Venerdì 26 marzo, Imola (BO), Teatro Comunale Ebe Stignani, Ore 21:15
Paolo Fresu – tromba, flicorno, effetti
Uri Caine – pianoforte
prima europea
Massimo Zaniboni (sax) Simone Calderoni (basso) Mauro Gazzoni
(batteria) Matteo Zaccherini (piano) Joya Gurioli (voce)
Centro Sociale CAPOLINEA Faenza 27 marzo 2004
di Mattia Bergamini
Due concezioni di jazz a confronto. E allo stesso tempo due modi antitetici di rapportarsi con gli standard più importanti/ingombranti del genere. Da un lato due colossi si sganciano dai classici in modo consumato visionario definitivo, dall'altro lato un quartetto di giovani vi si agganciano in modo appassionato, scalando le cime del bop come i ragazzi scimmia del jazz cantati da Paolo Conte.
La prima europea del duo
Fresu –
Uri Caine è uno degli eventi centrali della splendida rassegna
Crossroads, capace da cinque anni di accostare i nomi celebri del jazz italiano (e internazionale), ad artisti altrettanto validi ma meno conosciuti, talvolta completamente fuori dagli schemi (un esempio: il Mototrabbasso di
Lullo Mosso – bassista solista, sotterraneo e surreale, in programma il 25 aprile al The House di Modena).
La tromba di
Fresu e il pianoforte a coda di Uri Caine disegnano nell'aria del
Teatro Ebe Stignani di Imola paesaggi inconsueti, dove le note stillano dalle mani di Uri Caine come da laghi ghiacciati che cominciano a sciogliersi. E quando
Fresu dirompe con note lunghissime, e il lago si scoglie in un torrente dove il dorso dei pesci brilla di effetti elettronici, allora il respiro della sala gremita s'interrompe. Quando
Jelly Roll Morton, che si vantava d'esserne stato l'inventore, disse che "il jazz è uno stile con cui si può suonare musica di tutti i tipi", certo non poteva immaginare questi risultati.
Un certo "classicismo" radicato nella mente di Uri Caine, insieme alla sua infinita conoscenza del jazz, e
Fresu che si contorce sulla sua sedia, alzando in aria il flicorno o piegandosi e rasentando terra con la tromba, ed anche la postura delle gambe pare orientata alla ricerca del suono perfetto. Muove una manopola e il suo si riverbera all'infinito, poi mette la sua tromba sulle corde del piano di Uri Caine, e le mani del pianista producono come d'incanto un groviglio di note cristalline. Nel groviglio talvolta emerge il tema di qualche standard jazz, come uno scheletro impolverato. I riferimenti al jazz valgono quanto quelli alla musica classica o elettronica (Miles Davis, Bach e
Sigur Rós): potrebbe essere il requiem per un genere che muore (o che muta definitivamente).
Ma se il jazz non muta, può sopravvivere (almeno in provincia) nell'entusiasmo dei giovani. Al Capolinea di Faenza un quartetto più voce destinato a far strada. Conduce il bravo sassofonista
Massimo Zaniboni, con lui Simone Calderoni (basso) Mauro Gazzoni
(batteria) Matteo Zaccherini (piano), e la voce vellutata di Joya Gurioli
in
. Ci propongono - in versioni parzialmente riarrangiate - grandi pezzi della storia del jazz, e piccole gemme. L'attitudine del gruppo è fortunatamente priva degli intenti didattici da Dams Orchestra, ma si accosta ai ritmi caldi del bebop, quando il jazz era ancora musica da ballare – da sentire innanzitutto con il corpo, e poi con la mente.
Il pubblico è - sì - vagamente distratto, ma è proprio il mescolarsi delle voci con il fumo e con la musica, gli alcolici e i tentativi di danza, e tutto quello che si trova sempre più di rado nei concerti jazz (che ormai appartengono più ai teatri che ai club), è tutto questo che ci fa rifluire nel sangue una musica viva, purificata da inutili concettualismi, dove il basso e il ride della batteria si riprendono il "tempo", sax e piano sono liberi di vagare per le note di