Suoni, Parole, Ritmi del Mondo IV Edizione Gennaio-aprile 2013 - VILLA BOMBRINI - Genova Cornigliano di Andrea Gaggero e Gianni Montano foto di Carmelo Calabria
La rassegna di Villa Bombrini, giunta alla quarta edizione, conferma
il proprio valore e il radicamento nel capoluogo ligure con una generalmente più
che buona affluenza di pubblico. Merito della gestione, oculata ed attentissima,
del direttore artistico Fabio Manganaro ma anche della bellezza del sito
dei concerti e della gratuità dei medesimi Quest'anno in calendario alcuni musicisti
americani non proprio soliti sui nostri palcoscenici e alcuni protagonisti della
scena italiana, scelti con mano felice dalla meritoria associazione "Jazz Lighthouse".
Il 26 gennaio
si comincia con il trio di Mala Waldron, figlia del grande Mal, che ha avuto
come madrina di battesimo la grandissima Billie Holiday. La cantante e pianista
esegue un programma in larga parte basato sugli standards. Non manca un omaggio
in linea diretta al padre. Rispetto al genitore, storico alter ego di
Steve Lacy
negli anni ottanta, la sua concezione del jazz è meno spinta verso una musica di
ricerca; va sul sicuro con un repertorio consolidato, la sua voce è chiara e attenta
alle dinamiche ma non particolarmente originale. Suona con discreta tecnica e dialoga
con il bassista ligure Giovanni Sanguineti e il batterista Paolo Franciscone
con un'intesa fondata su comuni passioni musicali. Il pubblico, anche in virtù della
grazia da intrattenitrice dell'artista afroamericana, accoglie festosamente il concerto.
Il 14 febbraio è il turno del trio
di Achille Succi, come annuncia la locandina. In realtà il gestore del trio
si rivela subito essere Andrea Massaria.
Il musicista triestino, noto per la sua collaborazione con Arrigo Cappelletti,
predilige il suono modulato e allungato della chitarra con un effetto simile ad
una tastiera. E' una scelta personale, ma portata avanti con un'uniformità timbrica
per larga parte del set che alla lunga risulta un po' stucchevole.
Il programma oscilla fra brani originali, omaggi a Monk, al Brasile oltre a rivisitazioni
di Erik Satie. Achille Succi si fa in quattro per tenere su la baracca.
Come consuetudine il sassofonista e clarinettista emiliano disegna soli architettonicamente
impeccabili. Sul sax alto muove da Ornette per confluire in un fraseggio comunque
originale. Sul clarinetto basso eccelle con un controllo sugli acuti veramente ragguardevole.
E' inevitabilmente dolphyano, ma ce ne fossero epigoni di questa taglia. Quello
che manca, però, è un dialogo autentico fra strumento armonico e ance. I due procedono
su sentieri faticosamente convergenti. Non li aiuta il drummin' opaco di Massimiliano
Furia poco avvezzo a questi climi informali. Per salvarsi in angolo il batterista
percuote i bordi dei tamburi e accenna a qualche elemento rumoristico. Si comprende
che il suo mondo è lontano da queste situazioni espressive prive di una struttura
affatto definita. Gli spettatori, alla fine, applaudono lo spirito di sperimentazione
del trio, ma mancano, inequivocabilmente, le richieste di un bis.
Il 26 febbraio occupa la scena il
corpulento Cyrus Chestnut, il nome più grosso, senza alcun intento ironico
in questo superlativo, fra quelli invitati a questa edizione del festival. Già collaboratore
di Terence Blanchard,
di Christian Mc Bride e di tanti altri campioni del modern mainstream, il pianista
americano non delude le attese. Suona, infatti, con una tecnica raffinata e colloquiale
ripassando con rispetto la lezione dei grandi, in scioltezza, in un relax vigile.
Si va dall'ellingtoniana "Caravan", mascherata da un'introduzione a nascondere
il refrain, a brani di Jobim e di altri celebri songwriters USA. "Tea for two" è
eseguita in solitudine e colpisce per la capacità di rileggere il pezzo aggiungendo
ancora qualcosa alle numerosissime versioni di questo conosciutissimo e usurato
standard. Sanguineti e Cervetto stanno un passo indietro, sforzandosi di prevedere
le intuizioni del pianista e quando escono in assolo sembra lo facciano per dare
un po' di respiro all'illustre ospite. Il concerto si dipana in un clima cordiale
e festoso. Sul finire c'è anche modo di dedicare una "Ninna nanna" di Brahms alla
figlia del bassista Rodolto Cervetto nata da pochi mesi. La sala gremita riserva
al trio un vero tripudio finale.
Terzo appuntamento, il 16 marzo,
protagonista il polistrumentista veroneseBruno Marini, organista,
tra l'altro, dell' "Adriatics Orchestra" di Daniele D'Agaro. A Genova si schiera
con sax baritono e flauto in compagnia del valoroso U.T. Gandhi e del contrabbassista
locale Massimiliano Rolff. Il concerto è del tutto improvvisato e si snoda
da climi africaneggianti ad altri prossimi ad atmosfere neo cool. Si transita, volendo
dare un'idea approssimativa di quanto arriva dal palco, dallo stile Pharoah Sanders
a quello Gerry Mulligan, suggerito anche dalla presenza del baritono. Marini suona
il flauto con un approccio deciso, utilizzando anche la modalità dell'ipersoffiato,
mentre è più morbido nei confronti dello strumento ad ancia. Gandhi costruisce una
tavolozza ritmica sempre diversificata, aperta e invitante. Tiene botta Rolff con
sicurezza, rivelando l'abilità di confrontarsi all'impronta nell'ambito del non
preordinato. Come bis viene chiamata in scena la cantante pop Francesca Cortese
per un finale in discontinuità con quanto proposto in precedenza. (G.Mont.)
Recital pianistico di Rita Marcotulli
a conclusione della rassegna genovese il 20 aprile 2013;
la celebrata pianista romana, con oltre 150 persone raggiunge, di questi tempi da
queste parti, un notevolissimo risultato di affluenza. Per
Rita Marcotulli
il pianoforte è un animale selvaggio da domare in ogni istante; grande avversario
da sconfiggere con la forza, più di rado con la grazia e la dolcezza e l'ascolto.
In questa lotta e sfida, che è anche verifica costante dei propri limiti psico-fisici,
Marcotulli dimostra tutta la sua "non modernità", senza voler esprimere con tale
termine un giudizio di valore.
Rita Marcotulli
è compositrice contemporanea e pianista ottocentesca di estrazione prevalentemente
eurocolta con riferimenti diversi, non ultimo Debussy da cui pesca ad ampie mani
nel suo "Waves And Wind" impressionista fin dal titolo. La componente ritmica
e il grande volume sonoro prodotto sono prevalenti in una musica densa, suonata
prevalentemente forte con rare escursioni dinamiche verso il basso che diventano
isole felici. Da questo sforzo continuo, seppur celato da una tecnica solidissima
e da grande esperienza e maturità strumentale, emerge la componente premoderna della
Marcotulli: troviamo qui una costante volontà di dominio dello strumento, una possanza
e potenza di suono rare che portano ad una concezione eroica della musica, nessun
dubbio, nessun disincanto, nessuno spazio per l'ironia giocosa. (A.Gagg.)