La stanza di Luca
di Massimiliano Cerreto
«Napoli è sempre stata una grande fucina di talenti nel campo dell'arte, un grande patrimonio da preservare, un tesoro con mille e più pietre preziose che brillano. (…) Il tesoro di Napoli esiste ancora. E questo lavoro di Luca Gianquitto è una reale conferma di tutto ciò. E' una piccola gemma di questo grande tesoro…» (Antonio Onorato)
Difficile non essere d'accordo con quanto sostiene Antonio Onorato, uno dei più grandi talenti chitarristici del nostro Paese. Napoli è davvero una città ricchissima di talenti artistici, e non solo in ambito musicale. Questo significa anche che riuscire ad emergere a Napoli è più difficile che altrove. Ma Luca Gianquitto c'è riuscito. Il suo segreto? La voglia di raccontarsi, e senza maschere.
Ed è questo desiderio di comunicare che anima "My big room", il primo disco solista del chitarrista partenopeo. Se, nella vita di tutti i giorni, Luca Gianquitto può dare l'impressione di una persona schiva e riservata, nella musica emerge la sua vera natura: quella di una persona e di un artista dotato di una grandissima forza interiore e una sensibilità non comune. E, del resto, quel leone raffigurato sul retro di copertina, un dipinto realizzato dal padre, è l'immagine che lo rappresenta meglio.
Ma da cosa prende spunto il titolo dell'album? «Si tratta di una metafora. Il disco è dedicato a mio fratello Giuseppe. Quando si è andato via, per motivi di lavoro, la mia stanza mi è sembrata, per la prima volta, davvero grande, forse troppo. Più in generale, ho voluto fermare nella memoria tanti momenti della mia vita, soprattutto quelli degli ultimi cinque anni». (Luca Gianquitto)
E il viaggio intorno alla stanza di Luca incomincia a ritroso nel tempo. «In
"Back to the Island" ho immaginato di essere in una barca e di remare verso un'isola, quella dell'infanzia. Mi piacerebbe tornare indietro a quegli anni e vincere le paure con la razionalità di oggi». (Luca Gianquitto). Da segnalare, in questo brano dalla struttura affine a quella della forma canzone, l'alternanza tra chitarra acustica, con cui viene disegnato l'immaginario panorama, e la chitarra elettrica, con cui sono tratteggiati i dettagli dell'isola che non c'è più. Molto interessante, come del resto in tutto l'album, anche il lavoro di Francesco Villani al pianoforte.
Dall'infanzia all'età adulta il passo è breve. E' la volta, infatti, di "Floriana", un'onirica ballad con dei richiami a sonorità alla ECM. Qui è l'amore ad essere protagonista. Un amore che dura da alcuni anni e che Luca Gianquitto, vincendo la sua naturale timidezza, ha anche confessato pubblicamente, in occasione della presentazione ufficiale dell'album alla Fnac di Napoli. Interessante il dialogo tra la chitarra acustica e la voce della tromba di Gianfranco Campagnoli. Senza dubbio una delle composizioni più belle.
Il titolo del terzo brano, "No grounding", merita di essere spiegato. «Il grounding, nel linguaggio della bio-energetica, indica il rimanere "a terra", ossia l'essere legati alla dimensione fisica. Questo brano rappresenta, invece, il mio desiderio di andare oltre. Anche se questo comporta dolore». (Luca Gianquitto) Questo spiega l'alta tensione emozionale del brano, in cui s'incontrano il mondo della fusion e quello del progressive. E anche i virtuosismi chitarristici assumono un loro preciso significato. Molto bella, poi, l'alternanza tra le tonalità maggiori del tema e quelle minori nei soli di Francesco Villani e Luca Gianquitto.
Ancora un incontro tra due mondi apparentemente diversi: quello del jazz suonato alla maniera dei newyorkesi e quello della musica basata sui loop. Questo, e molto altro ancora in "My big room", la title track. «Le note suonate da Gianfranco Campagnoli e la loro ripetizione all'interno del brano sono un effetto voluto. Un elemento di modernità da affiancare ad un jazz più tradizionale. In questo brano, inoltre, suona uno dei miei più cari amici: Andrea Stipa. Il vibrafono, a differenza degli altri strumenti, lo abbiamo registrato a casa sua, nella sua stanza».
(Luca Gianquitto). Da segnalare l'ottimo lavoro di Diego Imparato e Gianluca Brugnano.
Una delle cose che caratterizza maggiormente "My big room" è la varietà delle matrici ispirative.
Nonostante ciò possa rendere difficile trovare un filo conduttore all'interno
dell'album, ne è anche uno dei punti di forza. In "The lamp", ad esempio, vi è un mix tra funky, sonorità anni '70 e quell'energia di cui erano ricchi i brani di un artista cui tutti i musicisti napoletani, inconsciamente o meno, devono qualcosa: Pino Daniele.
Il viaggio è finito. E' ora di salpare via. Ma prima di farlo ancora uno sguardo all'orizzonte. Tutto intorno è tramonto, il vento si è calmato, e le onde della vita non fanno più paura. Difficile immaginare un finale migliore di "Being quiet". Facile, invece, immaginare una brillante carriera per questo giovane e bravissimo chitarrista che ha tanto ancora da raccontare, e che sa farlo molto bene.