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Ciao Henghel
di Gianni Giudici

Duetto
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Stardust
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My Gospel
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Per diverso tempo, a partire dai primi anni settanta quando mi sono trasferito in Emilia Romagna, vedevo ogni tanto Henghel Gualdi suonare a Cattolica e dintorni senza mai avere occasioni per veri e propri contatti diretti. Francamente lo sentivo suonare un Jazz eccellente e strumentalmente incredibile, ma di una scuola jazzistica "precedente" alla mia: io avevo poco più di vent'anni, le prime volte che lo vidi, e provenivo dalla Milano dei famosi Jazz Clubs, con tutto l'entusiasmo giovanile e la passione per un Jazz che aveva poco a che fare con quello che più spesso sentivo suonare da lui e da altri della sua generazione. Amavo pianisti come Corea, Hancock e Jarrett, poi i gruppi dell'avanguardia di allora come Weather Report e Yellow Jackets, al massimo quando ero giù di morale (sto scherzando..) sentivo Evans, ma sopra a tutti c'erano Tyner e Coltrane (spirituali e carismatici). In sintesi, avevo riferimenti musicali piuttosto lontani dagli standards di Gualdi, in antitesi rispetto al cosiddetto Jazz Contemporaneo delle pseudo-avanguardie di allora, che (come la Classica Contemporanea o la prima Musica Elettronica) mi provocavano a volte fastidiosi disturbi fisici (meglio non precisare…). Per dirla tutta, "Stardust & Co" mi suonavano un po' datate, anche se interpretate così bene da Henghel, e non mi veniva certo la voglia di metterle nel mio repertorio, anche se magari le suonavo all'Hammond, che ben si prestava ad arrangiamenti armonici complessi, ma forse troppo ricercati e poco attinenti. Poi, anche il Clarinetto non era (per le mie orecchie di quegli anni) il massimo della ispirazione Jazzistica, anche se avevo già suonato con tanti clarinettisti, tra i quali l'inossidabile Tomelleri, l'amico Tirincanti (a Riccione) e il grande Tony Scott, con quest'ultimo in varie occasioni al Capolinea di Milano ed al Music Inn di Roma, proprio lo Scott il cui clarinetto era spesso più cattivo e moderno di tanti tenori coltraniani dell'ultima ora. Insomma poteva sembrare che io "snobbassi" un po' Henghel (che pirla! ma non ero il solo…) anche perché la differenza di età "a quella età" si sente di più.

P
oi un giorno di diversi anni dopo (siamo già negli anni novanta) mi arriva un invito da un comune amico (il compianto professore, uomo di infinita cultura e saggezza, Athos Lazzari) per fare una conferenza-concerto al Teatro della Regina di Cattolica (ho ancora il video integrale) proprio insieme a lui, al mostro sacro: con Henghel Gualdi. Ovviamente accetto subito, ci incontriamo poco dopo e da lì è iniziato un rapporto che oggi, a distanza di anni e senza più Henghel, sento come un regalo a metà, un dono non del tutto sfruttato, forse non ricambiato e onorato come avrei potuto e dovuto. Ci ripenso spesso con una punta amara di nostalgia, quella che sento sempre quando penso a cosa "avrei potuto fare" e che invece non ho fatto e non farò mai più (A Minha Saudade…).



Non serve che dica anche io chi era Henghel Gualdi musicalmente e umanamente, un uomo di cui hanno parlato e scritto in tanti più titolati di me, ma posso ricordare le esperienze che abbiamo vissuto insieme come un mio personale omaggio a lui, il ricordo di Gianni Giudici, uno dei tanti pianisti che lo hanno accompagnato negli anni, uno che in fondo non ha suonato tanto con lui, ma che allo stesso tempo ha avuto modo di suonare "tanto" più di altri, nel senso che cercherò di spiegare di seguito. Fin dal primo incontro, infatti, è stato chiaro che non si sarebbe trattato del solito duetto tra un musicista più "maturo" ed un pianista che lo avrebbe accompagnato come molti (né meglio né peggio) cioè come mi è capitato di fare anche con tanti americani di grandissimo nome. Di solito loro arrivano tardi, ti piazzano le parti in mano (quando ci sono) e si aspettano che tu esegua il compitino degnamente, ovviamente senza sbagliare, ma non necessariamente mettendoci troppo del tuo, pena disturbare in un certo senso la "loro" esibizione. La cosa importante è che loro, i grandi nomi (ma non tutti, per fortuna) possano eseguire il loro repertorio di sempre senza troppi patemi d'animo e (perché no) senza troppa fatica. Con Henghel non fu mai così: capimmo subito, non so dire perché, che si sarebbe sviluppato qualche cosa di più, che c'era una voglia di regalarsi reciprocamente parte nella nostra musica; magari di creare qualcosa "ad hoc" per questo duo estemporaneo, dopo che per anni ci eravamo incontrati ed apprezzati da lontano senza mai suonare insieme, "In fondo cosa ci vuole ad accompagnare Stardust o L'Americano a Parigi…" pensano molti giovani pianisti, ingannati dalla apparente semplicità di armonie e temi sentiti (male) mille volte. Certo, la musica modale "sembra" molto più complessa e moderna, ma quanta mistificazione permette (almeno in apparenza) e quanta libertà concede a chi può usare molto talento, se lo ha, con poco sforzo. Non è così con gli "standards": metti una nota sbagliata, una alterazione che non è proprio quella che ci vuole, che magari va formalmente bene ma che non c'entra nulla con l'atmosfera del brano, oppure dimentica o banalizza un accordo di passaggio e tutta la costruzione e la bellezza originale dello "standard" vanno a farsi benedire. Basta poco e perdi il senso della melodia, mandi al diavolo una invenzione armonica che invece può costituire la geniale soluzione di un passaggio, la novità rivoluzionaria di un contro-canto o di una "inner voice" sottintesa ma praticamente obbligatoria e che deve essere portata alla luce, un accordo che sembra scontato ma che non si deve cambiare per rispetto, per attinenza formale, per amore della Musica suonata bene.

Duettare con uno come Henghel poteva anche significare approssimare, improvvisare, accontentarsi: lui con tutta la sua incredibile musicalità e cultura ed io con il mio "orecchio", due mani non del tutto malvagie ed una certa esperienza Jazzistica iniziata a soli quindici anni. Potevamo dire: "Chi se ne frega: ci vediamo al Teatro un'ora prima e qualcosa di bello sicuramente rimediamo", come penso che sia successo a molti colleghi tante volte, come forse lui stesso ha magari fatto in molte occasioni e ospitate (in gergo si chiamano "marchette") forte di un repertorio collaudato e di un carisma (meritato) che gli faceva comunque raggiungere risultati sempre eccellenti. E invece no: come per un incontro da tempo aspettato, quasi come se avessimo un esame da superare o un obbiettivo definito da raggiungere, ci siamo messi a provare come non facevo da anni con nessun altro. Henghel veniva nel mio ufficio di pomeriggio, con il caldo e con il sole, magari dopo il mio orario di lavoro, oppure qualche volta nell'intervallo di pranzo (quando era a Cattolica) e si provava per ore con uno spirito entusiasta (tanta ispirazione e molta traspirazione) con passione vera e una simpatia reciproca crescente e sincera. Non provammo solo "Stardust" o il suo repertorio classico, di cui conserverò per sempre la cartellina che per anni ho tenuto pronta per lui, ma anche brani che non aveva mai suonato prima e che volle studiare con me, composizioni diverse dal suo solito repertorio, qualche mio brano magari armonicamente semplice, ma tanto lontano dallo Swing che lo aveva contraddistinto, una esplorazione che ogni tanto gli faceva tirare qualche "Porc…. ‘sta roba qua é difficile"… "Ma che difficile Henghel!" – gli rispondevo ridendo - "Cazzo, stai suonando più moderno di tanti ragazzini: sei Modale e Tonale, quando vuoi anche Atonale" - e lui: "Ma va là, altro che Modale: è che mi sono perso per le Scale!..". E via a provare ancora, suonando sempre con un gusto consapevole, con una intenzione lucida e una pronuncia (musicale) sempre ispirata, che mi faceva venire la pelle d'oca, il cuore accelerato ed il respiro corto di chi sente di stare vicino a uno di "quelli veri..". Facile dirlo adesso; facile fare la solita sequenza di belle frasi dette quando è tardi, come è successo per tutti: per Larry Nocella, oggi un mito e ieri evitato come una rottura di c… da molti, come e soprattutto per Giulio Capiozzo, che molti in vita quasi non potevano vedere e che adesso "erano tutti suoi amici fraterni" (parlo anche di qualche amico batterista: perdonatemi ma è vero..). Ma con Henghel non era così; io gli volevo bene davvero, non dico come a mio padre ma certamente era con lo stesso affetto e preoccupazione che gli rompevo le scatole per le troppe sigarette (proprio come a Gigi "el negher" Giudici, mio padre) perché certi pomeriggi respirava come un vecchio mantice d'organo a canne o meglio come il piccolo mantice un po' spompato di un armonium a pedali…La cosa incredibile è come invece, imboccato lo strumento, il suo costante lieve ansimare e il suo respiro sempre un po' gorgogliante, diventassero un suono limpido e potente, che lui sottolineava con ammiccamenti sapienti e da figlio di……, come era abituato a fare negli anni storici e un po' Felliniani delle grandi Orchestre.

Ogni tanto mi sgridava bonariamente "Gianni devi sorridere di più quando suoni"… Io invece quando suono ho una faccia da stronzo che strozza: divento serio, mi mastico la lingua, sembra che soffro (non è vero) e raramente sorrido, specie quando suono con qualche batterista che mi fa sudare, ma che non mi lascia mai per la strada perché io non mollo (amici batteristi, vi amo tutti…) perché forse non sono stato abbastanza "in orchestra" (solo due o tre anni con Johnny Sax) per capire che si comunica anche con i gesti, con la testa, con il movimento dei capelli. Sono cose che colpiscono il pubblico, specie quello femminile, che per Henghel erano un corollario professionale ormai naturale e del tutto accessorio, anche se questa era una altra sua caratteristica, perché era anche "bello da vedere" quando suonava e la cosa non guasta mai. Bastavano due note, una frase, qualche battuta di un tema, e tutta la musica del mondo te la trovavi lì di fianco, se eri fortunato e stavi suonando con lui, ma guai a sgarrare, a metterci quella famosa "notina" che non c'entrava un c…… Lui sentiva subito, si girava appena e ti guardava per un attimo, continuando a sorridere al pubblico stregato dal suo clarinetto, che muoveva come un saggio incantatore di serpenti.

Henghel non era asettico e perfetto: sbagliava ogni tanto anche lui, ma lo faceva "bene", dandoti contemporaneamente la soluzione per uscire dalla impasse, per riprendere il discorso e ripartire come e meglio di prima. Provo la stessa sensazione quando suono con gli Swing Maniacs di Renzo Arbore, un altro "clarinetto" che racchiude la storia della musica e della televisione: hai la consapevolezza che stai ricevendo più di quanto dai, il feeling di stare costruendo un pezzo della tua vita musicale che diventa "ricordo da ricordare" nel momento stesso in cui lo vivi o forse un attimo prima (qualcuno capirà..).

Sono incazzato caro Henghel: ti hanno dedicato troppo poco spazio da vivo e ancora meno da m……… No, non la voglio dire questa parola: un musicista come te non muore mai davvero, anzi diventa più vivo quando la banalità di sapere che esiste smette di rendere ovvia la tua esistenza, perché ci si rende conto davvero di chi manca solo quando viene a mancare.

Carissimo Maestro Henghel Gualdi, sono stato un pianista fortunato e sono felice di averti incontrato, anche se tra i mille che hanno suonato con te non sono tra quelli che lo hanno fatto di più (e non ci sono nemmeno nel tuo libro...). Posso dire che sicuramente non solo ho suonato "con" te, ma ho suonato "per" te, perché ti ho amato ogni minuto che abbiamo vissuto insieme (parlando, suonando e bevendo) e mi resta oggi un ricordo struggente ed una grande rabbia, perché so quante cose potevi ancora fare e non hai fatto, anche se ne hai fatte così tante che a raccontarle non ci si crede. Mi restano tanti ricordi, molti rimpianti, qualche registrazione e un bel video registrato in TV, di un concerto Jazz per Clarinetto e Pianoforte (noi due) fatto al Teatro Novelli di Rimini, dove oltre agli standards (che non potevi non suonare, per chi ti amava da anni) abbiamo suonato brani tuoi (uno scritto per me) e miei (riscritti per te) oggetti preziosi che conserverò per sempre nella cassaforte del mio cuore, insieme a poche altre cose, al mare e alle farfalle (someone knows what I mean.. J). Sembrava che tu avessi sempre trent'anni quando suonavi, Henghel mio, ed allo stesso tempo avevi tre secoli, perchè in te si sentiva la giovinezza intatta di chi può sempre meravigliarsi come un ragazzo, per un brano mai suonato prima, per un nuovo fraseggio o un'armonia poco frequentata, e contemporaneamente guardavi con una sorta di rispetto reverenziale al passato dei grandi musicisti classici, come ad un territorio sempre da esplorare e da scoprire anche se già scoperto, da capire con orecchie sempre più analitiche e precise, con amore e con stupore. Quanto è difficile suonare bene "Stardust" caro Henghel: se mi aspetti quando arrivo (con calma: non ho nessuna fretta...) riprendiamo le prove e mettiamo a punto quel passaggio… tanto il clarinetto l'hai sicuramente con te, perché c'è così tanta Musica da suonare che una sola vita non ti basta di certo…

Con tanto, tantissimo affetto
uno dei tuoi pianisti
Gianni Giudici


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Intervista a Nando Giardina - Doctor Dixie

Ricordo di Renzo Arbore
Ricordo di Pupi Avati
Ricordo di Luigi Barion
Ricordo di Gianni Basso
Ricordo di Franco Cerri
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Ricordo di Gianni Giudici

Ricordo di Marcello Rosa
Ricordo di Jimmy Villotti
La Doctor Dixie Jazz band






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COMMENTI
Inserito il 16/12/2009 alle 3.09.00 da "postmaster"
Commento:
Complimenti per tutto quello che hai detto su Henghel e sulla musica in generale. Parole verissime.Gabriele Falchieri.
 

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Data ultima modifica: 11/02/2008

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