Umbria Jazz, Balcanic Windows Against Racism ha preso ufficialmente il via a Belgrado
27 luglio - 30 agosto 2005,
Belgrado
di Marcello Migliosi
Ciò che la guerra ha distrutto la musica cerca di ricostruire, passando per il linguaggio, universale della musica...della musica nera!
Umbria Jazz, balcanic windows against racism
(Video Cafiso 1)
(Video Cafiso 2)
(Video Bollani)
ha preso ufficialmente il via a Belgrado, presso la fortezza "Barutana", castello medievale da dove, nell'Evo di Mezzo, la città si difendeva a suon di cannonate. Il suono, per fortuna e finalmente, è stato ben diverso: sono risuonate le note del "be bop" dell'Altosassofonista di Vittoria e quelle - in taluni momenti da "fusion sperimentale" - di Stefano Bollani.
Il jazz "made in Italy" ha "stregato" i Balcani. Francesco Cafiso, con il suo quartetto, ha aperto con un'incisiva "Happy time" per proseguire con un 3/4 "Jazz waltz", sempre di sua composizione, "She loves me". Facile, per l'affiatatissimo combo, passare dalle lunghe divisioni anche in 6/8 al medium in "quattro" dove, davvero, i musicisti italiani hanno dato il meglio sé. In particolare Riccardo Arrighini, al pianoforte, si è reso protagonista di un solo ispirato e di "barroniana" memoria: il musicista toscano è cresciuto notevolmente da quando l'abbiamo ascoltato a Perugia, a Sintesi Jazz. "You don't know what love is", ballad divina dove l'anima tonale di
Cafiso emerge con forza.
Il "drummer", Stefano Bagnoli, anche lui in evidente serata di grazia, ha aperto "Lousiana", di
Cafiso, con un solo potente e mai ripetitivo, in cui la dinamica non è andata, quindi, certo a detrimento della creatività. Lo "shuffle" che ne è seguito - vertiginoso come sempre - ha ricordato la matrice "parkeriana" del sassofonista siciliano. Ottime le frasi all'unisono con
Arrighini, allo "Steinway and songs"! Poi lo standard, "My romance" - di cui sono state fatte riletture ritmiche di varia dimensione - è stato presentato in 6/8 che, "trampolino" per un medium incalzante, ha permesso a
Cafiso di esprimere al solito il suo miglior "be bop".
Del sassofonista di Vittoria si attende - forse entro l'anno - l'uscita del nuovo album: "Francesco Cafiso with the strings", rilettura - arrangiata ed eseguita con gli "archi" dei "Solisti di Perugia", del mitico album di "The
Bird", "Charlie Parker, with the strings".
Rapido cambio palco, giusto il tempo, anche per la stampa, di accorgersi che, tra il pubblico, era presente l'ambasciatore italiano in Serbia,
Antonio Zanardi Landi, e poi via con il "funambolo" del piano: Stefano Bollani. Cercare il lirismo nel suono di Stefano non è certo facile, ma la sua ricerca spasmodica del suono, la sua creatività sembrano non avere confini. Il pianista, che alla Barutana ha "sfoggiato" un jazz a volte drasticamente dodecafonico, non ha mai dato, nè lui nè il suo gruppo, l'idea del "già sentito".
Bollani
è genio e sregolatezza! Ma lo sapevate che lo scorso anno è uscito un suo libro su Renato Carosone: "L'America di Renato Carosone"?. Beh, insomma, a Belgrado, il "pupillo di Rava", non è stato da meno: ha ammaliato, fatto sorridere, ridere, pensare e riflettere. Ma il suo linguaggio principale resta la musica. A Belgrado è apparsa "muscolare" come non mai. Mano sinistra imponente, come sempre, un po' alla McCoy Tyner e mano destra in parossistica esplorazione della tastiera e dei risuonatori naturali del piano. Armonici che si interlacciano fortemente, soprattutto nel terzo brano, con le "campane" dei piatti della batteria di Cristiano Calcagnile. La simpatia e l'ironia abitano nella mente creativa di
Bollani: una leggenda...una leggenda giapponese lo ispira per una melodia un po' baroccheggiante, anche cantata con sincopi e controcanti davvero inconsueti.
Poi, come nelle "migliori famiglie", il "piano solo". Stefano parte quasi all'improvviso, chiede al suo quintetto di anticipare il pezzo. Gli altri se ne vanno e lo lasciano solo. Morbida la partenza, dopo poche battute sopravviene un "honky tonk", sulla cui difficoltà esecutiva vi lasciamo immaginare. Ma si va avanti con una fusion di alto profilo, il cui ritorno al swing-dinamico scalda le mille persone (impossibile dire quante ne sono rimaste fuori) che erano stipate all'interno del castello. Stupendo il solo del contrabbassista,
Ferruccio Spinetti. Lo scriviamo da anni che nel "double bass" non c'è sempre bisogno di esprimersi con circonvoluzioni virtuosistiche da funamboli della tastiera.
Spinetti procede per undicesime, ottave e settime minori...qualche "hammer", glissate che ricordano quanto sia magico il contrabbasso e si passa, a turnaround concluso, in un walkin' da mainstream che dura giusto il tempo di un pensiero. Bossanova, shuffle e bis con tanto di sax soprano e piano in evidenza. Ah, ai sassofoni e "dintorni":
Guerrini e Gori e Umbria Jazz Balcanic windows apre così alla maniera italiana, introdotta dal duo croato:
Nenad Vasilic e Vladimir Karapov.
Melodie mediorientali, a volte confuse tra chitarra flamenka e ritmi
latini: Boris Kovac & LaDaBa Orchest ha espresso tutta la "fusione"
tra culture e modi di suonare sui quali, inevitabile, ha influito con forza
mezzo millennio di dominazione Ottomana.
La seconda serata di
Umbria Jazz, Balcanic Windows, a Belgrado, si è aperta con la prorompente
energia del sassofonista di Novi Sad. Le "sue" scale di Bela Bartok - per
altro non inusuali nel jazz rock e nella fusion - mescolate con astuzia e
capacità a swing, latini e bajon, hanno regalato forse quanto di più vero e
intenso la terra dei Balcani abbia potuto esprimere negli anni immediatamente
successivi alla guerra. Gli anni della ricostruzione culturale, quella
ricostruzione cui vuole contribuire anche Umbria Jazz Balcanic Windows con il
progetto finanziato dalla Farnesina.
Il "folletto" di Pianta
Nuova ha fatto da "apripista" a Doctor 3: Rea, Pietropaoli
e Sferra e al Quintetto di Enrico
Rava: fresco diplomato "ad honorem" alla Berklee. Doctor 3
uguale forza e dinamica: il trio italiano era in "grazia". Muscolari come
non mai. Rea & C, hanno aperto con "Your song" di Elton John, dal medium allo shuffle con
Pietropaoli in "spinta", nonostante un contrabbasso (lo strumento) non
proprio all'altezza. Nonostante questo Enzo è stato "forte sulle corde" e con un
notevole "sustain".
Le proposte hanno "sconfinato" nella fusion
di alto profilo. Rea, per esempio, è stato decisamente funkje in qualche
momento. Tra una "citazione" e l'altra si riconoscevano "Flying to the moon", "Georgia of my mind"; una vertiginoso Tico Tico. Danilo
Rea ha il dono di non essere mai banale, nemmeno nei richiami a
vecchi standard o addirittura a pezzi di musica leggera e questo, badate bene,
qualche volta anche senza ricorrere alla sostituzione degli accordi nelle
armonie di sostegno. Insomma tutti gli ingredienti per richiamare Doctor 3
sul palco per ben due bis. Di certo il trio è una delle migliori produzioni
del jazz italiano degli ultimi dieci anni.
Nelle note lunghe ed
alte Enrico
Rava ricorda Maynard Ferguson. Il "professore" non lascia certo
scomparire la sua matrice blues. Affiancato da un funambolico Gianluca
Petrella al trombone, Enrico
Rava ha offerto col suo Quintetto un concerto raffinato e per nulla
formale. La sezione ritmica: Fabrizio Sferra (in prestito da Doctor 3) e
un grande Rosario Bonaccorsi ha dato sostegno a tutta l'impalcatura
armonica su cui si sono articolati i fiati.
La macchina di
Umbria Jazz, balcanic windows against racism, si è spostata a Novi Sad
per gli ultimi due concerti in programma. A "Pianta nuova" - oltre agli italiani
- anche gli artisti dei Balcani: Dunawska Ulica, Aleksandar Dujin
Orchestra e, l'ultimo giorno (30 agosto), Mobada.