Newport Jazz Festival 59ma Edizione di Cristiana Corrado
foto Ayano Hisa, La Nita Adams
Un paesaggio maestoso di candide vele bianche si apre una volta
attraversato il ponte che porta a Newport, la Portofino americana, dove ogni anno
in agosto si tiene il Newport Jazz Festival, quest'anno sponsorizzato da Natixis
Global Asset Management e giunto alla 59ma edizione. Si deve risalire al lontano
1954 per scoprirne le origini e ritrovare tra i partecipanti artisti come
Louis Armstrong,
Ella Fitzgerald, Duke Ellington, Thelonious Monk,
John Coltrane,
Miles Davis. Percorrendo la strada che si snoda lungo la costa di questa elegante
città marittima, dove i Rockfeller e i Kennedy per anni hanno trovato rifugio dalle
calde estati newyorkesi nelle loro maestose ville sulla scogliera, si nota una moltitudine
di partecipanti, d'ogni età e colore, che con coperte per pic-nic e sedie pieghevoli
sulle spalle, si accodano all'entrata del festival per vivere questo che qui è considerato
uno degli eventi più imperdibili dell'estate.
La scelta musicale è varia e copre
dall'avanguardia più consolidata di
Wayne Shorter al jazz più mainstream di Esperanza Spalding, l'unica
artista proveniente dal mondo jazz a vincere una statuetta come "nuovo artista"
ai Grammy Awards. Non mancano gli accenti latini: da
Chick Corea,
che li plasma con l'elettronica, a Eddie Palmieri con la sua salsa, e persino
a Paquito D'Rivera, il quale combina il jazz con influenze cubane. Se da
un lato la musica di Eddie Palmieri è apparsa a tratti anonima,
Chick Corea
ha invece dimostrato, come sempre, la sua incredibile abilità di musicista, pianista,
compositore e bandleader. Sebbene il suo suono del synth trasmettesse echi di un
passato oggi lontano, l'insieme della band ha suonato in modo straordinario, con
menzione particolare per Christian McBride al contrabbasso, vero sostegno
per il resto della band composta da Tim Garland ai sax, il giovane Marcus
Gilmore alla batteria e Charles Altura alla chitarra.
Una delle performance più attese è stata quella di
Wayne Shorter, da molti considerato il miglior compositore e sassofonista
jazz. Shorter incanta ogni volta, con una musica non semplice ma piena di fluidità.
Il suo genio è in constante ricerca di un equilibrio con il pianeta attraverso l'impegno
buddista e l'amore per il cinema, che lo vede pronto in qualunque momento a citare
scene cinematografiche che racchiudono in una pillola visiva il momento vissuto.
Shorter ha inserito nel suo repertorio anche "Universe", composizione scritta
nel 1966 durante la collaborazione con Miles Davis, per lungo tempo accantonata
e ultimamente ritornata in tutta la sua bellezza anche grazie a Wallace Roney, che
l'ha inserita nel suo ultimo album e l'ha eseguita live al Jazz Standard proprio
due settimane prima del Newport Jazz Festival.
Wayne Shorter e il suo gruppo,
Danilo Perez
al piano, John Patitucci al contrabbasso e
Brian Blade alla batteria, hanno spinto il jazz verso nuovi confini.
Verso la fine del concerto,
Herbie Hancock è salito sul palco. Si è pensato a un duetto con Wayne
in celebrazione del suo ottantesimo compleanno, tema che ha permeato la manifestazione.
Hancock, ha dapprima condiviso il piano con
Danilo Perez
e poi ha suonato in duo con Shorter offrendo così un intervento-omaggio nei confronti
del grande artista e amico di lunga data.
Un altro momento del festival molto apprezzato dal pubblico è
stato ascoltare l'interpretazione delle composizioni di Esperanza Spalding
accompagnata da una big band. La giovane bassista e cantante di Portland, continua
a spingere il jazz verso nuovi territori sia come entità estetica che come possibile
nuova coniugazione del linguaggio jazzistico; questo attraverso una ragguardevole
capacità tecnica nel suo strumento e ad una oramai riconosciuta maestria vocale.
Nonostante ciò, comunque, la Spalding, a livello compositivo, ha mostrato di avere
ancora da percorrere un lungo cammino d'apprendimento e ha raggiunto il massimo
momento di apprezzamento da parte del pubblico durante l'interpretazione di "Can't
help it" di Stevie Wonder.
Un altro momento molto atteso è stato vedere l'ottantottenne
Roy Haynes suonare la sua batteria in modo sempre geniale e vederlo anche
intrattenere il pubblico con alcune mosse di tip tap! Ascoltarlo, ammirarlo e pensare:
ecco un uomo che ha suonato con Charlie Parker ed è ancora uno spettacolo di fantasia
ed energia da vedere sul palco.
Tra gli artisti che hanno colpito particolarmente c'è la pianista
giapponese Hiromi, la quale sembrava posseduta nella sua performance dove
ha dimostrato un'incredibile capacità di coniugare perfezione tecnica con un crudo
espressionismo emotivo. Sebbene l'entusiasmo della band non fosse in alcun modo
paragonabile a quello di Hiromi, i musicisti hanno comunque gestito il loro ruolo
con responsabilità professionale, senza sbilanciarsi particolarmente.
Terence Blanchard
ha cercato con la sua performance di emulare lo spirito di Miles Davis nel suo famoso
periodo elettrico, e quello che mancava in originalità lo ha riguadagnato in competenza
tecnica, essendo Terence uno dei trombettisti più dotati in circolazione.
La Dirty Dozen Brass Band è stata incredibilmente divertente
sia da ascoltare che da guardare e ballare, sicuramente una delle migliori performance
dei palchi minori durante il festival.
Anche se la musica era molto prevedibile,
Marcus Miller
ha dimostrato ancora una volta che il funk, se eseguito con la classe e l'abilità
tecnica di un musicista come lui, è innegabilmente travolgente. Ad ascoltarlo, seduto
su una golf car utilizzata per muoversi tra i diversi palchi, l'uomo artefice della
sopravvivenza dello stesso festival, Mr. George Wayne che, circondato da
amici e conoscenti che gli stringevano la mano e si fermavano per una chiacchierata
veloce, magari pensava già alla prossima edizione di quello che è uno dei più longevi
festival jazz americani all'interno di una delle cornici più affascinanti al mondo.