Südtirol Jazz Festival 2013 Bolzano, giugno - luglio 2013
di Vincenzo Fugaldi
Doppiata la boa del trentennale, la storica manifestazione altoatesina prosegue
nella meritoria iniziativa di portare in provincia di Bolzano i migliori suoni del
jazz contemporaneo. Premiato quest'anno da un significativo incremento della partecipazione
del pubblico, che fa ben sperare per il futuro, il festival è iniziato il 28 giugno
e si è concluso il 7 luglio. Chi scrive l'ha seguito a partire dal 2 luglio.
L'incantevole giardino dell'hotel Laurin ha accolto il trio del fisarmonicista
Vincent Peirani, con Michel Benita al contrabbasso e Michael Wollny
al pianoforte. Primo concerto italiano per il trio che ha recentemente inciso il
cd «Thrill Box» per l'etichetta Act, pubblicato lo scorso mese di aprile.
Dopo un brano iniziale per sola fisarmonica, raccolto e meditativo, il concerto
ha mostrato un trio di grande spessore, nel quale le tre notevoli personalità musicali
coinvolte cooperano per raggiungere risultati artisticamente compiuti e coinvolgenti.
Composizioni originali di ottimo livello e riproposizioni di brani monkiani (I
Mean You, in una versione in duo senza contrabbasso), spaziando da un raccolto
camerismo a momenti carichi di energia, nei quali il solido sostegno di Benita ha
dato modo alle doti dei partner di esprimersi al meglio. Da segnalare un omaggio
a Michel Portal, ospite sul cd del trio (3 Temps pour Michel'P) e
i bis Dancers In Love di Ellington e una delicata Shenandoah. Peirani,
pur non distaccandosi dal panorama dei fisarmonicisti francesi, ha una personalità
spiccata e definita, che si esprime anche nei brani di valse musette, nei
quali potrebbe essere più marcata l'influenza di veterani come Galliano. Wollny,
dal canto suo, è una delle migliori giovani realtà del pianoforte europeo, e ha
suonato senza risparmiarsi, mostrandosi a suo agio in ogni brano.
Un incontro inedito prodotto dal festival è stato quello tra il batterista statunitense
Jim Black, il chitarrista finlandese stabilitosi a Berlino Kalle Kalima e
una delle star del festival, il trombettista tedesco Matthias Schriefl. I
tre hanno arrangiato per l'occasione alcune loro composizioni (Protection
e Idorno di Black, Checker e Shining di Kalima, Tango fiar
an Bsoffenen e Hanna's Haar di Schriefl), cercando una sintesi tra le
loro estrose personalità, eclettiche e incisive. La chitarra di Kalima possiede
grande ricchezza armonica e timbrica, e un fraseggio personale e dinamico; la creatività
di Schriefl, grazie al festival altoatesino, è ormai ben nota, e il frastagliato
drumming di Black non ha bisogno di ulteriori conferme. Il trio ha raggiunto
il suo equilibrio nei brani finali, di impatto più immediato, entrambi a firma di
Schriefl, che si alternava fra tromba e flicorno.
Il trio Coucou è composto da tre giovanissime musiciste di Dresda, due cantanti
e una chitarrista. A Bolzano hanno presentato un gradevolissimo pop d'autore, impreziosito
da buoni impasti vocali, e dall'utilizzo di vari piccoli strumenti (xilofono, kalimba)
che aggiungono colore alla loro proposta musicale.
Il sestetto svizzero Hildegard Lernt Fliegen (Andreas Shaerer, voce; Andreas Tschopp,
trombone e basso tuba; Benedikt Reising, sax e clarinetto basso; Matthias Wenger,
sax; Marco Müller, contrabbasso; Christoph Steiner, batteria, percossioni, marimba)
è stato fondato alcuni anni fa da Shaerer, un vero funambolo della voce, che impiega
sia in ruoli tradizionali sia nell'imitazione di strumenti come batteria e tromba.
Le composizioni e gli arrangiamenti sono estremamente interessanti, marcate da varie
influenze, il gruppo è coeso ed efficace, ma a tratti l'ostentazione della strepitosa
tecnica da parte del leader sembra condizionare la proposta musicale, banalizzandone
gli esiti artistici.
L'avanguardia è ancora vitale? Due decise risposte positive a questo interrogativo
sono risuonate tra le candide pareti e le luminose vetrate del Museion, che hanno
accolto Naked Wolf e IRèNE. Naked Wolf - emanazione del collettivo Tumult - è un
sestetto proveniente da Amsterdam, composto da musicisti di diverse nazionalità:
Felicity Provan, tromba e voce; Ofir Klemperer, tastiere, synt e voce;
Yedo Gibson,
sax baritono e soprano; Mikael Szafirowski, chitarra; Luc Ex, chitarra basso e
Gerri
Jäger, batteria. Un'energia incontenibile, sostenuta dalla carismatica e trascinante
figura di Ex, e caratterizzata dall'impiego delle voci di Provan e Klemperer, che
spaziavano da atmosfere progressive a testi recitati, tra ritmi fortemente scanditi
e aggressività solistica, in particolare del sax e dell'acida chitarra elettrica,
tra colori elettronici del synt e fraseggi free della tromba, mescolando improvvisazione
radicale, noise e scrittura con grande creatività, fino a un brano cantato
in coro dal tema incisivo e coinvolgente. Al collettivo francese Coax appartiene
invece il quartetto IRèNE (Yoann Durant, sax alto e soprano; Clément Édouard, elettronica
e sax alto; Julien Desprez, chitarra; Sébastien Brun, batteria e percussioni). La
loro proposta, diversa ma altrettanto irriverente ed estrosa, si basava sulla coloritissima
e cangiante carica ritmica di Brun, sull'improvvisazione radicale delle ance irrituali
di Édouard, e sugli intrecci tra chitarra ed elettronica, che disegnano atmosfere
varie e mobili, con finali bruschi, crescenti progressioni armoniche, e un brano
finale di intenso afflato spirituale, lento e solenne.
Di differente taglio estetico le due esibizioni del vibrafonista lussemburghese
Pascal Schumacher, un inedito quartetto con il trombettista Verneri Pohjola,
il contrabbasso di Henning Sleverts e il sax tenore e clarinetto di Sylvain Rifflet,
e un duo con il solo Rifflet. Forse leggermente penalizzata dallo spazio all'aperto
del Parco dei semirurali, suggestivo ma dispersivo, la proposta del quartetto, basata
sull''estetica rigidamente apollinea del leader, pur dotata di una propria coerenza
progettuale, ha stentato a coinvolgere, ritrovando compiutezza solo nel bis, dal
deciso taglio minimalista. Minimalismo che ha caratterizzato l'intera esibizione
del duo tra Rifflet e Schumacher, basata principalmente su composizioni del sassofonista
e clarinettista, in una affascinante sintesi che coniugava questo importante versante
della musica contemporanea con l'improvvisazione jazz. Qui i due hanno trovato un
punto d'incontro in vari momenti del concerto, a partire da una pregevole composizione
del mitico compositore statunitense Moondog costruita su suoni staccati realizzati
mediante la tecnica sassofonistica dello slap tonguing.
"Song Song Song", proposta del pianista francese Baptiste Trotignon, con
un gruppo comprendente Thomas Bramerie al contrabbasso, Dre Pallemaerts alla
batteria e Minino Garay alle percussioni, è una proposta legata al mondo
della canzone, dagli esiti alterni: a una parte centrale solo strumentale, dedicata
a brani da West Side Story di Bernstein, nella quale si evidenziava il valore
del combo, con il contributo della incisiva carica percussiva dell'argentino, si
contrapponevano due momenti opposti: una prima parte, piuttosto equilibrata, dedicata
ad arrangiamenti di pop songs come "Dazed And Confused", già nel repertorio degli
Yardbirds e dei Led Zeppelin, affidate alla grintosa voce rock della giovane Jeanne Added, e una seconda – completamente staccata dal resto - dedicata a un Brasile
eccessivo e da cartolina, caratterizzato dalla presenza sovrastante e debordante
della cantante Monica Passos.
A chiudere la rassegna Art meets jazz, negli spazi prestigiosi del Museion, due
eventi molto diversi. Un concerto di solo violoncello, protagonista Francesco
Guerri, nell'esecuzione di alcune sue composizioni di taglio contemporaneo,
nelle quali l'improvvisazione giocava un ruolo di primo piano. Un lavoro acustico
finissimo e di estremo rigore, tra suoni pizzicati e uso dell'archetto, e una personalità
d'autore ed esecutiva da seguire con attenzione. E, a commento delle opere dell'artista
Danh Vo, il canto tradizionale vietnamita di Huonh Thanh, accompagnata dalla harp
guitar del britannico Jason Carter. La chitarra di Carter presenta un manico con
le corde metalliche, un altro fretless con le corde di nylon (utilizzate
come bassi) e una cordiera dal suono di arpa. La dialettica tra la voce e la chitarra
creavano una world music di grande fascino, che supportava al meglio la presentazione
dell'opera di Vo condotta dalla direttrice del Museion Letizia Ragaglia.
Il concerto finale all'aperto, nello spazio antistante il Museion, è stato affidato
al quintetto costituito per l'occasione e denominato The Shift: Angelika Niescer,
sax alto e composizioni; Florian Weber, pianoforte e composizioni;
Gianluca Petrella,
trombone; Chris Tordini, contrabbasso; Jim Black, batteria. Le complesse
partiture e i rigidi arrangiamenti non hanno favorito l'intesa nel gruppo, che,
pur condotta con estrema professionalità, mancava di spontaneità, e non ha raggiunto
i vertici che ci si poteva attendere da un tale insieme di talenti. In particolare
il trombonista italiano, capace di performance strabilianti, è parso non completamente
a suo agio, e anche la fantasiosa carica ritmica di Black sembrava a tratti risentire
delle inflessibili gabbie imposte dalle parti scritte.
Di tutt'altro segno il concerto tenuto dal trio di Jeff Ballard,
Fairgrounds:
nell'impareggiabile paesaggio del Rifugio Comici in Val Gardena, tra il Sassolungo
e il Sella, il grande batterista (Metheny, Corea, Fly, Mehldau) ha portato, in prima
assoluta, tre quarti del suo nuovo gruppo, che comprende anche il pianista
Tigran Hamasyan. Insieme a Reid Anderson, bassista di
The Bad Plus,
qui all'elettronica, e alla chitarra e alla voce di Lionel Loueke, si è ascoltata
una fioritura di incantevoli poliritmi che nascevano spontaneamente e gioiosamente,
e si è avvertito un evidente piacere di suonare insieme che si riverberava sulla
musica rendendola fresca e gradevole come non mai, una di quelle occasioni preziose
che il jazz sa ancora donare. L'interazione tra la chitarra e la batteria era assoluta,
e i fraseggi aperti e comunicativi di Loueke erano arricchiti dal suo canto profondamente
africano, mentre il ruolo dell'elettronica di Reid si manteneva discreto e non invasivo,
aggiungendo pertinenti sfumature di colore. Tra le lunghe parti improvvisate, alcune
composizioni del leader come Child's Play e una di Paul McCartney
(Waterfalls).