Henghel Gualdi Ricordo di Teo Ciavarella
- Lele Barbieri - Felice Del Gaudio - Annibale Modoni
testimonianze a cura di
Marco Losavio
Teo Ciavarella, Lele Barbieri, Henghel
Gualdi, Felice Del Gaudio
Memories
of You
Bologna, Europauditorium, 29 novembre
1997
Henghel Gualdi -
clarinetto
Teo Ciavarella - piano
Felice Del Gaudio - contrabbasso
Lele Barbieri - batteria
Teo Ciavarella - pianoforte
Ho conosciuto Gualdi nell'82
quando sono arrivato a Bologna per gli studi universitari. L'ho incontrato presso
la Cantina della Doctor Dixie, luogo
d'incontro e fucina di molti giovani musicisti. Dopo le sue prime note al clarinetto
fui letteralmente incantato dal suo modo di suonare, dalla sua maestrìa, la sua
voce. Sapeva coniugare la pronuncia jazzistica con un grande senso dello swing e
aveva un suono rotondo, che mi piace definire pucciniano e che lo rendeva
davvero unico.
Ricordo che eravamo a Fano nel
'90 e il concerto venne
interrotto per pioggia così ci rifugiammo tutti in un club a suonare. Appena iniziato
il nostro concerto scese dalla scalinata Paquito D'Rivera il quale eccitato
cominciò ad affrettarsi nella discesa curioso di capire chi stesse suonando il clarinetto.
Alla fine del brano D'Rivera si inginocchiò chiedendogli chi fosse e pregandolo
di suonare qualsiasi cosa insieme.
Gualdi era sconosciuto nel
mondo del jazz internazionale e in Italia era noto soprattutto per la sua attività
nelle orchestre da ballo, cosa che non gli è stata mai perdonata dai critici musicali.
Lui, scherzandoci, diceva che con le orchestre da ballo si era "sporcata la fedina"...
Abbiamo fatto centinaia di concerti insieme. La scaletta era una sua piccola
ossessione. Ogni sera preparavamo la lista dei brani, lui voleva costruire la scaletta,
come un rito, un momento fondamentale del concerto. Amava profondamente il suo lavoro
e non l'ho mai visto triste perchè, ad esempio, gli mancava il lungo periodo delle
sue apparizioni in televisione, non avvertiva la mancanza dei riflettori e conduceva
tutto sommato una vita molto artigianale, viveva alla giornata.
Aveva un grande senso dell'ironia e amava molto la buona cucina, voleva mangiare
prima e dopo il concerto, accompagnandosi con dell'ottimo Lambrusco.
Negli
ultimi anni si era anche un po' rassegnato alla mancanza di notorietà raccontando
questo suo stato d'animo con affetto nel suo libro intitolato "Poteva
andare meglio", un'autobiografia piena di rimpianti e di tanta ironia.
Henghel non nutriva invidia per nessuno, aveva un generale rispetto dei
colleghi ma era profondamente consapevole delle sue grandi qualità tecniche ed espressive
e non si sentiva secondo a nessuno.
Abbiamo suonato tanta musica insieme, ma quando suonava
Stardust, andava altrove,
come in trance, avvolto in una misteriosa liturgia. Chiudeva gli occhi e viaggiava
in un'altra dimensione. Avveniva anche con The man I love,
Memories of You e altre
ballads. Non ripeteva mai le stesse cose, quei patterns che spesso i musicisti suonano
per aiutarsi negli assoli. In questi momenti noi musicisti che lo accompagnavamo
ci guardavamo sorridendo, esterrefatti per ciò che stava creando, per la sua profonda
poesia musicale.
Con Henghel ho sempre avuto un ottimo rapporto, c'era un rapporto
fraterno, anche paterno direi. Non amava gli errori di esecuzione, imprecisioni
ritmiche o accordi sbagliati...lo mandavano in bestia. Ma con il passare degli anni
maturava sempre di più in lui la consapevolezza della relatività delle cose e quindi
riusciva a vivere anche le imperfezioni come momenti di crescita e non di tensione.
I sue due più grandi rimpianti sono entrambi legati all'America. Il primo
è sicuramente stato quello di non aver seguito
Louis Armstrong
il quale aveva una stima profonda, sincera nei suoi confronti (e non so quanti
sono sono i musicisti italiani che possono vantare questa referenza nel proprio
curriculum). Gualdi ha sempre accompagnato
Armstrong
in Italia, anche nella famosa uscita di Sanremo del 1968.
Armstrong
propose a Gualdi di seguirlo e di far parte del suo gruppo ma lui non accettò
perchè, come scusa ufficiale, aveva paura dell'aereo. Una volta stava andando un
America per incontrare Benny Goodman, il suo idolo, ma l'aereo appena partito
da Milano fu costretto ad atterrare e i passeggeri dovettero scendere con il gommone.
Si spaventò talmente e giurò di non veler prendere mai più un aereo nella sua vita.
Superò comunque questa paura nel
'90 quando partecipò ad
una grandiosa tournèe al seguito di Luciano Pavarotti. Durante questi concerti
Henghel suonava brani come
Un Americano a Parigi,
After you've gone,
Stardust, ovviamente...,
un tour di grande successo e Pavarotti riuscì a convincerlo a volare dicendogli:
"pensa, se dovesse cadere l'aereo diventeresti famosissimo perchè sullo stesso
aereo di Pavarotti!!!".
Con Armstrong
ha sempre avuto poi un rapporto affettuoso che è continuato nel tempo. Erano nati
lo stesso giorno, il 4 luglio, e ogni anno
Armstrong
inviava alla mamma di Gualdi dei fiori per ringraziarla di aver messo al
mondo un figlio come Henghel.
Non aver dato seguito all'amicizia con Benny Goodman è il suo secondo
rimpianto. Conobbe Goodman durante le riprese di un film di Risi a
Roma e nacque una bella amicizia. Avrebbe voluto seguirlo, in America.
Il suo orgoglio erano le sue origini. Ha vissuto in pieno la IIa Guerra
Mondiale e da ragazzino ha subito dovuto lavorare. Il suo lavoro è stato fondamentale
per la sua famiglia e ciò lo ha sempre reso orgoglioso. Amava le cose semplici,
si nutriva di semplicità. Musicalmente aveva un grande rigore, studiava tutti i
giorni e prima di ogni concerto riscaldava lo strumento almeno per un'ora.
L'eredità che mi ha lasciato Henghel è che la musica è un grande
mistero, dalla nostra cultura, dalle nostre competenze e abilità, ma c'è una finestra,
una dimensione inspiegabile che si può aprire e quando questa finestra si apre accade
qualcosa di magico. A lui accadeva spesso. Poi mi ha insegnato che si deve praticare
la musica quotidianamente e sempre con rigore e semplicità, senza il senso di competizione
che spesso avvelena il nostro ambiente. Come ho già detto, non invidiava alcun collega
ma ascoltava la musica di tutti con grande interesse per trarne gli aspetti più
interessanti.
Un ultima cosa vorrei raccontare di Henghel, un aspetto non legato
alla sua vita artistica ma fondamentale per descrivere il suo carattere. Viveva
in perfetto stile "Amici Miei", organizzava scherzi in continuazione, era
grande amico di Tognazzi, con il quale aveva concepito alcuni scherzi resi
celebri nei film. Ne racconto uno. Una sera doveva suonare con la sua orchestra
in un locale nuovissimo, completamente ristrutturato, bellissimo. Il gestore ne
era, ovviamente, orgoglioso e lui, dopo le prove gli disse: "sa, è bellissimo,
ma c'è un grave problema". E il gestore, preoccupato: "quale? Mi dica, Maestro...",
"c'è un serio problema di acustica...". Il gestore gli chiese come poter
risolvere questo problema e Gualdi gli disse: "sa, si dovrebbe fare un
foro dietro al palco in modo che il suono possa meglio uscire dalla sala e propagarsi
meglio verso l’esterno...". Nonostante la cosa fosse inverosimile, riuscì a
convincere il gestore a fare questo buco! Ovviamente in quel locale non sono più
tornati...
Felice Del Gaudio - contrabbasso
Ho cominciato a collaborare con Henghel 10 anni fa e l'impressione
che ebbi fu duplice: da una parte si manifestava in me un traguardo importante nella
mia carriera, dall'altra sentire di meritarmi ogni volta la fiducia che lui mi concedeva.
Ho imparato con lui a non dare niente per scontato. Bastava un suo sguardo severo
per farti capire che in quel momento non c'era "tiro" e toccava a me, come
suo contrabbassista, prendere le decisioni del caso. Insieme a Teo e Lele
abbiamo affrontato viaggi in ogni dove, ogni volta sembrava di andare a fare
una gita fuori porta; buona compagnia, aneddoti pepati e non di un mondo musicale,
per noi giovani, sconosciuto e pieno di fascino. Gli anni 40, 50, 60, la guerra,
il dopoguerra, gli anni della ricostruzione. Il tutto visto e vissuto da un grande
musicista.
Gli ho chiesto 4 anni fa una sua prefazione ad un mio metodo sul basso e
lui mi disse "proprio io, sono onorato di ciò". Questo era Henghel.
2 anni fa mi disse che il libro sulla sua vita, "Poteva
andare meglio", era stato ritirato dal mercato ed il suo editore era
disposto a vendere le ultime copie. Io le comprai tutte e lui fu molto felice. Una
volta durante un concerto mentre suonavamo mi chiese in senso geografico "dove
siamo?" ed io risposi "The man I love". Dapprima mi diede un occhiataccia
poi si mise a ridere. Si era creata una famiglia e di questo lui era contento e
non vedeva l'ora di ripartire. Potrei continuare per ore ma tante emozioni sono
inspiegabili, poi se ne è andato all'improvviso che ogni tanto penso che debba tornare
da un momento all'altro per un altro concerto...Grazie Henghel
Lele Barbieri - batteria
Preferirei ricordare Henghel
per quel che riguarda il suo carattere. Giocavamo molto. Durante i viaggi, quando
era in macchina con me, si scherzava in continuazione. Partendo da qualsiasi cosa,
anche il nome di una città, come Anagni. Pronunciandola cominciava un gioco di parole
fino ad arrivare a gnomi e così via...Era anche un gran fumatore e mi affumicava
sempre l'auto...Si stava molto bene con lui, come persona. Gli piaceva molto il
modo in cui guidavo la macchina perchè diceva che ero tranquillo, mi chiamava "il
biondo"...
Mi fa molto piacere che come batterista mi abbia fatto sempre i complimenti.
Era molto esigente per quel che concerne la base ritmica e io gli andavo bene anche
perchè suonavo piano, senza prevaricare. Tante volte non è solo una questione di
bravura è proprio una questione di adeguatezza, anche di simbiosi. Sai, a quell'ètà,
certi musicisti a volte ti fanno pesare la loro superiorità, con lui non si avvertiva
alcuna differenza. Era molto umano...mi emoziona molto parlare di lui...
C'è stata una serata a Bologna con i più importanti clarinettisti italiani
ma come suono Gualdi emergeva su tutti. L'espressione, il suono, era insuperabile.
Tecnicamente ce ne sono tanti bravissimi ma lui aveva un suono unico. Quando suonava
Stardust mi chiedevo:
"chissà cosa combina stavolta...". Riusciva a dare sempre tante interpretazioni
diverse sorprendendoti per ciò che riusciva a fare. Per me è stato il più grande!
Negli ultimi concerti ha suonato molto fluido, pur non avendo tanto fiato
è riuscito comunque a suonare in modo incredibile. Poi, scriveva sempre musica,
ha scritto i suoi arrangiamenti fino all'ultimo, segno che era sempre alla ricerca
di nuove idee.
Ci raccontava sempre molti aneddoti ironizzando sempre anche i momenti
più drammatici come il periodo della guerra. Mi raccontava che una volta lo andarono
a prendere con un autocarro scoperto. Le strade erano ancora dissestate dai bombardamenti
pertanto si reggevano un po' gli uni con gli altri. Il contrabbassista cercava di
proteggere il suo contrabbasso con tutte le forse ma non si accorse che il ricciolo
si andò ad impigliare in un filo della luce sospeso. Cercò di resistere trattenendolo
ma ovviamente, come con una fionda, il contrabbasso partì a mezz'aria e si fracassò...Sentir
raccontare dalla sua viva voce questa e tante altre situazioni era divertentissimo...sdrammatizzava
sempre.
Il suo idolo era Benny Goodman, pensava spesso a lui, prima di
suonare un pezzo, a volte diceva: "appena suono sto' pezzo speriamo non si svegli...",
ironizzando sul giudizio che avrebbe dato al suo modo di suonare.
Henghel, come eredità, mi lascia la grandiosa capacità di fare melodia,
colore, il suono, lo riconosco subito e per me questi sono i grandi. L'artista si
identifica principalmente dal suono. Si avvertiva la differenza dello spessore,
l'espressione, il suono che ti penetra...
Annibale Modoni - vibrafono
L'ho
conosciuto negli anni '50,
lui vinse la Bacchetta d'Oro, io suonavo in un'altra orchestra. Ho cominciato
poi a suonare con lui nei primi anni
'60 con l'orchestra dal
ballo quando si faceva swing fino a quando si è potuto. Poi ho collaborato per registrazioni
varie negli anni '70,
incidendo circa 7/8 album e poi abbiamo fatto tantissime serate, concerti in club
teatri...Henghel, come clarinettista era unico. In Europa ce n'erano veramente pochi
e la sua unicità era soprattutto per il suono, superiore a qualsiasi strumentista,
anche americano, la sua musicalità, il suo swing. Direi Goodman ma per certi versi
anche oltre.
Amava incontrarsi di notte con i musicisti nei locali da ballo e gli scherzi
erano all'ordine...della notte. Il film Amici Miei ha molto "copiato" da quel clima.
Un esempio: si fermava una guardia notturna per chiedergli di una via che non esisteva
magari con un nome molto importante...C'era molta goliardia tipica dei periodi universitari.
Era molto esigente e quando in orchestra c'era qualche elemento che non
era all'altezza, la cosa lo irritava e questo in particolar modo per la sezione
ritmica.
Nella sua carriera ha fatto molto ma avrebbe potuto fare di più se non
avesse avuto paura dell'aereo. IN fondo, però, non si è mai sentito completamente
soddisfatto, era consapevole del suo valore ma non ha mai manifestato orgoglio per
questo. Nell'insieme era insoddisfatto e ciò dipendeva anche da lui. A lui piaceva
avere molto pubblico, suonare nelle sale da ballo, avere grande spazio e un pubblico
che rispondesse.
Nell'ultimo periodo era molto soddisfatto perchè faceva molti concerti
di jazz, che era la musica che realmente amava, mentre prima era un po' costretto
a suonare altro. Un mese prima della sua scomparsa ha suonato qui a Bologna presso
l'Anzola Jazz Club che oggi porta il suo nome ed era soddisfatto, aveva certo
i suoi problemi legati alla respirazione, ma il suono era quello lì...inconfondibile.
Come eredità lascia indubbiamente il suo modo di fare musica. A livello
strumentale, come ho già detto, principalmente il suo suono, unico a livello mondiale.
Si pensi che il 1° clarinetto della Scala, che è un grandissimo musicista, era amico
di Gualdi e invidiava la sua voce, lo diceva sempre. Un insegnamento che
lascia è anche la logica nel suo fraseggio durante le improvvisazioni. Una grandiosa
capacità di coordinamento tra un suono e l'altro, senza furberie, collegare i suoni.
Amava molto i brani di Goodman ma su tutti credo che il brano che lo rappresenti
di più in assoluto sia Stardust.
Mi manca molto Henghel e manca molto alla musica, c'è un bel vuoto
senza di lui. Speriamo nei giovani...ce ne sono di bravi, chissà...
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15/06/2006 | 16 giugno 2005: un anno fa la scomparsa di
Henghel Gualdi lasciava un grande vuoto oggi ancora più forte. Jazzitalia
lo ricorda attraverso le testimonianze di: Nando Giardina della Doctor Dixie Jazz Band,
Renzo Arbore, Pupi Avati, Lele Barbieri, Luigi Barion,
Gianni Basso, Franco Cerri, Teo Ciavarella, Felice Del Gaudio,
Gianni Giudici, Annibale Modoni, Marcello Rosa, Jimmy Villotti... |
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Data ultima modifica: 11/02/2008
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