Intervista a Nando Giardina
Il ricordo dei "Grandi" sconfigge la loro Morte
di Giovanni Masciolini e Ivana
Ruzickova
Solitude
Bologna, Europauditorium, 29 novembre
1997
Henghel Gualdi -
clarinetto
Nando Giardina - voce
Quando mi è stato chiesto di scrivere, post mortem, un articolo su
Henghel Gualdi sono rimasto un po' perplesso: lo avevo sentito telefonicamente
due o tre anni fa per una decina di volte, purtroppo non ci eravamo spiegati bene
sulla differenza tra "jazz moderno – e jazz passato", diciamo che ci eravamo
lasciati un po' così… Mi ricordo sin da bambino, erano gli anni
1952-1953,
di Henghel Gualdi quando suonava in piazza San Marco a Venezia: al "Bar
Florian", mio padre Masciolini
al clarinetto ed il suo complesso dall'altra parte, al "Bar Degli Specchi"
Gualdi sempre al clarinetto ed il suo gruppo. Era uno spettacolo indescrivibile
vedere la folla, sì perché di folla si trattava, spostarsi da una parte all'altra
della piazza, applaudire appassionatamente gli assoli di uno o dell'altro per poi
decretare alla fine, con un applauso più scrosciante, il "vincitore morale"
della serata. Alle volte vinceva mio padre altre Henghel: belle gare, cose irripetibili
per i nostri giorni… Mi ricordo poi, alla fine degli anni
'50, di aver incontrato
Gualdi in un locale di Abano Terme, il "San Daniele", oggi discoteca
(!). Ero sempre un bambino ed ero accompagnato da mio padre, Henghel con
il suo gruppo suonava stupendamente delle musiche da ballo, ma verso l'una della
notte papà prese dall'auto il sax e da quell'ora in poi una meravigliosa jam session
fino alle tre del mattino suonata dal nuovo complesso che si era formato con i due
nuovi mattatori Gualdi e Masciolini.
La gente non andò via, anzi, rimase lì "incollata" ai propri posti oppure ballando
al ritmo di quel jazz fatto di grande swing, sì ballavano partecipando in maniera
ancora maggiore a quella festa così improvvisata. Mah altri tempi! Magari oggi si
tornasse a ballare al ritmo dello swing invece di rimanere seduti per ascoltare
il suono della cosiddetta musica "creativa"… In ogni caso, dopo la morte
di Gualdi ho deciso di scrivere questo articolo: anche se non ci eravamo
capiti ultimamente, anche se mio padre e lui erano stati antagonisti, erano stati
amici e facevano parte di quella vecchia storia del "Jazz Italiano" così bistrattato
o, peggio, dimenticato. Parto da Padova per giungere a Bologna dove ho appuntamento
con Nardo Giardina, grande amico di Gualdi, presso la "Cantina"
in via Cesare Battisti 7b. Non ero mai stato in quel luogo, lo raccomando però a
tutti: sì una vera cantina come ai tempi eroici del jazz, un vecchio luogo con decine
di manifesti affissi ai muri, un posto con odore di "jazz D.O.C.P". Quella sera
la formazione era ridotta per alcune defezioni, ciò nonostante Franco Franchini
al piano, Stefano Donvito al basso elettrico, Andrea Zucchi al sax
baritono e sax alto, e Nardo Giardina alla tromba e voce mi hanno deliziato
per due ore abbondanti con il loro jazz fatto di tanto swing. Il gruppo si chiama
Doctor Dixie Jazz Band ed ha, unico al mondo, oltre 50 anni d'attività!
Facendo click qui, trovate
informazioni relative questa straordinaria band.
Giovanni Masciolini:
questa sera di venerdì siamo qui nella cantina, come si chiama questa cantina?
Nando Giardina:
Doctor Dixie
G.M.:
forse è una delle cantine più vecchie al mondo per quanto riguarda il jazz...
N.G.:
come continuità sì
G.M.: è nata quando?
N.G.: sono 34 anni
G.M.: 34 anni!
N.G.: continuativamente tutti i venerdì da ottobre a maggio, tutti gli anni
che Dio manda in terra!
G.M.:
è un record!
N.G.: sì: come banda amatoriale è sicuramente la più longeva, esistono altre
sigle molto vecchie come la "Glenn Miller Orchestra" ma in realtà non esistono
più…
G.M.: Giardina tu prima
mi hai raccontato delle cose di Bologna eccezionali: Bologna è stata sede di un
Jazz Festival molto importante, ecco vorrei che tu mi raccontassi la cronistoria
di quella che è "Bologna Città di Jazz"...
N.G.: tutto nasce nel dopoguerra, esisteva però un gruppo che ascoltava jazz
prima: ne facevano parte alcuni personaggi più o meno noti, sicuramente lo è
Giorgio Martinelli, ancora vivo, giornalista del Carlino per anni, poi Mario
Bertolazzi pianista e Bruno Vailati che è stato il maestro di Folco
Quilici. La guerra finisce e il tutto ricomincia con un jazz club, stasera per
esempio manca Romolo Tintorri che già dirigeva il jazz club nel lontano
1947. A Bologna poi
cominciarono ad arrivare i Big: ricordo l'orchestra di Benny Goodman con
due batteristi, poi Count Basie, Ellington, automaticamente qui il
jazz si divide in due tronconi: "modernisti e tradizionalisti". Nel
1952 nasciamo noi come
band, come a Roma la Roman e a Milano la Lambro.
G.M.: mi spieghi qual
è la differenza tra voi che facevate solo il jazz e Henghel Gualdi che aveva
anche un gruppo di musica da ballo? Infatti chi non faceva solo il jazz, per vivere,
doveva suonare anche un'altra musica, diventavi automaticamente un professionista,
ed in Italia, se non suonavi nelle balere, non mangiavi…
Franco Franchini (pianista):
sì è vero Henghel prese la "Bacchetta d'Oro Pezziol" nel
1954
N.G.: sì è vero quello che tu dici Masciolini, nella nostra nazione si forma
questa strana divaricazione tra chi fa il jazz con bande tradizionali. Grosso modo,
però, nelle jam organizzate dal Jazz Club partecipano esclusivamente i professionisti
tipo Gualdi, Lamberti, Sergio Nardi…
G.M.: anche in tutte
le altre città esisteva lo stesso fenomeno
N.G.: sì è vero, qui al jazz club di Bologna, nel
1952, la "Stella" di quella
sera era, per esempio, Gianni Basso, lui è del
'32, io del
'34, e a quell'epoca Gianni
aveva già girato tutta Italia, questo valeva un po' per tutti quanti: a queste jam
partecipavano tutti quelli che potevano competere anche con gli americani che erano
di passaggio. Nel frattempo i "tradizionalisti" si richiudevano in se stessi e facevano
solo quel tipo di musica, avveniva quindi una divisione automatica. Il Jazz Club
continua anche quando noi facevamo delle tournèe sia in Italia che all'estero, finché
si pensò di fare un Jazz festival qui a Bologna dove nel frattempo era già passato
Armstrong. Nel 1959 quindi questo Festival
viene lanciato da Alberto Alberti (con Cicci Foresti) che poi
sarà il maestro di Carlo Pagnotta per Umbria Jazz. Pensa che l'Alberti
si era già messo in contatto con un venditore di dischi di Londra ed aveva aperto
qui in città un negozio di solo jazz, era la prima volta!
G.M.: forse il primo
negozio di jazz in Italia?
N.G.: probabilmente sì! A quel tempo poi, per questo livello, c'era la partecipazione
dell'Università dove parecchi studenti facevano gli animatori.
G.M.: è forse per questo
che la sinistra considerava all'epoca "di nicchia" il nostro jazz?
N.G.: inizialmente sì, perché era guardato, non dico come una situazione
reazionaria, ma certamente filoamericana, ma non solo sotto il fascismo, anche dopo.
G.M.: sai mio padre ha
fatto due mesi di galera, sotto il fascismo, perché suonava il jazz!
N.G.: sì ma sotto il fascismo era proibito, successivamente, durante la "Repubblica
Sociale" accadde un fatto strampalato, come ci ha raccontato Mazzoletti al
Rotary Club: i "repubblichini", per farsi ascoltare, mettevano incessantemente in
onda dischi di jazz per catturare l'attenzione delle persone. Non si è mai sentito
in Italia tanto jazz come in quel periodo! Tornando a noi tieni presente che la
musica jazz, negli anni '50,
dai giovani bolognesi, era considerata "musica d'uso", come in America, soprattutto
negli ambienti universitari.
G.M.: anche il be bop?
N.G.: Il be bop era organizzato dal jazz club così come il cool, perché nel
frattempo erano arrivati Baker, Mulligan e molti altri.
G.M.:
a Bologna, città rossa da sempre, come reagisce il partito?
N.G.: completamente indifferente, per lo meno fino alla fine degli anni
'50.
Chet Baker
si era stabilito qui a Bologna e non solo lui: Chet trovò chi li rimise a posto
la bocca, un certo Francesco Lo Bianco, io lo conobbi nel
'56, '57,
presso lo studio di questo dentista in via Rizzoli. Inizia poi il Jazz Festival,
che ebbe immediatamente un grosso successo, chiamato poi Festival Internazionale
del Jazz, con nomi sempre più importanti nelle varie edizioni. Di conseguenza
ebbe l'accettazione da parte del sistema pubblico, il tutto organizzato tramite
il Teatro Comunale: l'unica divisione è che il Comune era SocialComunista con prevalenza
nei posti di comando di comunisti, mentre il Teatro Comunale è sempre stato Socialista
e la cosa non disturbava affatto… in seguito si cominciarono a chiamare le cosiddette
"avanguardie" che ebbero il successo a corrente alternata, mentre personaggi come
Dexter Gordon e nel '70 Miles Davis,
che al piano aveva un ragazzino di nome
Keith Jarrett,
ebbero un successo enorme. Naturalmente Miles Davis con Jarrett erano
delle novità pescate in America e portate qui a Bologna come primo Festival a Bologna.
Intanto la parte jazzistica tradizionale italiana, a metà degli anni
'60, era finita, muore tutto.
G.M.: come mai?
N.G.: perché arrivano gli americani ed anche altri complessi europei importanti
tipo Jacques Pelzer, tutta gente con i quali io ho suonato. Franco Franchini:
vorrei ricordare una cosa, la Rheno Dixieland Band (vecchio nome della Doctor
Dixie) aprì la propria storia jazzistica al Teatro Duse di Bologna suonando in coppia
con il quintetto di Horace Silver nel 1959
G.M.: però negli anni
'70 cambia qualcosa?
N.G.: certo come ho già detto il jazz italiano tradizionale scompare, ma
non solo per l'avvento dei grandi gruppi americani ed europei ma anche e soprattutto
per l'avvento "della contestazione giovanile" che si attacca automaticamente al
free jazz e al jazz creativo.
G.M.: c'entra anche l'arrivo
della musica beat, dei Beatles...
N.G.: sì ma non più di tanto, per lo meno non per gli appassionati di jazz.
Invece nascono anche qui a Bologna complessi di free jazz che rappresentano la contestazione,
naturalmente tutti gruppi che non hanno alle spalle una cultura musicale solida
ma bensì una cosa totalmente improvvisata. Arriviamo poi alla fine degli anni
'70 e qui comincia "l'affiliazione" con Umbria:
il Jazz Festival di Bologna continua fino al 1975,
mentre nel 1973 comincia Umbria Jazz in parallelo
con Bologna. Senza nulla togliere, ma mentre a Umbria Jazz c'è più spazio e non
c'è contestazione, a Bologna cominciano ad essere contestati i musicisti: tutti
quelli che non facevano free, venivano tutti fischiati brutalmente!!! A questo
punto sia Alberti, che Badini ed anche Foresti decidono che
non è più il caso e chiudono il Teatro Comunale: muore così "seccamente" nel
1975 il Jazz Festival di Bologna!
Qui da noi il jazz, se si può chiamare jazz, continua esclusivamente nelle
Feste dell'Unità con gruppi di free o gruppi di cosiddetti "creativi". Un
danno pazzesco perché la gente va ad ascoltare quella "roba" si stanca e si allontana
dal jazz anche perché non è proprio piacevole ascoltare quella "roba" lì… Io intanto
nel 1972, nel ventennale, avevo riunito la band
di nuovo, trovo questa cantina perché per andare avanti ci vuole continuità, riunisco
i vecchi amici, tornano tutti gli appassionati di jazz ed Alberti mi portava
qui i musicisti che suonavano a Umbria Jazz ricostituendo così una specie di Jazz
Club. Alla fine degli anni '70 accade un fatto
molto importante: esce il film di Pupi Avati, lui era stato anche clarinettista
con la mia band tra il '50
ed il '60, aveva anche sperato di fare il musicista
professionista ma non ce la fece… esce il film "Jazz
Band" che dà una nuova ventata di amore per il jazz, riportando in auge
anche la parte tradizionale. Quindi da una parte nei jazz club il "jazz serio" rimpiazza
il free o il creativo, il free che nemmeno in Unione Sovietica veniva sopportato…
Per fortuna alla fine degli anni '70 tornano
fuori i professionisti, i maestri: sassofonisti, clarinettisti, trombettisti, pianisti
che hanno poi dato origine a questa generazione: ricomincia l'amore per il Conservatorio,
viene istituita la prima cattedra di jazz, qui a Bologna, che fu affidata a Ettore
Ballotta, un grande direttore d'orchestra tuttora vivente. Nascono anche parecchi
locali, purtroppo regolarmente falliti, anche Pier Giorgio Farina durò un
solo anno, locali che non funzionarono perché la frequentazione era quella che era,
l'orchestra suonava venti minuti e poi stop, mentre il jazz deve essere incalzante,
continuo, non deve timbrare il cartellino… Negli anni '80
cambia tutto quando arriva a Bologna un "Remember Sachmo" e Benny Goodman
al Teatro Medica, con alcuni elementi tipo Trummy Young che avevano suonato
con questi gruppi mitici. L'assessore alla cultura Riccomini decide allora
di affidare la gestione del jazz al nuovo Club dove si raccolgono 750 iscritti:
per 5 anni facciamo delle buone stagioni, un concerto al mese con gente come
Gillespie e molti altri.
G.M.: come si inserisce
Henghel Gualdi in tutta questa storia?
N.G.: Gualdi era nato nel
1924, continua a fare il
professionista di musica da ballo fino al 1984,
nell'85, '86
scioglie la sua orchestra che suonava "all'americana" tipo big band, però faceva
anche il liscio, anzi, faceva tutto, e comincia a partecipare ad alcune jam session
come faceva negli anni '50.
A Bltzs nel 1983 –
84 avevo nel mio gruppo
Gualdi, Paolo Conte al vibrafono, Pupi Avati, Renzo Arbore
ed incontro Pagnotta. Decidiamo con Carlo, sempre tramite Alberto Alberti,
di partecipare con questo gruppo ad Umbria Jazz nel 1984.
Tieni presente che Pagnotta, nel suo Festival, non aveva certamente avuto
tutti i problemi di Bologna, anzi, era entrata come sponsor la Perugina. Finito
Umbria Jazz nel '84 Gualdi creò il proprio
quintetto jazz prendendo un allora ragazzino al piano:
Teo Ciavarella
che è del '60, suo accompagnatore fino alla
fine. Bisogna notare che noi come band fino a due anni prima avevamo avuto un altro
grande del clarinetto nato nel
1920: William Righi primo violino del Teatro Comunale di Bologna,
gli muore la moglie, non ha figli, si rifugiò così qui in "Cantina" a suonare il
clarinetto, si risposa, scompare, ma fortunatamente arriva Gualdi. Inoltre
a Riccione, negli anni '50
i miei due idoli erano Henghel e Righi, anzi nel
'55 al "Florida"
di Riccione feci partecipare Righi ad una jam con la Roman e la
Milan, dove lui risultò il "Dio"...
Franco
Franchini: Gualdi suonava
anche qui a Bologna allo Sporting, era popolarissimo, tutti hanno ballato
con Henghel, ma non solo in Emilia, un po' in tutta Italia, era un grosso personaggio!
N.G.: ...nel 1968 a San Remo accade quel
fatto strampalato quando Pippo Baudo tirò fuori dal palco
Louis Armstrong,
al clarinetto c'era Henghel Gualdi, c'era anche
Carlo Loffredo
al banjo, mentre io ho suonato con Armstrong a "Il Signore delle 21"
trasmissione presentata da Ernesto Calindri. Oltre la mia band, chiamarono
anche la seconda "Roman" e la "Lambro". A Bologna invece alla fine
degli anni '80 cambiarono assessore, Nicola
Sinisi, il quale affidò la gestione del jazz non più al club ma al Teatro
Comunale, e questo poiché Sinisi pensava di poter tornare ai tempi di Badini
facendo così riesplodere il Jazz Festival di Bologna. Ma non fu così: l'ultimo
complesso fu quello di Woody Hermann, che era ammalato, con Buddy De Franco
al clarinetto. Da quel momento in poi più nulla finché non arrivò una "ventata"
in occasione del nostro 50.mo anniversario al Medica. Poi il sindaco di Bologna,
Guazzaloca, ha cercato di ricreare il vecchio Festival, ma nel frattempo
le cose erano cambiate: Alberti e Pagnotta avevano litigato anni prima,
era anche successo un problema sempre tra Pagnotta e Giampiero Cane,
che ha la cattedra di musica afro-americana, che quindi uscì da Umbria Jazz.
Guazzaloca, come ti dicevo, mi chiese di riorganizzare il Festival di Bologna,
ma purtroppo non c'era più nessuna struttura, si era tentato attraverso un'organizzazione
privata, dell'amico Polluce, che si appoggiava alla Conad, in ogni
caso non si fece nulla! Per fare un Festival bisogna avere una struttura come ha
Pagnotta a Umbria Jazz, ti faccio un esempio: la mostra su Caracci,
che si farà ad ottobre, novembre, costerà 4 miliardi delle vecchie lire, ora se
tu vuoi i più grandi del jazz qui a Bologna, non sono loro che costano tanto, ma
tutto il resto, il mangiare, il dormire, tutta l'organizzazione, e poi vogliono
essere pagati sull'unghia, il comune non paga subito, così come la regione, devi
avere delle spalle molto larghe per anticipare i soldi… Purtroppo non si è fatto
nulla anche perché Guazzaloca (tu sai che è stato il primo e il solo sindaco
di destra a Bologna dopo decenni di sindaci rossi) ha ricevuto un "omaggio" da parte
della regione (che è notoriamente di sinistra)… un "bidone" di trecento milioni:
la regione Emilia aveva promesso questa cifra ne ha dati trenta dopo due anni! Quindi
il Festival non è rinato, e nemmeno rinascerà visto anche i momenti attuali, anche
se Alberto Alberti ha
annunciato che lo farà questo autunno, non so con quali soldi, con quali aiuti:
il problema non è romantico, è di una banalità estrema, se tu hai soldi,
l'organizzazione che fa tutto, da quello che va alla SIAE, quello che stampa i
manifesti, quello che fa la pubblicità, quello che avvisa i giornali, la
televisione, allora riesci, altrimenti no!
G.M.: ma come mai non
è stata considerata molto la bravura di Gualdi qui a Bologna?
N.G.: con fatica, spingendo, gli è stato dato da Vitali il "Nettuno
d'Oro". Bologna non è stata grata per niente a Henghel, tant'è che lui negli
ultimi anni si era accasato a Cattolica, dove aveva trovato grande considerazione:
è stato nominato Cittadino Onorario, gli hanno fatto un memorial in dicembre in
occasione degli ottant'anni, Bologna attraverso Marco Poli forse, speriamo,
per lo meno questo ho letto sul Carlino, gli dedicherà una via.
G.M.: quando è morto
Gualdi, l'anno scorso, in Italia non è stato fatto praticamente nulla: solo un piccolo
annuncio…
N.G.: Appena arrivata la notizia della morte, mi dissero che nel TG3 regionale
delle 14.00 c'era una registrazione della nostra band con lui di tre minuti, nel
servizio delle 19.00 noi eravamo scomparsi e rimaneva solo una vecchia foto di Henghel.
Di certo Cofferati è un amante di musica lirica, l'assessore alla cultura
non dico che odia il jazz ma quasi… I locali attuali resistono con notevoli difficoltà:
la "Cantina Bentivoglio"
riesce a stare a galla perché fanno anche pop, rock, ecc. ed è più il fracasso della
gente che mangia che l'ascolto dei gruppi, il "Chet
Baker" è un ambiente molto piccolo, hanno notevoli difficoltà.
G.M.: secondo te come
si potrebbe attirare la gente per farla ballare con il jazz?
N.G.: Bisogna farlo! Bisogna farlo! C'è in giro un certo successo delle
Jumping Band: rifanno
Louis Prima,
il trombettista cantante, anche ad Umbria Jazz, il genere è quello che è, però sono
bravi, per fortuna non vai mai in samba, in musica tzigana ecc., e soprattutto in
quella creativa…. Ha ha ha… ideale sarebbe una band che fa lo swing, boogie boogie…
G.M.: Recentemente a
Roma è stato fatto un omaggio a Lester Young da parte di Carlo Atti
e Massimo D'Avola.
Ottimi tenor-sassofonisti di oggi ma tutto quello che facevano, alla fine, c'entrava
poco con Lester. Si avvertiva una certa mancanza di quel senso dello swing tipico,
lo swing alla Coleman Hawkins, alla Ben Webster: forse perché questi
giovani, comunque estremamente dotati, non hanno mai avuto l'opportunità di suonare
con delle Big Band. Ti faccio un altro esempio: prendiamo quintetto di Di Battista,
bravissimi, mille note e lo swing? E il magico ritmo dello swing? E' come se manchi…
N.G.: Ti dico questo: alla "fondazione della Banca del Monte" esiste una
sala dove c'è nel mezzo una statua anni
'30: bene quella statua
l'ha fatta Lucio Fontana, quello dei tagli, lui è arrivato ai tagli, ma sapeva
fare tutto, dipingeva come Raffaelo uguale, poi ha deciso di non farlo più, ha fatto
un'altra cosa, ma era un pittore, uno scultore, sapeva fare tutto… Se invece uno
parte dai "tagli" dove va a finire? Fa una parete bianca con un bel puntino in mezzo,
fa dei buchi neri: sarebbe molto importante non dimenticare quelli che ci hanno
preceduto! Quando eravamo a Nizza con Odorici, dopo di noi, c'era
Lee Konitz, bene è andato da Odorici e gli ha detto: tu sei
un bopper! È chiaro che le scuole sono diverse, anche perché ognuno di noi si sente
più attratto da un linguaggio invece di un altro, bisogna però conoscere le scuole,
i differenti linguaggi, la storia.
G.M.: Il jazz non parte
da Coltrane: c'è molto prima di lui, non si può conoscere solo questo modo
di suonare, come avviene purtroppo in molti giovani d'oggi. Quando morì Coleman
Hawkins,
Sonny Rollins
andò al suo funerale per omaggiare, non un sassofonista qualsiasi ma il Sax in persona,
uno di quelli che il sax lo hanno praticamente inventato …
N.G.: Ti faccio un altro esempio, anni fa in un jazz club eravamo io e
Alberti, suonava un sassofonista nero, del quale non ricordo il nome, che si
esibiva in una moltitudine di pezzi del cosiddetto "jazz creativo": migliaia di
"pidi po, pidi pè, pidi pà, pidi pù", vado da lui dicendogli che quello era un jazz
club e non un'altra storia, bene da quel momento in poi ha fatto un intero concerto
di be bop canonico, ha mollato completamente "i miagolii" precedenti sostituendoli
con delle note vere, era rientrato nei ranghi, ma lui lo sapeva fare, gli altri
che non ne sono capaci lasciamo perdere!
G.M.: Purtroppo poi qui
in nome quindi delle "avanguardie" sono stati fatti dei disastri! Anche il progetto
di Coltrane con il free non è riuscito! E si chiama Coltrane, se non
c'è riuscito lui, figuriamoci gli altri…
N.G.: Ma anche Miles Davis con il jazz rock: se lo fa Davis
è ancora ancora accettabile, morto Davis tutto finito, con Davis c'era
una sonorità particolare, un'intelligenza particolare…
La discussione si sposta poi prettamente verso le arti figurative: si
parla di Fontana, di De Chirico, di Morandi, si commenta tra
il "figurativo" e "l'astratto o l'informale", ci si "scalda" un po', sempre in maniera
bonaria di cosa sia l'arte, quale sia l'arte, un po' come parlare "di jazz tradizionale,
di be bop, di cool, di hard bop, e di free o di jazz creativo"… Per quanto mi riguarda
sono felice di aver conosciuto un uomo come Nardo Giardina, i suoi amici,
e tutti i ragazzi giovani, sì dico giovani, che ogni venerdì affollano questa "Cantina"
per respirare quest'aria che sa di un grande passato ma anche di uno straordinario
presente. Ripenso al jazz italiano a tutti quei fatti accaduti, ad una "età dell'oro"
che non esiste più, no, esiste, rivive nella memoria e nel ricordo di chi l'ha vissuta
esiste nel racconto di questi grandi personaggi, racconto che diventa attuale, anche
se sono passati parecchi anni: anni in cui il jazz si ascoltava e si ballava, anni
in cui esistevano pochi registratori, di elettronica nemmeno l'ombra, anni che sono
sì un passato remoto, ma sono anche presente e futuro per le nuove generazioni che
sanno suonare questa grande musica.
Grazie "vecchio" Henghel compagno di un viaggio che non finirà
mai… Chissà, forse in una qualche dimensione sconosciuta, continui a suonare da
una parte di una certa piazza, dall'altra mio padre, chissà, è solo un sogno, ma
anche i sogni aiutano a sopravvivere in un mondo che forse non accettiamo completamente.
Forse in questa dimensione "paradisiaca" non esiste più la politica: non esiste
più né la destra né la sinistra, esistono solo i musicisti che suonano il jazz,
esistono gli appassionati che ballano o che ascoltano… E' solo una remota speranza?
Chissà! Grazie "vecchi" ragazzi: grandi attori e non solo comparse di una magnifica
epoca!
Pagina iniziale
File Audio e Video
Intervista a Nando Giardina
- Doctor Dixie
Ricordo di
Renzo Arbore
Ricordo di Pupi Avati
Ricordo di Luigi
Barion
Ricordo di Gianni
Basso
Ricordo di Franco
Cerri
Ricordo di
Teo Ciavarella, Lele Barbieri
Felice
Del Gaudio, Annibale Modoni
Ricordo di Gianni
Giudici
Ricordo di Marcello
Rosa
Ricordo di
Jimmy Villotti
La Doctor Dixie
Jazz band
12/12/2018 | Addio a Carlo Loffredo, tra i padri del Jazz in Italia: "Ho suonato con Louis Armstrong, Dizzy Gillespie, Django Reinhardt, Stephan Grappelli, Teddy Wilson, Oscar Peterson, Bobby Hachett, Jack Teagarden, Earl "father" Hines, Albert Nicholas, Chet Baker, i Four Fresmen, i Mills Brother, e basta qui." |
15/06/2006 | 16 giugno 2005: un anno fa la scomparsa di
Henghel Gualdi lasciava un grande vuoto oggi ancora più forte. Jazzitalia
lo ricorda attraverso le testimonianze di: Nando Giardina della Doctor Dixie Jazz Band,
Renzo Arbore, Pupi Avati, Lele Barbieri, Luigi Barion,
Gianni Basso, Franco Cerri, Teo Ciavarella, Felice Del Gaudio,
Gianni Giudici, Annibale Modoni, Marcello Rosa, Jimmy Villotti... |
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COMMENTI | Inserito il 8/11/2006 alle 13.01.52 da "alberta47africa" Commento: Letto articolo e intervista,molto interessante,(consiglio)per rivivere quei magnifici momenti e quei tempi così pieni di gioia e sentimento,forse sarebbe il caso di entrare nella banca dati di CICCI FORESTI. Ora,purtroppo,ed è con dolore, che sappiamo non avere più il grande Alberto Alberti fra di noi. | |
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Data ultima modifica: 11/02/2008
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