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Intervista a Nando Giardina
Il ricordo dei "Grandi" sconfigge la loro Morte
di Giovanni Masciolini e Ivana Ruzickova




Solitude
Bologna, Europauditorium, 29 novembre 1997
Henghel Gualdi - clarinetto
Nando Giardina - voce

Quando mi è stato chiesto di scrivere, post mortem, un articolo su Henghel Gualdi sono rimasto un po' perplesso: lo avevo sentito telefonicamente due o tre anni fa per una decina di volte, purtroppo non ci eravamo spiegati bene sulla differenza tra "jazz moderno – e jazz passato", diciamo che ci eravamo lasciati un po' così… Mi ricordo sin da bambino, erano gli anni 1952-1953, di Henghel Gualdi quando suonava in piazza San Marco a Venezia: al "Bar Florian", mio padre Masciolini al clarinetto ed il suo complesso dall'altra parte, al "Bar Degli Specchi" Gualdi sempre al clarinetto ed il suo gruppo. Era uno spettacolo indescrivibile vedere la folla, sì perché di folla si trattava, spostarsi da una parte all'altra della piazza, applaudire appassionatamente gli assoli di uno o dell'altro per poi decretare alla fine, con un applauso più scrosciante, il "vincitore morale" della serata. Alle volte vinceva mio padre altre Henghel: belle gare, cose irripetibili per i nostri giorni… Mi ricordo poi, alla fine degli anni '50, di aver incontrato Gualdi in un locale di Abano Terme, il "San Daniele", oggi discoteca (!). Ero sempre un bambino ed ero accompagnato da mio padre, Henghel con il suo gruppo suonava stupendamente delle musiche da ballo, ma verso l'una della notte papà prese dall'auto il sax e da quell'ora in poi una meravigliosa jam session fino alle tre del mattino suonata dal nuovo complesso che si era formato con i due nuovi mattatori Gualdi e Masciolini. La gente non andò via, anzi, rimase lì "incollata" ai propri posti oppure ballando al ritmo di quel jazz fatto di grande swing, sì ballavano partecipando in maniera ancora maggiore a quella festa così improvvisata. Mah altri tempi! Magari oggi si tornasse a ballare al ritmo dello swing invece di rimanere seduti per ascoltare il suono della cosiddetta musica "creativa"… In ogni caso, dopo la morte di Gualdi ho deciso di scrivere questo articolo: anche se non ci eravamo capiti ultimamente, anche se mio padre e lui erano stati antagonisti, erano stati amici e facevano parte di quella vecchia storia del "Jazz Italiano" così bistrattato o, peggio, dimenticato. Parto da Padova per giungere a Bologna dove ho appuntamento con Nardo Giardina, grande amico di Gualdi, presso la "Cantina" in via Cesare Battisti 7b. Non ero mai stato in quel luogo, lo raccomando però a tutti: sì una vera cantina come ai tempi eroici del jazz, un vecchio luogo con decine di manifesti affissi ai muri, un posto con odore di "jazz D.O.C.P". Quella sera la formazione era ridotta per alcune defezioni, ciò nonostante Franco Franchini al piano, Stefano Donvito al basso elettrico, Andrea Zucchi al sax baritono e sax alto, e Nardo Giardina alla tromba e voce mi hanno deliziato per due ore abbondanti con il loro jazz fatto di tanto swing. Il gruppo si chiama Doctor Dixie Jazz Band ed ha, unico al mondo, oltre 50 anni d'attività!

Facendo click qui, trovate informazioni relative questa straordinaria band.


Giovanni Masciolini: questa sera di venerdì siamo qui nella cantina, come si chiama questa cantina?
Nando Giardina: Doctor Dixie

G.M.: forse è una delle cantine più vecchie al mondo per quanto riguarda il jazz...
N.G.: come continuità sì

G.M.: è nata quando?
N.G.: sono 34 anni

G.M.: 34 anni!
N.G.:
continuativamente tutti i venerdì da ottobre a maggio, tutti gli anni che Dio manda in terra!

G.M.: è un record!
N.G.:
sì: come banda amatoriale è sicuramente la più longeva, esistono altre sigle molto vecchie come la "Glenn Miller Orchestra" ma in realtà non esistono più…

G.M.: Giardina tu prima mi hai raccontato delle cose di Bologna eccezionali: Bologna è stata sede di un Jazz Festival molto importante, ecco vorrei che tu mi raccontassi la cronistoria di quella che è "Bologna Città di Jazz"...
N.G.:
tutto nasce nel dopoguerra, esisteva però un gruppo che ascoltava jazz prima: ne facevano parte alcuni personaggi più o meno noti, sicuramente lo è Giorgio Martinelli, ancora vivo, giornalista del Carlino per anni, poi Mario Bertolazzi pianista e Bruno Vailati che è stato il maestro di Folco Quilici. La guerra finisce e il tutto ricomincia con un jazz club, stasera per esempio manca Romolo Tintorri che già dirigeva il jazz club nel lontano 1947. A Bologna poi cominciarono ad arrivare i Big: ricordo l'orchestra di Benny Goodman con due batteristi, poi Count Basie, Ellington, automaticamente qui il jazz si divide in due tronconi: "modernisti e tradizionalisti". Nel 1952 nasciamo noi come band, come a Roma la Roman e a Milano la Lambro.



G.M.: mi spieghi qual è la differenza tra voi che facevate solo il jazz e Henghel Gualdi che aveva anche un gruppo di musica da ballo? Infatti chi non faceva solo il jazz, per vivere, doveva suonare anche un'altra musica, diventavi automaticamente un professionista, ed in Italia, se non suonavi nelle balere, non mangiavi…
Franco Franchini (pianista):
sì è vero Henghel prese la "Bacchetta d'Oro Pezziol" nel 1954
N.G.:
sì è vero quello che tu dici Masciolini, nella nostra nazione si forma questa strana divaricazione tra chi fa il jazz con bande tradizionali. Grosso modo, però, nelle jam organizzate dal Jazz Club partecipano esclusivamente i professionisti tipo Gualdi, Lamberti, Sergio Nardi…

G.M.: anche in tutte le altre città esisteva lo stesso fenomeno
N.G.:
sì è vero, qui al jazz club di Bologna, nel 1952, la "Stella" di quella sera era, per esempio, Gianni Basso, lui è del '32, io del '34, e a quell'epoca Gianni aveva già girato tutta Italia, questo valeva un po' per tutti quanti: a queste jam partecipavano tutti quelli che potevano competere anche con gli americani che erano di passaggio. Nel frattempo i "tradizionalisti" si richiudevano in se stessi e facevano solo quel tipo di musica, avveniva quindi una divisione automatica. Il Jazz Club continua anche quando noi facevamo delle tournèe sia in Italia che all'estero, finché si pensò di fare un Jazz festival qui a Bologna dove nel frattempo era già passato Armstrong. Nel 1959 quindi questo Festival viene lanciato da Alberto Alberti (con  Cicci Foresti) che poi sarà il maestro di Carlo Pagnotta per Umbria Jazz. Pensa che l'Alberti si era già messo in contatto con un venditore di dischi di Londra ed aveva aperto qui in città un negozio di solo jazz, era la prima volta!

G.M.: forse il primo negozio di jazz in Italia?
N.G.:
probabilmente sì! A quel tempo poi, per questo livello, c'era la partecipazione dell'Università dove parecchi studenti facevano gli animatori.

G.M.: è forse per questo che la sinistra considerava all'epoca "di nicchia" il nostro jazz?
N.G.:
inizialmente sì, perché era guardato, non dico come una situazione reazionaria, ma certamente filoamericana, ma non solo sotto il fascismo, anche dopo.

G.M.: sai mio padre ha fatto due mesi di galera, sotto il fascismo, perché suonava il jazz!
N.G.:
sì ma sotto il fascismo era proibito, successivamente, durante la "Repubblica Sociale" accadde un fatto strampalato, come ci ha raccontato Mazzoletti al Rotary Club: i "repubblichini", per farsi ascoltare, mettevano incessantemente in onda dischi di jazz per catturare l'attenzione delle persone. Non si è mai sentito in Italia tanto jazz come in quel periodo! Tornando a noi tieni presente che la musica jazz, negli anni '50, dai giovani bolognesi, era considerata "musica d'uso", come in America, soprattutto negli ambienti universitari.

G.M.: anche il be bop?
N.G.:
Il be bop era organizzato dal jazz club così come il cool, perché nel frattempo erano arrivati Baker, Mulligan e molti altri.

G.M.: a Bologna, città rossa da sempre, come reagisce il partito?
N.G.:
completamente indifferente, per lo meno fino alla fine degli anni '50. Chet Baker si era stabilito qui a Bologna e non solo lui: Chet trovò chi li rimise a posto la bocca, un certo Francesco Lo Bianco, io lo conobbi nel '56, '57, presso lo studio di questo dentista in via Rizzoli. Inizia poi il Jazz Festival, che ebbe immediatamente un grosso successo, chiamato poi Festival Internazionale del Jazz, con nomi sempre più importanti nelle varie edizioni. Di conseguenza ebbe l'accettazione da parte del sistema pubblico, il tutto organizzato tramite il Teatro Comunale: l'unica divisione è che il Comune era SocialComunista con prevalenza nei posti di comando di comunisti, mentre il Teatro Comunale è sempre stato Socialista e la cosa non disturbava affatto… in seguito si cominciarono a chiamare le cosiddette "avanguardie" che ebbero il successo a corrente alternata, mentre personaggi come Dexter Gordon e nel '70 Miles Davis, che al piano aveva un ragazzino di nome Keith Jarrett, ebbero un successo enorme. Naturalmente Miles Davis con Jarrett erano delle novità pescate in America e portate qui a Bologna come primo Festival a Bologna. Intanto la parte jazzistica tradizionale italiana, a metà degli anni '60, era finita, muore tutto.

G.M.: come mai?
N.G.:
perché arrivano gli americani ed anche altri complessi europei importanti tipo Jacques Pelzer, tutta gente con i quali io ho suonato.
Franco Franchini: vorrei ricordare una cosa, la Rheno Dixieland Band (vecchio nome della Doctor Dixie) aprì la propria storia jazzistica al Teatro Duse di Bologna suonando in coppia con il quintetto di Horace Silver nel 1959

G.M.: però negli anni '70 cambia qualcosa?
N.G.:
certo come ho già detto il jazz italiano tradizionale scompare, ma non solo per l'avvento dei grandi gruppi americani ed europei ma anche e soprattutto per l'avvento "della contestazione giovanile" che si attacca automaticamente al free jazz e al jazz creativo.

G.M.: c'entra anche l'arrivo della musica beat, dei Beatles...
N.G.:
sì ma non più di tanto, per lo meno non per gli appassionati di jazz. Invece nascono anche qui a Bologna complessi di free jazz che rappresentano la contestazione, naturalmente tutti gruppi che non hanno alle spalle una cultura musicale solida ma bensì una cosa totalmente improvvisata. Arriviamo poi alla fine degli anni '70 e qui comincia "l'affiliazione" con Umbria: il Jazz Festival di Bologna continua fino al 1975, mentre nel 1973 comincia Umbria Jazz in parallelo con Bologna. Senza nulla togliere, ma mentre a Umbria Jazz c'è più spazio e non c'è contestazione, a Bologna cominciano ad essere contestati i musicisti: tutti quelli che non facevano free, venivano tutti fischiati brutalmente!!! A questo punto sia Alberti, che Badini ed anche Foresti decidono che non è più il caso e chiudono il Teatro Comunale: muore così "seccamente" nel 1975 il Jazz Festival di Bologna!
Qui da noi il jazz, se si può chiamare jazz, continua esclusivamente nelle Feste dell'Unità con gruppi di free o gruppi di cosiddetti "creativi". Un danno pazzesco perché la gente va ad ascoltare quella "roba" si stanca e si allontana dal jazz anche perché non è proprio piacevole ascoltare quella "roba" lì… Io intanto nel 1972, nel ventennale, avevo riunito la band di nuovo, trovo questa cantina perché per andare avanti ci vuole continuità, riunisco i vecchi amici, tornano tutti gli appassionati di jazz ed Alberti mi portava qui i musicisti che suonavano a Umbria Jazz ricostituendo così una specie di Jazz Club. Alla fine degli anni '70 accade un fatto molto importante: esce il film di Pupi Avati, lui era stato anche clarinettista con la mia band tra il '50 ed il '60, aveva anche sperato di fare il musicista professionista ma non ce la fece… esce il film "Jazz Band" che dà una nuova ventata di amore per il jazz, riportando in auge anche la parte tradizionale. Quindi da una parte nei jazz club il "jazz serio" rimpiazza il free o il creativo, il free che nemmeno in Unione Sovietica veniva sopportato… Per fortuna alla fine degli anni '70 tornano fuori i professionisti, i maestri: sassofonisti, clarinettisti, trombettisti, pianisti che hanno poi dato origine a questa generazione: ricomincia l'amore per il Conservatorio, viene istituita la prima cattedra di jazz, qui a Bologna, che fu affidata a Ettore Ballotta, un grande direttore d'orchestra tuttora vivente. Nascono anche parecchi locali, purtroppo regolarmente falliti, anche Pier Giorgio Farina durò un solo anno, locali che non funzionarono perché la frequentazione era quella che era, l'orchestra suonava venti minuti e poi stop, mentre il jazz deve essere incalzante, continuo, non deve timbrare il cartellino… Negli anni '80 cambia tutto quando arriva a Bologna un "Remember Sachmo" e Benny Goodman al Teatro Medica, con alcuni elementi tipo Trummy Young che avevano suonato con questi gruppi mitici. L'assessore alla cultura Riccomini decide allora di affidare la gestione del jazz al nuovo Club dove si raccolgono 750 iscritti: per 5 anni facciamo delle buone stagioni, un concerto al mese con gente come Gillespie e molti altri.

G.M.: come si inserisce Henghel Gualdi in tutta questa storia?
N.G.:
Gualdi era nato nel 1924, continua a fare il professionista di musica da ballo fino al 1984, nell'85, '86 scioglie la sua orchestra che suonava "all'americana" tipo big band, però faceva anche il liscio, anzi, faceva tutto, e comincia a partecipare ad alcune jam session come faceva negli anni '50. A Bltzs nel 1983 84 avevo nel mio gruppo Gualdi, Paolo Conte al vibrafono, Pupi Avati, Renzo Arbore ed incontro Pagnotta. Decidiamo con Carlo, sempre tramite Alberto Alberti, di partecipare con questo gruppo ad Umbria Jazz nel 1984. Tieni presente che Pagnotta, nel suo Festival, non aveva certamente avuto tutti i problemi di Bologna, anzi, era entrata come sponsor la Perugina. Finito Umbria Jazz nel '84 Gualdi creò il proprio quintetto jazz prendendo un allora ragazzino al piano: Teo Ciavarella che è del '60, suo accompagnatore fino alla fine. Bisogna notare che noi come band fino a due anni prima avevamo avuto un altro grande del clarinetto nato nel 1920: William Righi primo violino del Teatro Comunale di Bologna, gli muore la moglie, non ha figli, si rifugiò così qui in "Cantina" a suonare il clarinetto, si risposa, scompare, ma fortunatamente arriva Gualdi. Inoltre a Riccione, negli anni '50 i miei due idoli erano Henghel e Righi, anzi nel '55 al "Florida" di Riccione feci partecipare Righi ad una jam con la Roman e la Milan, dove lui risultò il "Dio"...

Franco Franchini: Gualdi suonava anche qui a Bologna allo Sporting, era popolarissimo, tutti hanno ballato con Henghel, ma non solo in Emilia, un po' in tutta Italia, era un grosso personaggio!

N.G.:
...nel 1968 a San Remo accade quel fatto strampalato quando Pippo Baudo tirò fuori dal palco Louis Armstrong, al clarinetto c'era Henghel Gualdi, c'era anche Carlo Loffredo al banjo, mentre io ho suonato con Armstrong a "Il Signore delle 21" trasmissione presentata da Ernesto Calindri. Oltre la mia band, chiamarono anche la seconda "Roman" e la "Lambro". A Bologna invece alla fine degli anni '80 cambiarono assessore, Nicola Sinisi, il quale affidò la gestione del jazz non più al club ma al Teatro Comunale, e questo poiché Sinisi pensava di poter tornare ai tempi di Badini facendo così riesplodere il Jazz Festival di Bologna. Ma non fu così: l'ultimo complesso fu quello di Woody Hermann, che era ammalato, con Buddy De Franco al clarinetto. Da quel momento in poi più nulla finché non arrivò una "ventata" in occasione del nostro 50.mo anniversario al Medica. Poi il sindaco di Bologna, Guazzaloca, ha cercato di ricreare il vecchio Festival, ma nel frattempo le cose erano cambiate: Alberti e Pagnotta avevano litigato anni prima, era anche successo un problema sempre tra Pagnotta e Giampiero Cane, che ha la cattedra di musica afro-americana, che quindi uscì da Umbria Jazz. Guazzaloca, come ti dicevo, mi chiese di riorganizzare il Festival di Bologna, ma purtroppo non c'era più nessuna struttura, si era tentato attraverso un'organizzazione privata, dell'amico Polluce, che si appoggiava alla Conad, in ogni caso non si fece nulla! Per fare un Festival bisogna avere una struttura come ha Pagnotta a Umbria Jazz, ti faccio un esempio: la mostra su Caracci, che si farà ad ottobre, novembre, costerà 4 miliardi delle vecchie lire, ora se tu vuoi i più grandi del jazz qui a Bologna, non sono loro che costano tanto, ma tutto il resto, il mangiare, il dormire, tutta l'organizzazione, e poi vogliono essere pagati sull'unghia, il comune non paga subito, così come la regione, devi avere delle spalle molto larghe per anticipare i soldi… Purtroppo non si è fatto nulla anche perché Guazzaloca (tu sai che è stato il primo e il solo sindaco di destra a Bologna dopo decenni di sindaci rossi) ha ricevuto un "omaggio" da parte della regione (che è notoriamente di sinistra)… un "bidone" di trecento milioni: la regione Emilia aveva promesso questa cifra ne ha dati trenta dopo due anni! Quindi il Festival non è rinato, e nemmeno rinascerà visto anche i momenti attuali, anche se Alberto Alberti ha annunciato che lo farà questo autunno, non so con quali soldi, con quali aiuti: il problema non è romantico, è di una banalità estrema, se tu hai soldi, l'organizzazione che fa tutto, da quello che va alla SIAE, quello che stampa i manifesti, quello che fa la pubblicità, quello che avvisa i giornali, la televisione, allora riesci, altrimenti no!

G.M.: ma come mai non è stata considerata molto la bravura di Gualdi qui a Bologna?
N.G.:
con fatica, spingendo, gli è stato dato da Vitali il "Nettuno d'Oro". Bologna non è stata grata per niente a Henghel, tant'è che lui negli ultimi anni si era accasato a Cattolica, dove aveva trovato grande considerazione: è stato nominato Cittadino Onorario, gli hanno fatto un memorial in dicembre in occasione degli ottant'anni, Bologna attraverso Marco Poli forse, speriamo, per lo meno questo ho letto sul Carlino, gli dedicherà una via.

G.M.: quando è morto Gualdi, l'anno scorso, in Italia non è stato fatto praticamente nulla: solo un piccolo annuncio…
N.G.:
Appena arrivata la notizia della morte, mi dissero che nel TG3 regionale delle 14.00 c'era una registrazione della nostra band con lui di tre minuti, nel servizio delle 19.00 noi eravamo scomparsi e rimaneva solo una vecchia foto di Henghel. Di certo Cofferati è un amante di musica lirica, l'assessore alla cultura non dico che odia il jazz ma quasi… I locali attuali resistono con notevoli difficoltà: la "Cantina Bentivoglio" riesce a stare a galla perché fanno anche pop, rock, ecc. ed è più il fracasso della gente che mangia che l'ascolto dei gruppi, il "Chet Baker" è un ambiente molto piccolo, hanno notevoli difficoltà.

G.M.: secondo te come si potrebbe attirare la gente per farla ballare con il jazz?
N.G.:
Bisogna farlo! Bisogna farlo! C'è in giro un certo successo delle Jumping Band: rifanno Louis Prima, il trombettista cantante, anche ad Umbria Jazz, il genere è quello che è, però sono bravi, per fortuna non vai mai in samba, in musica tzigana ecc., e soprattutto in quella creativa…. Ha ha ha… ideale sarebbe una band che fa lo swing, boogie boogie…

G.M.: Recentemente a Roma è stato fatto un omaggio a Lester Young da parte di Carlo Atti e Massimo D'Avola. Ottimi tenor-sassofonisti di oggi ma tutto quello che facevano, alla fine, c'entrava poco con Lester. Si avvertiva una certa mancanza di quel senso dello swing tipico, lo swing alla Coleman Hawkins, alla Ben Webster: forse perché questi giovani, comunque estremamente dotati, non hanno mai avuto l'opportunità di suonare con delle Big Band. Ti faccio un altro esempio: prendiamo quintetto di Di Battista, bravissimi, mille note e lo swing? E il magico ritmo dello swing? E' come se manchi…
N.G.:
Ti dico questo: alla "fondazione della Banca del Monte" esiste una sala dove c'è nel mezzo una statua anni '30: bene quella statua l'ha fatta Lucio Fontana, quello dei tagli, lui è arrivato ai tagli, ma sapeva fare tutto, dipingeva come Raffaelo uguale, poi ha deciso di non farlo più, ha fatto un'altra cosa, ma era un pittore, uno scultore, sapeva fare tutto… Se invece uno parte dai "tagli" dove va a finire? Fa una parete bianca con un bel puntino in mezzo, fa dei buchi neri: sarebbe molto importante non dimenticare quelli che ci hanno preceduto! Quando eravamo a Nizza con Odorici, dopo di noi, c'era Lee Konitz, bene è andato da Odorici e gli ha detto: tu sei un bopper! È chiaro che le scuole sono diverse, anche perché ognuno di noi si sente più attratto da un linguaggio invece di un altro, bisogna però conoscere le scuole, i differenti linguaggi, la storia.

G.M.: Il jazz non parte da Coltrane: c'è molto prima di lui, non si può conoscere solo questo modo di suonare, come avviene purtroppo in molti giovani d'oggi. Quando morì Coleman Hawkins, Sonny Rollins andò al suo funerale per omaggiare, non un sassofonista qualsiasi ma il Sax in persona, uno di quelli che il sax lo hanno praticamente inventato …
N.G.:
Ti faccio un altro esempio, anni fa in un jazz club eravamo io e Alberti, suonava un sassofonista nero, del quale non ricordo il nome, che si esibiva in una moltitudine di pezzi del cosiddetto "jazz creativo": migliaia di "pidi po, pidi pè, pidi pà, pidi pù", vado da lui dicendogli che quello era un jazz club e non un'altra storia, bene da quel momento in poi ha fatto un intero concerto di be bop canonico, ha mollato completamente "i miagolii" precedenti sostituendoli con delle note vere, era rientrato nei ranghi, ma lui lo sapeva fare, gli altri che non ne sono capaci lasciamo perdere!

G.M.: Purtroppo poi qui in nome quindi delle "avanguardie" sono stati fatti dei disastri! Anche il progetto di Coltrane con il free non è riuscito! E si chiama Coltrane, se non c'è riuscito lui, figuriamoci gli altri…
N.G.:
Ma anche Miles Davis con il jazz rock: se lo fa Davis è ancora ancora accettabile, morto Davis tutto finito, con Davis c'era una sonorità particolare, un'intelligenza particolare…

La discussione si sposta poi prettamente verso le arti figurative: si parla di Fontana, di De Chirico, di Morandi, si commenta tra il "figurativo" e "l'astratto o l'informale", ci si "scalda" un po', sempre in maniera bonaria di cosa sia l'arte, quale sia l'arte, un po' come parlare "di jazz tradizionale, di be bop, di cool, di hard bop, e di free o di jazz creativo"… Per quanto mi riguarda sono felice di aver conosciuto un uomo come Nardo Giardina, i suoi amici, e tutti i ragazzi giovani, sì dico giovani, che ogni venerdì affollano questa "Cantina" per respirare quest'aria che sa di un grande passato ma anche di uno straordinario presente. Ripenso al jazz italiano a tutti quei fatti accaduti, ad una "età dell'oro" che non esiste più, no, esiste, rivive nella memoria e nel ricordo di chi l'ha vissuta esiste nel racconto di questi grandi personaggi, racconto che diventa attuale, anche se sono passati parecchi anni: anni in cui il jazz si ascoltava e si ballava, anni in cui esistevano pochi registratori, di elettronica nemmeno l'ombra, anni che sono sì un passato remoto, ma sono anche presente e futuro per le nuove generazioni che sanno suonare questa grande musica.

Grazie "vecchio" Henghel compagno di un viaggio che non finirà mai… Chissà, forse in una qualche dimensione sconosciuta, continui a suonare da una parte di una certa piazza, dall'altra mio padre, chissà, è solo un sogno, ma anche i sogni aiutano a sopravvivere in un mondo che forse non accettiamo completamente. Forse in questa dimensione "paradisiaca" non esiste più la politica: non esiste più né la destra né la sinistra, esistono solo i musicisti che suonano il jazz, esistono gli appassionati che ballano o che ascoltano… E' solo una remota speranza? Chissà! Grazie "vecchi" ragazzi: grandi attori e non solo comparse di una magnifica epoca!


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File Audio e Video

Intervista a Nando Giardina - Doctor Dixie

Ricordo di Renzo Arbore
Ricordo di Pupi Avati
Ricordo di Luigi Barion
Ricordo di Gianni Basso
Ricordo di Franco Cerri
Ricordo di Teo Ciavarella, Lele Barbieri
 
  Felice Del Gaudio, Annibale Modoni
Ricordo di Gianni Giudici

Ricordo di Marcello Rosa
Ricordo di Jimmy Villotti
La Doctor Dixie Jazz band






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COMMENTI
Inserito il 8/11/2006 alle 13.01.52 da "alberta47africa"
Commento:
Letto articolo e intervista,molto interessante,(consiglio)per rivivere quei magnifici momenti e quei tempi così pieni di gioia e sentimento,forse sarebbe il caso di entrare nella banca dati di CICCI FORESTI.
Ora,purtroppo,ed è con dolore, che sappiamo non avere più il grande Alberto Alberti fra di noi.
 

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Data ultima modifica: 11/02/2008

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