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Tonbruket
Dig It To The End
THE ACT COMPANY 2011 – 9026-2 DISTRIBUZIONE EGEA
1. Vinegar Heart
2. Baloons
3. Decent Life
4. Lilo
5. Lighthouse
6. Dig It To The End
7. Gripe
8. Grandma's Haze
9. Le Var
10. Trackpounder
11. Draisine Song
Dan Berglund - contrabbasso
Johan Lindstrom - chitarre, lap, pedal steel
Martin Hederos - pianoforte, tastiere, violin, pump organ
Andreas Werliin - batteria, percussioni
Non si può parlare di eredità dell'E.S.T. per Tonbruket - quartetto capitanato e
fondato da Dan Berglund - se non in termini di ricerca sonora, di frammentazioni
armoniche e fughe temporali. Insomma, come per il suo compare di segmento Magnus
Ostrom (Thread Of Life, sempre per la Act, 2011),
il fantasma di
Esbjorn
Svensson aleggia, ma senza essere invadente. Il gruppo si fonda sull'antica
amicizia tra il contrabbassista e Johan Lindstrom, tenuta da parte (artisticamente
parlando) fino al tragico epilogo dell'E.S.T.
Dig It To The End è il secondo album di questo sodalizio e percorre la ruvida
via del progressive con procellose folate improvvisative, frutto – perlopiù – della
creatività del chitarrista. Note ben costruite, avvincenti ricche di cambi ritmici,
come nell'inquieta Vinegar Heart che da un incalzante fast-tempo sfocia
in visioni oniriche dettate dall'intrecciarsi delle corde. Brandelli di new wave
retrò, elegantemente acidificati suonano in Ballons (a firma di Hederos),
per dare spazio ad una finestra simil- romantica, con le pesate note di Martin Hederos,
in Decent Life che, mercè l'ostinato percosso da Berglund, va ad assumere
rapidamente tinte noir. Il drive dell'eccellente Andreas Werliin caratterizza
Lilo (composizione del leader), un viaggio arricchito da colori e immagini
esotiche provocate dalla pedal steel di Lindstrom. Dagli ambienti siderali di Lighthouse, corroborati dalle note centellinate di pianoforte e contrabbasso,
la scena musicale volge a ritmi più rocciosi, con il post-modern-country della title
–track (firmata da Berglund), sorretta da una marcia sbilenca ed un controllato
e più che gradevole parossismo, e di Grandma's Haze. C'è spazio anche per
lampi di musica contemporanea minimalista tornito alla Ligeti (Gripe, siglata
dal pianista).
Pause, riprese, ritmica caracollante, improvvisazione misurata anche nelle larghe
note, slappate, suonate da Dan Berglund; sospensioni e strozzature per ampi
varchi che, spesso, ricordano una struttura suite, come in La Ver e
Trackpounder,
che farebbero la felicità di Quentin Tarantino, per arricchire le sue sempre sorprendenti
scene. La chiosa, Draisine Song, firmata da Hederos, sembra ironica tanta
è la sua cantabilità sui tempi di un valzerino.
Un disco bello, fresco che congiunge paesaggi sonori apparentemente differenti,
con disarmante abilità.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 17/08/2011
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