L'amore per l'Africa di Nils Landgren è totale. A piene mani e dichiarato
per la Black Music e sentitamente filantropico per il popolo di Madre Terra, fin
troppo dimenticato in favore di quei territori ricchi di greggio, oro e diamanti
che fanno leccare i baffi ai potenti, tanto da ingaggiare, alimentare e stordire
di guerre all'insegna di una destrutturata democrazia. Landgren, che di tutte
queste beghe non se ne occupa, accende il suo rosso trombone per mano del suo figlioccio
Anders Giesecke, medico dell'organizzazione umanitaria di soccorso "Medici Senza
Frontiere", creata nel 1971 in Francia da un
consistente manipolo di sanitari e giornalisti. La lettera che Anders scrisse a
Landgren è una dolorosa sintesi delle gravi difficoltà in cui versa Kibera, baraccopoli
di Nairobi in Kenya, agglomerato che registra anche un'elevata percentuale di malati
di Aids. Quindi, il cinquantaquattrenne musicista svedese allerta i "suoi" Funk
Unit, Siegfried Loch, patron della ACT Music ed anche la Yamaha. Con i primi
incide a Berlino questo disco, che è licenziato dall'Act Music con l'intesa (proposta
accolta con entusiasmo da Loch) che per ogni cd venduto un euro andrà nelle casse
della onlus. La Yamaha, sempre di buon grado, asseconda l'idea del vulcanico trombonista
di donare gli strumenti per mettere su una scuola di musica in loco.
A parte ciò, che non è poco e già di per se giustificherebbe l'acquisto di Funk
For Life, il progetto fa balzar giù dalla sedia per freschezza, groove rutilante
e per essere un lavoro di squadra travolgente. Dodici brani coralmente composti
ed eseguiti con genuinità dagli otto componenti del sodalizio. Danzabile dalla prima
all'ultima traccia, anche nei midtempo (Never Judge ne è il massimo esempio)
e con le raffinate incursioni assorte della tromba di Sebastian Studnitzky
e l'alternarsi di voci – ora cristalline o impastate, ed ora "neramente" graffianti
– dello stesso Landgren, di Magnum Coltrane Price, di Jonas Wall,
Robert Mehmet Ikiz e Magnus Lindgren.
Un implacabile senso del groove, caldo denso e suonato in modo impeccabile
che trova l'ideale congiunzione con l'anima nera dell'Africa in "Kibera", dai toni
e ritmi quasi liturgici nel raccontare la mestizia e la forza, la speranza di rinascita
dello slum di Nairobi.
Da ascoltare con il piedino a tambureggiare e rivolgendo un pensiero a chi
soffre, per davvero.
Alceste Ayroldi per Jazzitalia
Inserisci un commento
Questa pagina è stata visitata 3.460 volte
Data pubblicazione: 31/01/2010
|
|