Chris Potter:
Recensione e Intervista
Blue Note Milano - 12 luglio 2006
di Rossella del Grande
foto di Alberto Gottardelli
Chris Potter si presenta questa sera come leader della propria band, che
comprende Craig Taborn al fender rhodes, Adam Rogers alla chitarra
elettrica e Nate Smith alla batteria.
Potter e Smith hanno militato a lungo nel quintetto di
Dave Holland,
una formazione prestigiosa che sicuramente ha avuto una grande influenza su di loro.
Ma questa nuova formazione vuole percorrere strade diverse.
Il sound di questo nuovo gruppo è insolito. Per prima cosa, osserviamo
che proprio il contrabbasso non c'è. Non vi è nemmeno il basso elettrico. Il ruolo
del basso è ricoperto dal fender rhodes e dalla chitarra elettrica, ma in un modo
inaspettato e molto aperto.
Di questo particolare sound ci parlerà più tardi lo stesso Potter,
durante l'intervista.
La
prima parte della serata si apre con un brano dalla ritmica incisiva che fa immediata
presa sul pubblico. Si tratta di jazz moderno, elettrico. Sembrerebbe vicino al
funk, a giudicare dalle prime battute. Fender e chitarra suonano sui registri centrali,
non si avvertono mai toni particolarmente gravi. Potter in questa band suona
esclusivamente il sax tenore, malgrado il fatto che abbia dimostrato, in altre formazioni,
di essere un abile polistrumentista. Fraseggia in modo spezzato, nervoso. Il suo
assolo cresce. Craig Taborn si concede a sua volta un piccolo spazio improvvisativo
sui registri medio bassi, senza mai emergere in modo netto. Il brano si chiude con
sax e chitarra all'unisono.
Seguono altri brani tratti dall'album "Underground", l'ultimo lavoro
di Potter. Questo album (che comprende: Next Best Western; Morning Bell;
Nudnik; Lotus Blossom; Big Top; The Wheel; Celestial Nomad; Underground; Yesterday),
pur contenendo brani notevolmente lunghi, riesce a mantenere vivo l'interesse e
l'attenzione dell'ascoltatore. Effettivamente, di primo acchito saremmo portati
a classificare l'intero cd come un album funk. Ma ben presto ci si rende conto di
quanto sia riduttiva questa classificazione.
Dopo un avvio decisamente percussivo, scaturisce un'atmosfera molto rarefatta
e sospesa. Quindi Nate Smith esegue un bell'assolo che cambia nuovamente
l'andamento del brano. Il pezzo diventa più vivace. Segue un lungo solo di chitarra,
sempre su registri centrali, sorretta ritmicamente dal grande Smith. Potter
rientra su una ritmica sempre piuttosto nervosa e un fraseggio frammentato e chiude
il pezzo con un ostinato.
Le
strutture dispari abbondano. I brani sono in continua evoluzione grazie alla grande
fantasia ed inventiva di Potter e compagni.
Segue il brano dei Radiohead,
Morning Bell, sempre caratterizzato
da sonorità piuttosto eteree, grazie al contributo di Taborn al fender rhodes.
Potter sfodera anche tutta la sua capacità ritmica, suonando da solo il tenore,
ma creandosi un'intelaiatura ritmica incredibile che realizza battendo con le dita
sui tasti a vuoto. Entra anche la chitarra elettrica che lo sostiene ma senza mai
sovrapporsi a lui. Sono vicinissima al palco. Sento tutta l'energia di questa musica
che arriva a far vibrare gli oggetti, dandomi la sensazione che la creatività e
la fantasia di Potter si siano trasformate in qualcosa di fisico. I musicisti
si stanno visibilmente divertendo, si scambiano occhiate compiaciute ogni volta
che scaturisce un'idea nuova, uno spunto originale da qualcuno di loro.
I
cambiamenti ritmici sono frequenti, mentre non varia molto il registro entro il
quale improvvisano fender rhodes e chitarra. Sempre piuttosto pacati e sempre nella
gamma delle ottave medio-basse. Grandissimo assolo di Smith con applausi
a scena aperta. La chitarra invece non riesce a catturare particolarmente l'attenzione
del pubblico. I lunghi assolo risultano un po' troppo monotoni, sia dal punto di
vista del registro, sia dal punto di vista del fraseggio.
Il gruppo concede un bis. Inizia Potter per sax solo, su una struttura
circolare che per un certo tempo non permette di intuire di quale brano si tratti.
Poi sboccia all'improvviso una
Yesterday di beatlesiana memoria, riarmonizzata e alquanto diversa da
ogni altra versione ascoltata finora.
Grandi applausi. Il pubblico si è dimostrato abbastanza coinvolto ed attento,
durante questo primo concerto.
Nella pausa fra i due sets, Chris Potter è disponibile per fare
una chiacchierata con noi, ci riceve in camerino, gli porgiamo alcune domande.
R.D.G.: La prima cosa
che mi chiedo, ogni qualvolta mi trovi ad ascoltare musicisti così giovani e così
geniali, è proprio "come" avvengano simili miracoli…. Mi risulta che quando avevi
una quindicina d'anni, Marian Mc Partland ti avesse proposto di entrare nella
formazione di Woody Herman. Ma tuo padre non era molto contento….la priorità
era quella di finire gli studi…. Come la prendesti? Eri un ragazzino ribelle o no?
C.P.: Ho iniziato a suonare
il saxofono all'età di dieci-undici anni, ma ho incominciato molto prima ad ascoltare
musica. Ascoltavo i dischi dei miei genitori che erano grandi appassionati di musica.
Avevano una quantità di dischi di tutti i generi musicali, da Bach a Stravinsky,
da Bartok ai Beatles, dal pop al jazz. Avevano dischi di Miles
Davis, Dave
Brubeck,
Charles
Lloyd, Eddie Harris. Avevo anche un pianoforte ed incominciai
presto a sperimentare i diversi suoni… i diversi accordi… questo fu il mio vero
inizio. Ho suonato un po' anche la chitarra…Intorno ai dieci anni però il mio approccio
alla musica divenne più serio. Un bel giorno andai dai miei e incominciai
a chiedere loro con insistenza: "Compratemi un saxofono… per piacere compratemi
un saxofono… voglio suonare il sax….!!" (Potter ride nel raccontarmi questo
episodio, imitando l'insistenza tipica dei bambini quando vogliono una cosa a qualunque
costo). E' vero. A quindici anni mi fu proposto di entrare nel gruppo di Woody
Herman… ma prima portai a
termine gli studi. D'altra parte avevo un grande sfogo nella musica e non fu
così terribile…. Non credo di aver dato particolari problemi ai miei genitori…
Ma comunque dovresti chiederlo a loro…..!!!! (ride) Proprio in quegli anni
imparai a suonare vari strumenti, sax alto, sax tenore, clarinetto (che suonavo
nella band della mia scuola), flauto… Il mio interesse iniziale fu il sax
contralto. Quando mi trasferii a New York, mi accorsi che qualcosa stava
cambiando e che lo strumento che desideravo veramente suonare era il sax tenore.
R.D.G.: Riesci ad esprimerti
allo stesso modo con tutti gli strumenti che suoni?
C.P.: Penso che ogni strumento
mi permetta di far scaturire una parte diversa della mia personalità, diciamo un
aspetto diverso di una stessa voce…
R.D.G.: Ma è solo questione
di estensione?
C.P.: Estensione e timbro.
Diciamo che pensi al suono in un modo diverso. Il tenore è un po' il centro della
mia voce. Quando suono gli altri strumenti, è come se comunque partissi da lì….
Io suono prevalentemente il tenore e gli ho dedicato tanto tempo… Di fatti, in questa
formazione, suono esclusivamente il sax tenore. Non ho portato altri strumenti con
me….
R.D.G.: In questa band
non c'è il contrabbasso e neppure il basso elettrico…Perché?
C.P.: Perché non ce n'è bisogno.
Ho sperimentato varie combinazioni, prima di arrivare a questo sound. Ho provato
varie formazioni (al "55 Bar" di New York), con basso elettrico, basso acustico,
organo. Quando suonai col fender rhodes di Craig Taborn mi resi conto che
quello era il sound che volevo. Il fender svolge in un certo senso il ruolo del
basso, ma il risultato è un modo di suonare molto più aperto.
R.D.G.: Dal punto di
vista armonico come vi suddividete i compiti? Ho notato che il fender suona spesso le "fondamentali"...
C.P.: Di solito sì, ma certe
volte le suona la chitarra. Certe volte non le suona nessuno… E' musica molto "open".
Il linguaggio ritmico è molto vicino al funk, ma l'estetica dell'improvvisazione
è molto "jazz", proviene dal vero jazz…
R.D.G.: Mi pare che molte
delle tue recenti composizioni abbiano tempi dispari. Anche
Dave Holland
con il quale hai suonato a lungo ha composto tanti brani con tempi dispari, o sbaglio?
C.P.: Sì, hai ragione. Ci sono
parecchie similitudini fra la musica che faccio ora con la mia band e la musica
di Dave Holland.
I tempi dispari, certamente, ma anche lo stesso batterista, Nate Smith. Credo
però che la musica sia molto diversa.
R.D.G.: Come ti sentivi
all'interno del gruppo di
Dave Holland
e come ti senti ora? Hai maggiore libertà?
C.P.: La mia esperienza con
Dave Holland
è stata molto significativa. Ora ho molta libertà con la mia band. Pur essendoci
parecchi aspetti in comune con la musica di
Holland,
la mia musica di adesso è differente, per via del sound elettrico, per il tipo di
struttura. Il più delle volte non utilizziamo molte strutture…. Come dicevo, è una
musica molto aperta.
R.D.G.: Quindi ritieni
che sia molto diverso essere il leader della propria band rispetto a suonare nel
gruppo di qualcun altro?
C.P.: Assolutamente sì. E'
completamente diverso. Questa è veramente una grossa opportunità per me di far sentire
la mia voce. Una delle ragioni per le quali ho voluto questi musicisti con me, è
perché voglio che ciascuno di loro possa esprimersi al massimo delle proprie capacità.
Voglio che ciascuno dia il proprio apporto. Non voglio controllare tutto io. Io
posso guidare, indicare la strada...
R.D.G.: Provenite da
esperienze musicali simili?
C.P.: No, proveniamo da esperienze
molto diverse e ritengo che sia importante aver suonato in formazioni le più disparate
ed aver fatto generi musicali così diversi. Questo significa che ci possiamo muovere
in tante direzioni…
R.D.G.: Idee per il futuro?
C.P.: C'è molta musica che voglio fare con questa band. Ho in
programma di fare un altro cd con loro. Quindi registrerò un altro cd, il
prossimo mese. Si tratterà però di musica che ho scritto per una formazione
completamente differente da questa. Un gruppo molto più grande, di una decina di
elementi. Ci sarà una sezione ritmica, chitarra acustica, basso, batteria,
violino, violoncello, flauto, clarinetto, fagotto …. ed io. Diciamo una piccola
orchestra classica ma con la batteria. Con la mia band con cui suono qui questa
sera, io tendo a scrivere il meno possibile, fornisco un tema e un "mood" e
ciascuno di noi ha la massima libertà di espressione. In quest'altra formazione,
invece, mi sono dedicato veramente alla composizione in un modo molto più
approfondito e così ho potuto sviluppare ampiamente la mia attività compositiva.
Non so ancora quando uscirà questo cd. I brani sono pronti. Li abbiamo eseguiti
un anno fa in un locale di New York, ma non li abbiamo più suonati da allora. E'
un progetto stimolante, è una vera sfida. Sono molto contento di poterlo portare
avanti!
R.D.G.: Ci sono moltissimi
ragazzi che studiano il sax. Dovunque. Un consiglio che daresti loro?
C.P.: Beh, a parte le questioni
puramente tecniche, l'esercizio, lo studio….. Io direi di ascoltare molto. Cercando
di capire come fanno i musicisti a tirare fuori "quel dato suono", qual è il loro
approccio ritmico, qual è il loro approccio al fraseggio. Scrivere musica, trascrivere
i pezzi e gli assolo va benissimo. Ma cercare di farlo a memoria è ancora meglio.
Io penso che sia meglio cercare di imparare il jazz come una lingua. Come fa un
bambino quando impara a parlare. I bambini piccoli non scrivono. Ascoltano in continuazione,
recepiscono il concetto, l'idea… Si tratta di un processo organico.
R.D.G.: Hai dedicato
tanto lavoro alla qualità del suono….il tuo sound è sempre così chiaro, l'intonazione
è perfetta, anche nelle sovracute…
C.P.: Diciamo che ho chiara
l'idea del suono che voglio ottenere. In questo senso, consiglierei di lavorare
molto sulle note lunghe e sugli armonici … su tutta la gamma sonora del sax.
R.D.G.: Grazie! Fra poco
riprende il concerto.
La
seconda parte della serata ci regala un'atmosfera più lieve e sospesa. La ritmica
incalzante della prima parte, ora cede il passo a sonorità più dilatate, che sicuramente
vengono gradite dal pubblico o forse, in un certo senso, lo ipnotizzano….
Ascoltiamo strutture complesse dal punto di vista ritmico, ma quello che
colpisce maggiormente è proprio la ricerca del suono. Il fender ora emerge maggiormente.
Ci
regala anche un assolo molto bello. Il sax di Potter utilizza tutta la gamma
di note che ha a disposizione, sempre con la sua intonazione perfetta e quel suo
timbro così pulito.
Il gruppo, in questo secondo concerto, appare molto più libero e creativo.
Una sola critica: la chitarra con pedaliera ancora una volta non convince.
Troppo piatto e monotono il registro. Anche il fraseggio, per quanto preciso, risulta
un po' noioso. Forse anche il mixaggio non agevola il compito ad Adam Rogers,
in quanto il suono risulta forte, ma privo di dinamica, sempre troppo uniforme.
Talvolta va a coprire tutto il resto.
Il concerto si chiude con un pezzo a sorpresa: Potter chiama sul
palco Tim Ries, virtuoso del sax soprano, che si affianca a lui in un fitto
dialogo (Ries da molti anni accompagna i Rolling Stones nei tours,
tanto da essere ormai considerato uno "Stones" d'adozione. Attualmente sta portando
in tour uno spettacolo intitolato appunto "Rolling Stones Project" dove arrangia
in chiave jazz i pezzi della band). Il pubblico, molto attento e non troppo numeroso,
vista anche la tardissima ora, dimostra di apprezzare.
Personalmente, ritengo che il sound di questo gruppo non sia facilissimo
da metabolizzare. I "loops", gli ostinati, la ritmica funky, gli assolo lunghissimi
ma tutto sommato molto uniformi (se si eccettua Potter), non facilitano l'assimilazione
immediata di questo tipo di musica. D'altra parte, questo è jazz del terzo millennio...
..::Chris Potter
Quartet a Vico Equense, 22 luglio '06::..
Bella apertura per la sesta edizione del Vico Jazz Festival, grazie
alla vitalità del sassofonista Chris Potter alla guida del suo
Underground Quartet. Inconsueto già nella composizione dell'organico, di stampo
elettrico ma privo di basso (surrogato in maggior misura dal Fender Rhodes di
Craig Taborn, e più di rado dalle corde basse della chitarra di Adam
Rodgers), il gruppo rinuncia parzialmente alla quadratura ritmica, affidata
al drumming di Nate Smith, a favore di una maggiore libertà sul versante
armonico e melodico. La sostanza musicale ha trovato i migliori momenti nelle
serrate scorribande funky del leader, che ha ricordato a tratti le roventi
atmosfere anni '70 del jazz-rock dettato da
Miles Davis & Co.; il repertorio è stato comunque vario e articolato,
con opportuni cambi di passo e esplorazioni in territori dove la materia sonora
si è rarefatta (Joni Mitchell, Radiohead e Billy Strayhorn). Nonostante
qualche inevitabile calo di concentrazione nei novanta minuti del concerto,
alcuni automatismi ancora da perfezionare e qualche perdonabile momento di
narcisismo di Potter, per brevi istanti vittima della sindrome di Mike
Stern (ovverocomeinzepposeicentobiscromeinottobattute), il tutto è
apparso corposo e coinvolgente, in giusto equilibrio fra rigore e godibilità. Il
sassofonista si conferma una delle voci più valide dell'attuale panorama, un
musicista già in grado di definire una personalissima sintesi tra modernità e
tradizione con la massima naturalezza. Molto positiva anche la risposta del
pubblico, nonostante la proposta non fosse in alcun modo indulgente o
autoreferenziale, come quelle che sempre più spesso ormai ascoltiamo da ben più
celebrate figure (ogni lettore avrà in proposito una personale riflessione, e
una propria graylist) che da anni sembrano aver perso il gusto del
rischio e dell'imprevisto, girando da un festival all'altro con i propri
eleganti (a volte neanche quello) esercizi di stile poveri di
emozione. Alfonso Tregua
15/11/2009 | I Triad Vibration al Blue Note di Milano: "Una bellissima serata, il sound dei Triad Vibration è coinvolgente, energetico, ipnotico, riporta alle radici...si passa da contaminazioni jungle, tribali, funky, etniche a influenze world music, jazz, latin jazz, blues, e addirittura house." (Eva Simontacchi) |
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Data pubblicazione: 02/09/2006
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