circostanza,
anche se viene suonata sotto manifesti politici o altro; dall'altro lato non saranno
i manifesti o le intenzioni a fare di una cattiva musica una musica necessariamente
apprezzabile.
M.L.: Oramai il jazz
lo possiamo definitivamente considerare come cultura acquisita anche dai musicisti
non americani. Secondo te si sta dando qualcosa in più al jazz, un segno di evoluzione,
o siamo sempre fermi a quello che i grandi della storia, per lo più americani, hanno
fatto?
C.F.: Ti ho già dato una risposta prima. Comunque i grandi maestri americani
cui ti riferisci non ci sono più ma possono stare tranquilli perché il loro contributo
alla definizione delle grandi esperienze espressive degli anni passati non potrà
mai esser messo in discussione e la loro influenza è tuttora importante e formativa.
Però secondo me è in Europa che si gioca oggi la evoluzione più articolata e propositiva
nell'ambito del Jazz. E in questo ambito le sorprese e i motivi di curiosità certo
non mancano. Basta guardarsi attorno, anche senza andare troppo lontano.
M.L.: Ritieni importante
la conoscenza della tradizione?
C.F.: Non solo è importante
ma è indispensabile; senza storia non si va da nessuna parte e non c'è linguaggio
artistico che non tenga conto del passato, magari in negativo in certi casi, però
ne tiene conto. E' una sorgente indispensabile di conoscenza e una guida sicura
sul piano formativo del linguaggio. Certo non è tutto ma è una garanzia di apprendistato
mirato ad una maturità futura. Poi dipende naturalmente da quanto uno ci lavora
ed elabora.
M.L.: Un musicista del
passato a cui ti senti di rendere omaggio…
C.F.: Non è facile nominarne "uno", è più facile citarne alcuni…da Bach
a Chopin, da Alban Berg a Debussy, da Vivaldi a
Bix a Basie, da Jelly Roll Morton a Armstrong, da
Parker a Coltrane a Dexter Gordon, da Bill Evans a Elvin
Jones, da Paul Chambers a Tony Williams a Miles Davis,
da Bud Powell a Monk a Rollins a Art Taylor, etc etc
etc...
M.L.: E uno del presente
che ritieni di citare?
C.F.: Anche qui non "uno" ma alcuni….Kenny Wheeler e
Wayne Shorter per suono e composizioni, Mick Goodrick e
Lee Konitz, Hal Crook e Paul Motian,etc.
M.L.: Da uno come te
ci si aspetta molta schiettezza…come sta il jazz oggi a livello internazionale?
Chi in particolare promuovi e chi invece bocci?
C.F.: Non mi piace come poni la domanda, anche perché non c'è nessuno da
promuovere o da bocciare, non mi piacciono le classifiche, anche se potrebbero supportare
capacità di giudizio o di identità in chi ne manca,
credo
nella onestà espressiva dei musicisti di jazz in particolare e degli artisti in
generale, ma soprattutto credo che ci debba essere molto rispetto per tutti coloro
che si impegnano fortemente per esprimere le proprie emozioni a livello artistico.
Detto ciò, posso aggiungere che il jazz secondo me è ben lontano dall'esser morto,
anzi è vissuto sempre con grande intensità da chi lo fa e da chi lo ascolta. Ci
sono certamente meno soldi ovunque per questa musica, però non credo che ci si debba
preoccupare più di tanto, troverà sempre modo di sopravvivere, è una forma estremamente
vitale perché muove grandi emozioni.
M.L.: Suoni in organici
di vario tipo: dal solo sax fino all'orchestra passando da trii a quartetti e combo
vari...Esiste una situazione in cui senti di identificarti meglio e che preferisci
particolarmente e perchè?
C.F.: Sono tutte circostanze affascinanti, se ci pensi bene...comunque il
solo ma soprattutto il piccolo gruppo, tipo il trio, sono le situazioni che prediligo:
per quanto riguarda i vari tipi di trio credo di avere fatto esperienze con ogni
tipo di organico possibile. A questo proposito vorrei menzionare l'attuale
Gammatrio con Paolo Birro
al piano e Rudy Migliardi al trombone, insieme ai quali mi accingo ad andare
il sala di registrazione per la quarta volta, non mi era mai successo prima. Il
Cd "Episod" appena uscito
sta raccogliendo recensioni assai lusinghiere proprio in questi giorni sulle pagine
di riviste specializzate...Il piccolo gruppo lascia spazio, crea anche silenzio,
consente il momento di riflessione come pure il momento di incandescenza, è flessibile,
richiede concentrazione ma può dare risultati sorprendenti, imprevedibili e assai
curiosi. Secondo la mia esperienza questo ambito è il più esigente ma anche il più
fertile, paradossalmente.
M.L.: In varie occasioni,
hai offerto la tua musica e la composizione estemporanea per cartoons, lettura di
testi...se non avessi fatto il musicista in quale altra forma artistica ti saresti
probabilmente espresso?
C.F.: Mi intrigano tutte le situazioni, anche quelle rischiose e trovo sempre
una via per essere in buona relazione con altri linguaggi. Se avessi dovuto scegliere
altre forme espressive mi sarei dedicato alle arti figurative o meglio alla fotografia
nello specifico.
M.L.: Un canzone del
cuore...quella che ti emoziona particolarmente...
C.F.: In genere preferisco suonare brani miei. Fra gli standards più frequentati
mi piace ancora "Stella By Starlight".
M.L.: Parliamo ora un
po' di didattica. Hai partecipato a
Siena Jazz sin dagli inizi,
così come ai corsi della Civica Scuola di Milano, oltre che presso i Conservatori...qual
è secondo te la situazione della didattica in Italia oggi e se ritieni l'offerta
sufficiente in base alla domanda...
C.F.: Credo che la domanda trovi offerte sufficienti e di buona qualità didattica.
Per quanto ne so io, qui in Italia moltissimi docenti sono soprattutto musicisti
attivi sulla scena nazionale e internazionale e quindi questo è una qualità impagabile
perché porta gli studenti a contatto con la realtà musicale vera, non libresca;
ogni musicista porta la sua esperienza e questo è insostituibile: Questo avviene
anche in Francia, in Lussemburgo, in Germania etc. Mi sembra diverso negli USA dove
l'insegnante fa soprattutto l'insegnante e basta, un po' come nei Conservatori in
Italia.
M.L.: Ma un giovane che
voglia fare (o capire se possa fare) il musicista, che percorso deve scegliere?
Seguire solo il proprio istinto o rivolgersi presso strutture di insegnamento.
C.F.: Il mio suggerimento è quello di fare capo a qualche struttura didattica,
soprattutto se le informazioni dicono che è affidabile.Ci possono essere dei rischi
didattici se si è sfortunati di incontrare un insegnante poco capace, ma comunque
credo sia meglio che fare tutto da soli, anche se questa via, assai più dura, può
garantire maggiore libertà da condizionamenti, ci sarebbero però alcune precisazioni
da fare.
Dipende
molto dall'intelligenza di chi sarà l'insegnante che si incontra. E dalla voglia
di apprendere e studiare e lavorare ed elaborare ed ascoltare di chi impara.
M.L.: Oggi però, insegnano
moltissimi musicisti, praticamente tutti...come si potrebbe fare per "certificare"
(tra molte virgolette) la capacità di insegnamento?
C.F.: Possiamo definirla la domanda da un milione di euro. Nessuno può "certificare"
la capacità di insegnamento, solo lo studente che capisce ed è contento e matura
e cresce e realizza. Oppure no.
M.L.: Dirigi il festival
di Padova dal 2003, vuoi parlarci un po' dell'edizione
2005 che si terrà a novembre e dei suoi 4 temi?
C.F.: Quest'anno presentiamo
due piano-solo di grande rilievo:
Franco D'Andrea
e Bobo Stenson, che è molto difficile che si esibisca in solo. Poi al Teatro
Verdi sentiremo
Mccoy Tyner con un grande trio,
Dee Dee Bridgewater
col progetto francese e infine il Quartetto di Kenny Wheeler. Ma prima e
dopo, al Caffè Pedrocchi ci saranno le sezioni "Italiani in Europa" e "Americani
in Europa", fra l'altro con Ed Neumeister 4et, Judy Niemack
4et e Glenn Ferris Pentessence 5et. Concluderemo domenica mattina alla
Sala Rossini con il duo Trovesi-Coscia.
M.L.: Hai incontrato
ostacoli che ti va di "denunciare"? Chi invece ti ha dato una mano?
C.F.: Come tutti potrei dirti che ho trovato solo ostacoli…. o l'opposto.
Le situazioni, gli interlocutori non sono mai quelli che si vorrebbero incontrare
e quindi è necessario avere una forte determinazione in ciò che si vuole realizzare,
essere molto intransigenti con se stessi per raggiungere gli scopi nei quali ci
riconosciamo. Se un ostacolo ti ferma allora mi sembra che l'energia non sia proprio
quella necessaria a produrre risultati, ma questo vale in tutti i campi. D‘altronde
chi non trova ostacoli sulla propria strada ??
M.L.: Se diventassi "Ministro
della Musica"…quali sono i primi tre provvedimenti che cercheresti di attuare…?
C.F.: Devo darti atto che
alcune domande sono assolutamente originali...I primi tre provvedimenti sarebbero:
1) un forte impulso istituzionale ai linguaggi artistici contemporanei più penalizzati
dalla presente situazione di mercificazione, quali Musica Contemporanea e ovviamente
il Jazz a livello di media e Società di Concerti.
2) un forte impulso istituzionale agli scambi musicali con i paesi più attivi
in questo senso, Europa e Estremo Oriente, con investimenti promozionali rilevanti
per esportare Cultura Contemporanea e non solo Opera.
3) Fondare una o più etichette discografiche statali in grado di rappresentare
le esperienze contemporanee e sostenerle sul piano della diffusione a prezzi politici
anche fuori i confini per consentire l'aggiornamento su quanto si fa nel nostro
paese.
M.L.: Cosa contiene l'agenda
futura di Fasoli?
C.F.: Musica...
M.L.: Cosa non contiene
e desidereresti invece scriverci?
C.F.: Trovare Elvin Jones dietro la batteria, o Tony Williams,
che mi aspetta per suonare, sento anche la loro assenza...Trovare meno luoghi comuni
sul Jazz come ancora ne circolano qui da noi. Vedere musicisti più sorridenti e
contenti della propria attività e valorizzazione. Vedere giovani musicisti che oltre
a studiare tanti libri ascoltassero anche molti concerti e Cd.
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Data pubblicazione: 08/10/2005
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