Torino Jazz Festival 2021 19-27 giugno 2021 Recensioni dei concerti dal 22 al 24 giugno di Aldo Gianolio photo from the
TJFweb
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Dopo la sospensione per Covid-19 dell'anno scorso, il festival jazz di Torino
ha ripreso alla grande con la sua nona edizione. "Alla grande" vuole significare
sia il lusinghiero successo di pubblico che la ricchezza, la varietà e la bontà
della musica presentata (il tutto sotto l'egida di una ottima organizzazione funzionale
alla sicurezza di artisti, spettatori e lavoratori).
Il cartellone ha incluso le musiche più diverse, anche antitetiche (forse anche
rispecchiando le differenti anime dei due direttori artistici, nonché musicisti,
Giorgio Li Calzi e Diego Borotti), dal jazz più ortodosso alla musica
elettronica, passando in mezzo a contaminazioni rock, folk e classica, come a testimonianza
dello stato multiforme odierno del jazz. (fai click
qui per il programma completo)
Dei nove giorni in cui si è svolto il festival (dal 19 al 27 giugno, a prezzi popolari,
sui palchi delle OGR, del Conservatorio Giuseppe Verdi e del Teatro Vittoria), in
questa puntata se ne resocontano solo tre, dal 22 al 24.
Il 22 è stata la volta della performance di Robert
Henke, un campione della musica elettronica e informatica, che fra gli aficionado
del jazz ortodosso ha suscitato qualche polemica. Insoddisfazioni che sono in parte
comprensibili, non solo perché sorgerebbero allo stesso modo in una situazione capovolta
(cioè nel caso fossero presentati concerti di mainstream jazz nei festival di musica
elettronica sperimentale), ma anche perché Henke, di jazzistico, non produce nulla,
se non quel tanto di improvvisazione che gli è consentita dalla sua stessa messa
in scena audiovisiva. Ciò non vuole significare che le rassegne di jazz non debbano
essere aperte e che, nella fattispecie, la musica di Henke non sia musica dotata
di fascino. Anzi, è molto affascinante, pur se non nuova, considerando che la pratica
elettronica è iniziata settant'anni fa. Ed Henke sembra conscio di ciò, perché recupera
il passato operando attraverso cinque computer vintage, per l'esattezza dei Commodore
CBM 8032 dei primi anni Ottanta (antesignani dei Commodore 64), interconnessi fra
loro e collegati con alcuni video giganti che mostrano graficamente, con colori
nero e verde pixellati, le loro oscillazioni sonore e le loro mescolanze, sapientemente
da lui comandati. Il risultato (che è alla fin fine ciò che conta) è una musica
ipnotica e ripetitiva (che raggiunge momenti di monotonia anche perché non c'è mai
alcun cambio di centro tonale e di registro), musica che si basa su continui loop
di segmenti melodici di varia lunghezza che si sovrappongono e si diradano, che
si allungano e accorciano, che si sfasano e si ricompongono, che si diradano e s'infittiscono
in un caleidoscopico e robotico gioco sonoro e visivo regolato matematicamente e
geometricamente.
?Il giorno dopo, due concerti. Al Conservatorio Giuseppe Verdi, alle 17,30, c'è
stato il "Five Visions" commissionato dal TJF a
Uri Caine
già due anni addietro, poi rimandato per l'emergenza sanitaria da pandemia. Caine
è stato anche il pianista dell'ensemble, unendosi al contrabbassista
Furio Di Castri,
al sassofonista Andy Sheppard, al chitarrista Gianluca Palazzo, al batterista
Alessandro Romano, al quartetto d'archi del Conservatorio guidato dal violinista
Edoardo De Angelis e al quartetto di performer alle elettroniche, coordinati
da Stefano Bassanese.
Una tipica musica di third stream, che mescola il jazz con la musica classica
e con leggeri educati interventi delle elettroniche, inoltre una musica "a programma",
essendo ispirata ai "Canti dell'innocenza e dell'esperienza" del poeta e pittore
inglese William Blake. Caine riesce a rappresentare, con pregnanti movimenti
a forte contrasto drammaturgico, i sentimenti espressi dall'opera di Blake, passando,
sempre con inebriante cipiglio espressivo e schietta eloquenza, da momenti pastorali
e festosi ad altri cupi e turbolenti, da recuperi del soul afro-americano a marcature
coplandiane (e ornette-colemaniane) degli archi, da temi tipicamente hard bop a
grovigli contrappuntistici, dove si sono inserite perfettamente a tono le improvvisazioni
degli stessi Caine, Sheppard, Di Castri e Palazzo.
Alle OGR alle 21 c'è stato poi il "No Eyes" del tenor sassofonista
Emanule Cisi, presentatosi col suo quartetto composto da
Dino Rubino
al pianoforte e al flicorno, Rosario Bonaccorso al contrabbasso e Adam
Pache alla batteria. Special guest doveva essere (come nel disco omonimo pubblicato
dalla Warner) la cantante
Roberta Gambarini,
bloccata negli Stati Uniti per applicazione delle regole antipandemiche; al suo
posto Francesca Corrias. Come il precedente lavoro di Caine, anche questo
di Cisi ha ispirazione letteraria, rifacendosi al poema "No Eyes" dello scrittore
beat David Meltzer, dedicato a uno dei padri del tenor sassofono jazz, Lester Young.
Il titolo riprende un'espressione del personalissimo vocabolario di Young (per
lui significava "non mi interessa"), mentre il testo della poesia viene riproposta
dalla Carrias nella esecuzione di uno dei cavalli di battaglia di Young, "These
Foolish Things", ripercorrendo le note dello storico assolo del 1945, diventato
celeberrimo. Per tutto il set la giovane cantante ha dimostrato di possedere estroversa
eloquenza e tecnica sopraffina, eccellendo nello scat con sicurezza di modi e di
portamenti. L'omaggio a Young, ricco di riferimenti storici, è entrato in perfetta
sintonia con il suo mondo musicale senza per questo esserne didascalicamente imitativo:
difatti Cisi ha la sua precisa identità di solista, con ascendenze più "moderne"
(oltre a Parker, Coltrane), muovendosi con naturalezza sul background di una impeccabile
sezione ritmica e sui giri armonici di brani che furono del repertorio di Young
o a lui dedicati (anche con qualche original dello stesso Cisi), fra cui "Easy
Living", "Lester Left Town", "That's All", "Jumpin' At The
Woodside", "Tickle Toe" e "Goodbye Pork Pie Hat".
Il 24 giugno è stata la volta della Multiquarium Big Band del tastierista
Benoit Sourisse e del batterista André Charlier, con ospite Biréli
Lagrène non alla chitarra, bensì eccezionalmente al basso elettrico, in un omaggio
a Jaco Pastorious (già nel disco "Remembering Jaco", edito dalla francese
?Naïve Records). S'è esibita alle OGR due volte, alle 17,30 e alle 21, per fare
fronte alla numerosa richiesta di biglietti, e nel primo concerto Lagrène ha suscitato
un po' di apprensione negli organizzatori e nel pubblico, perché arrivato con mezz'ora
di ritardo dopo avere viaggiato tutto il giorno da solo in auto portando con sé
l'amplificatore appartenuto a Pastorious, che avrebbe poi usato solo nella seconda
rappresentazione. Con un repertorio di brani sia dei Weather Report, con cui Pastorious
divenne famoso, sia dei gruppi di cui fu leader ("The Chicken", "Used
To Be A Cha Cha", "Kuru/Speak Like A Child", "Teen Town", "Three
Views Of A Secret" e "Palladium"), l'orchestrona, ricalcando la grande
forza interpretativa di quella che aveva guidato lo stesso Pastorious, ha dato sfoggio
di estrema brillantezza, coesione delle sezioni, travolgente swing, con arrangiamenti
estremamente raffinati, multiformi e moderni. Architrave dell'insieme si è rivelato
proprio il basso fretless (cioè senza capotasti, come usava Pastorious) suonato
da Lagrène, funambolico ricamatore d'indefesse e continue linee melodiche di sostegno
e di collegamento fra le parti, che s'è dimostrato pienamente degno dell'eredità
del famoso collega, conosciuto in giovane età e frequentato in collaborazioni concertistiche
e discografiche (cfr. l'album "Sfuttgard Aria"). Fra gli orchestrali si sono distinti
anche eccellenti solisti, fra cui ??Lucas Saint-Cricq, Stephane Guillaume e ??Stéphane
Chausse ai sassofoni e clarinetti, ??Olivier Louvel ??alla chitarra, Claude Egéa??
al flicorno e Didier Havet al Sousaphone.
I fautori della modernità a tutti i costi (tipo gli entusiasti di musica elettronica
scandalizzati dalle polemiche suscitate dai puristi per il concerto di Henke) avranno
probabilmente ritenuto il sound dell'orchestra sorpassato. E pensare che questo
sound esiste da soli settant'anni, più o meno gli stessi da che esiste il sound
della musica elettronica e informatica.
22.06.2021 – Robert Henke "CBM 8032 AV" | Torino
Jazz Festival