Sembra che il baricentro del jazz europeo sia oramai traslocato nel nord
Europa. Questo già da tempo, ma la transumanza musicale sembra non arrestarsi; ed
anzi procedere senza battute d'arresto e con buona pace per chi continua a proporre
standards, mainstream europeizzato, giocando a "fare l'americano".
Due giovanissimi fratelli: Julian classe 1987,
trombettista dal suono calibrato e dall'estetica raffinata; Roman, appena ventiseienne,
pianista intuitivo ed elegante. Il loro disco di esordio "Remember Chet"
gli ha rivelati al mondo jazzistico tanto da portarli all'orecchio attento di
Nils Landgren, che ha prodotto - e suonato il suo inconfondibile trombone -
l'album in questione. Non solo: ha affiancato alle indubbie abilità compositive
ed esecutive dei due fratelli tedeschi un manipolo di talenti scandinavi come il
contrabbassista Lars Danielsson, il batterista Anders Kjellberg, la
vocalist Ida Sand, il fiatista Magnus Lindgren.
Il risultato sono cinquantatre minuti di ottima musica, per tredici brani
quasi tutti originali; un alternarsi di composizioni in sodalizio dei fratelli e
degli altri componenti dell'ensemble, al fianco di tre celebri remake.
Un sound suggestivo, con ampi squarci di tradizione ben assimilata (Geno
The Shoeshine) che sottolinea la sonorità lavorata e riverberata di Julian ed
il maturo dinamismo di Roman, che alterna un tocco sapidamente classico con un'oculata
muscolarità espressiva (Toccata di Schifrin, per esempio). Eccellenti Danielsson
e Kjellberg. Sanno cucire ogni singola trama con determinazione e agilità, costruendo
un tessuto connettivo di particolare spessore. Danielsson si ritaglia, con garbo
e tatto, uno spazio nel pizzicare il contrabbasso con una cura che mette in rilievo
tutta la sua grana stilistica (Dusan). Kjellberg dimostra tutta la sua padronanza
della continuità ritmica ed una distribuzione complessa – e a tratti asimmetrica
– degli accenti, con una varietà di timbri che spesso ricorda quello delle percussioni.
Un album più che gradevole, quindi, che cede solo negli interventi di
Ida Sand: Not Strong Enough, a sua firma, è piuttosto banale e la
voce della cantante si uniforma, spegnendo un po' di luce nella galleria delle composizioni
ascoltate. Stessa sorte si ha, ancor prima, con Airplaines In My head (di
Herbert Gronemeyer), nonostante la buona volontà del quartetto di base. Entrambe
sembrano uscire dagli innari della canzone americana.
Un disco che accende la maturità artistica dei fratelli Wasserfuhr, ora
più pronti alla definitiva consacrazione.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 21/02/2010
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