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Time in Jazz
digit@l trance Le Particolarità
11/15 agosto, Berchidda (OT)
di Antonio Terzo
A riconferma della peculiarità del Time in jazz di Berchidda, esclusiva è stata l'iniziativa realizzata sotto il nome di TEE – TrancEuropExpress con la collaborazione delle Ferrovie della Sardegna, in cui sono state coinvolte ben cinque stazioni ferroviarie (Olbia, Monti, Berchidda, Oschiri, Chilivani) alle cui fermate il treno ed i suoi passeggeri sono stati intrattenuti alternativamente dalle Brittany Bagpipes,
ensemble di cornamuse guidate da Patrick Molard, con una musicalità ancestrale di notevole capacità evocativa, e dall'Orchestra di Launeddas di Luigi Lai con il monodico e vibrante ronzio di questo strumento tipico della tradizione sarda, per culminare nell'ensemble dell'ultima tappa, in cui i due gruppi si sono uniti in un'unica corale voce di folklore non stereotipato, segno che la musica può essere ed è incontro e dunque dialogo fra culture. Senza dimenticare, lungo gli spostamenti da una fermata all'altra, i numeri di un
Fresu-capotreno che ora tiene in respirazione a fiato continuo una nota fissa percorrendo il treno in tutta la sua lunghezza, ora diletta i suoi ospiti suonando insieme a viola (Nicola Ciricugno) e violino (Sonia Peana) nei vari scompartimenti, per unirsi infine anche lui alla compagnia radunatasi a terra.
In talune situazioni, il connubio fra l'elemento digitale -l'elettronica- e la componente della trance -lo straniamento- ha dato vita a spettacoli davvero singolari, come è avvenuto nei concerti serali del
13 agosto, in piazza del Popolo a Berchidda. Molto "sui generis" e suggestivo l'Experimentum Mundi Remix di Giorgio Battistelli e
Maurizio Martusciello,
un progetto che nasce ben ventiquattro anni fa – in questo remix ridotto in durata – ma che mostra tutta la sua attualità nel fascino che ancora riesce ad esercitare sull'uditorio, sebbene sotto il profilo della sperimentazione, certamente i tempi più recenti sono testimoni di arditezze spintesi ormai ben oltre. Ma ciò nulla toglie alla semplice genialità di questa pièce di teatro musicale: portare in scena, oltre ai campionamenti elettronici di
Martux-m (al secolo Maurizio Martusciello), i suoni del quotidiano, le voci dei mestieri della cultura occidentale, diretti come un vero e proprio organico, con attacchi corali ed interventi solistici, per un amalgama delirante e trascinante al tempo stesso.
Così al ritmo cadenzato delle pale che impastano il cemento, si sovrappone lo sbatter di uova del pasticcere, al sibilo dell'arrotino sulla mola a pedale risponde l'insistente ticchettio del calzolaio, al lungo piallare del falegname fa eco, pesante, l'incudine del fabbro. E sotto la ridda orchestrata di rumori, i campioni della console restituiscono trilli telefonici e risacche da shaker, dub di bassi torbidi e gravi, per cui diventa un gioco cercare di scoprire chi produca quale suono, lasciandosi coinvolgere dai movimenti alacri dei sedici artigiani.
Sui ritmi potenti ed ipnotici dei tamburi e dei loop preregistrati, la silhouette diafana di una donna a centro palco si avvolge in un velo, allacciandosi i capelli e rendendo la propria figura, se possibile, ancora più diafana, avviluppata dal bianco di quella veste: così si apre invece il concerto di Mercan Dede – all'anagrafe turca
Arkin Ilicali – che, sulla base della filosofia "sufi" dell'armonia degli opposti, punta audacemente ad ibridare insieme due generi musicali lontani ed apparentemente inconciliabili,
quali l'elettronica e la tradizione folklorica turca. Il suo
Secret Tribe si avvale, infatti, della presenza di strumenti tipici della cultura musicale del suo paese – il flauto "ney", i tamburi "bendir", l'orizzontale cetra "kanun", clarinetto e tromba – arricchita dalle coreografie della mulinante danza della tradizione derviscia, fino a spingersi ad arruolare nella compagnia anche la danzatrice Mira Burke, quando invece l'ortodossia della confraternita circoscriverebbe l'esercizio della mistica circolarità "darwuiish" rigorosamente a soli uomini. Ma la scelta di
Dede è vincente, conferendo infatti la Burke una sensualità particolare, quantunque "fasciata" nel tipico abito derviscio, con tanto di alto turbante tubolare e gonna "girevole" a campana. Ed anche qui l'elettronica gioca un suo ruolo, sorprendente, quando al ritmo rapsodico della danza purificatrice, la gonna si accende di tracce iridescenti in contrasto con la penombra che adesso, abbassate tempestivamente le luci, domina il palco. E sugli intrecci delle campionature, delle voci strumentali e delle suadenti movenze della danzatrice, un problema tecnico costringe
Dede a ripartire nell'esecuzione di un brano, con grande professionalità e soprattutto amore per quello che egli vuole sia il risultato del suo spettacolo: un sincretismo fra culture, suoni ed immagini. E gli applausi finali danno ragione alla sua formula, che ha letteralmente stordito i presenti, in tutti i sensi, uditivi, visivi, e motori, perdendosi anch'essi nella roteante danza ammaliatrice.
Altri due concerti molto curiosi –
ma per ragioni diverse – si sono tenuti
domenica14 agosto
sempre sul palco centrale di Berchidda, protagonisti i Sex Mob
(Steven Bernstein, Briggan Kraus, Tony Scherr, Kenny Wollesen, special guest
Dj Olive) e la compagine musicale accorpata nello spettacolo Translate da Michel Benita,
ospiti la tromba di
Erik Truffaz e le percussioni – su batteria e sampler – di Philippe Garcia, e complici le intriganti immagini della "visual-jay"
Judith Darmont. Quest'ultima performance parte con una nota del contrabbasso rintoccata e avviluppata da effetti originati da Benita in veste di "consollista", batteria ribattuta a mani nude, netta la tromba di
Truffaz sulle quinte sviluppate dall'harmonizer per un brano ampio e modale, sul cui sfondo campeggiano le video-proiezioni della Vj. Un'articolata pedaliera trasforma i fiati di
Truffaz in spirali di vento, mentre sotto si stratifica il dialogo fra le console, a sostenere l'assolo di batteria picchettato sul charleston, con notevole controllo della cassa. Segue in scaletta Still flow, arabeschi di voci e tromba solitaria di
Truffaz, lunghe le sue frasi – con vaghe impressioni "milesiane" – sul contrabbasso che contrappunta variazioni di passaggio, stretto il fraseggio della batteria di
Garcia.
Un momento fragile ed intenso fra armonie, delay ed effusioni fiatistiche della tromba, rotte da una "voce fuori campo", il ritmo si fa ora meno sfumato ed anche
Truffaz adesso suona in modo meno allusivo; quindi Benita gli porge il microfono del sampler e ne filtra le anse attraverso gli effetti al computer. Al termine dell'esibizione, il contrabbassista fa proprio il richiesto bis, tutto da solo, campionando la voce risonante e legnosa del suo contrabbasso e trasformandola in tappeto per la sovrapposizione del suo magico archetto…pubblico esaudito!
Probabilmente più semplice da seguire è stato invece il
set dei Sex Mob, sia pure per la maggiore popolarità dei motivi proposti nonché per la simpatia del leader,
Steven Bernstein, e del suo strumento,
una non comune tromba a coulisse – detta anche trombone soprano – di cui egli è fra i pochi specialisti al mondo. Caratteristica del poliedrico e caustico gruppo è quella di rimodellare a propria immagine e somiglianza temi provenienti dai repertori più disparati, ponendo a "minimo comun denominatore" il grande sense of humor del quartetto. Si susseguono così note blues in perfetto stile neworleansiano, in cui si distingue il graffiante contralto di Kraus in scambio continuo con le voci campionate dal
dj di turno e la coulisse di Bernstein; brani della tradizione pop-funky, come l'intrigante adattamento di Sign o' time di Prince, in cui spicca l'interessante jazzificazione dell'originario basso ad opera del contrabbassista
Tony Scherr; sonorità kletzmer che sembrano direttamente provenire dall'Est-europeo di Bregovic, in cui si rintracciano perfino gli echi de Sul bel Danubio blu di Strauss; passando per l'omaggio a John Barry ed ai suoi temi per le colonne sonore di James Bond, fino a più "canonici" boogie. E per finire, una eclatante e scattante We are the champions, dei Queen, che lascia tutti esterrefatti per la sagacia dell'arrangiamento, mentre per la rentrée finale non poteva non inserirsi il buon Fresu, incapace di resistere alla tentazione di incrociare il proprio flicorno in sezione con sì dotati ed eclettici musicisti.
Il concerto di chiusura è affidato alla Bollywood Brass Band e alle sue sfavillanti cromature d'ottoni ed ance, e roboanti percussioni, cui, dopo aver rallegrato le vie del piccolo centro sardo, viene finalmente concesso l'onore del palco: e tolte le seggiole in piazza, la gente balla e non vuol saperne di smettere, costringendo ad una infinità di bis l'organico, cui si unisce anche
Fresu per festeggiare con tutto lo staff organizzativo, in unica grande festa all'ombrello di fuochi d'artificio.
05/09/2010 | Roccella Jazz Festival 30a Edizione: "Trent'anni e non sentirli. Rumori Mediterranei oggi è patrimonio di una intera comunit? che aspetta i giorni del festival con tale entusiasmo e partecipazione, da far pensare a pochi altri riscontri". La soave e leggera Nicole Mitchell con il suo Indigo Trio, l'anteprima del film di Maresco su Tony Scott, la brillantezza del duo Pieranunzi & Baron, il flamenco di Diego Amador, il travolgente Roy Hargrove, il circo di Mirko Guerini, la classe di Steve Khun con Ravi Coltrane, il grande incontro di Salvatore Bonafede con Eddie Gomez e Billy Hart, l'avvincente Quartetto Trionfale di Fresu e Trovesi...il tutto sotto l'attenta, non convenzionale ma vincente direzione artistica di Paolo Damiani (Gianluca Diana, Vittorio Pio) |
01/10/2007 | Intervista a Paolo Fresu: "Credo che Miles sia stato un grandissimo esempio, ad di là del fatto che piaccia o non piaccia a tutti, per cui per me questo pensiero, questa sorta di insegnamento è stato illuminante, quindi molte delle cose che metto in pratica tutti i giorni magari non me ne rendo conto ma se ci penso bene so che vengono da quel tipo di scuola. Ancora oggi se ascolto "Kind Of Blue" continuo a ritrovare in esso una attualità sconvolgente in quanto a pesi, misure, silenzi, capacità improvvisativi, sviluppo dei solisti, interplay, è un disco di allora che però oggi continua ad essere una delle cose più belle che si siano mai sentite, un'opera fondamentale." (Giuseppe Mavilla) |
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Data pubblicazione: 29/10/2005
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