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Jazz - Libertà Condizionata e Consapevole Pazzia
di Gianni Giudici

Premessa
P
ochi generi Musicali possono contare, come il Jazz, su di una enorme letteratura, proliferata sulla base della relativa facilità di riassumere l'esistente, aggiungervi poche personalizzazioni (difficilmente opinabili, vista la materia) ed inserire così il proprio nome fra gli esperti ed anche fra i docenti, a volte solo per meriti artistici e non per reale conoscenza della materia,. Personalmente ho avuto modo di constatare come molti abbiamo potuto operare come sopra, specialmente prima della diffusione delle cattedre Jazzistiche presso i Conservatori, e come questo fenomeno sia nato dal luogo comune che "nel Jazz tutto è lecito, perché non esistono regole". Conscio del fatto che anche io corro lo stesso rischio, preciso che non è mia intenzione fare il "giudice" di nessuno (every pun intended), ma solo portare una personale esperienza diretta e descrivere l'essere Jazzisti in modo (spero) meno condizionato dai luoghi comuni. Contrariamente a quanto spesso si dice, è infatti proprio nel Jazz e nella improvvisazione che (comunque) deve esistere un costante equilibrio fra l'apparente libertà totale e le regole ferree della coerenza intenzionale. La constatazione della diffusa mistificazione nella letteratura Jazzistica ed in molta parte di quello che si scrive su questa materia è nata dall'analisi di una serie di testi anche famosi, nei quali (come esempio molto specifico e tecnico) si cerca di risolvere uno dei primi "rebus" della preparazione Jazzistica: come si interpretano le sigle degli accordi. Preparavo la prefazione ad un mio libro edito da Ricordi e mi sono trovato di fronte ad una lunga serie di sigle equivalenti, usate nei vari paesi e/o in periodi diversi, ma soprattutto a varie interpretazioni dello stesso tipo di accordo, con indicazione di usare o non usare alterazioni del tutto diverse nei vari testi, quando non in antitesi l'una con l'altra. Gli autori di tali trattati erano per la maggior parte musicisti eccellenti e molto noti (anche Italiani) che avevano scritto un libro non appena giunti ad un grado di popolarità che in qualche modo determina l'obbligo di pubblicare un trattato, un metodo o una serie di dispense, spesso per editori non specializzati (perciò non in grado di controllare adeguatamente i contenuti).



Lasciando da parte le questioni filosofiche e tornando ad esempi fatti in precedenza, è facile sottolineare come, se tanta confusione si può trovare dove l'improvvisazione e l'ispirazione c'entrano ben poco (accordi e sigle…) sia del tutto possibile "perdersi" e trovare mistificazioni nel campo della improvvisazione Jazzistica vera e propria, un settore dove a volte è facile verificare che "Chi sa non spiega; chi non sa insegna…".

Analisi e Sintesi
I
o penso che non sempre vi può essere una relazione biunivoca fra analisi e sintesi (nemmeno in chimica a volte esiste) e perciò nemmeno la scomposizione accurata in fraseggi, analisi armoniche e strutturali, assoli, fraseggi e così via permette poi la ricostruzione di una musicalità che nasce da una predisposizione tutta speciale nei riguardi del proprio strumento e del contesto. Non si applica al Jazz il "reverse engineering" tanto caro ai copiatori cinesi e non. Questo è vero nel Jazz, ma anche per due autori che in senso estetico e formale possono sembrare simili, ma che poi restano molto distanti nel valore ad essi riconosciuto: uno assurge a ruolo di semi-divinità (es: Puccini) e l'altro resta per sempre relegato varie gerarchie più in basso (es: Cilea). Dal punto di vista puramente analitico tale differenza non si spiega sempre compiutamente, perciò debbono esserci altre ragioni che prescindono dall'analisi musicale e comunemente vengono definite "talento, ispirazione, creatività, genialità", fino alla definizione di "pazzia": essa (la pazzia) in senso Jazzistico è intesa da alcuni come massima espressione di libertà, resa coerente e fruibile dalla consapevolezza di tale stato (ma il vero pazzo non sa di esserlo) e nirvanica (scusate il termine) al punto da essere ricercata anche tramite mezzi artificiali. Personalmente sono convinto che non sia vero: la pazzia indotta anche con mezzi leciti (qualche bicchiere in più) "illude" l'artista, che crede di essere in uno stato di grazia creativo speciale solo per via della sua alterata percezione della realtà, mentre il risultato musicale è quasi sempre inferiore, se non mediocre.

Le Regole della Libertà
S
empre ribadendo la volontà di non enunciare altre regole, ma solo di aiutare a comprendere meglio la premessa e le intenzioni, trenta anni di attività in campo Jazzistico mi hanno portato ad una serie di convinzioni (tutte da dimostrare) che sono però condivise da moltissimi musicisti in ogni parte del mondo. Significativo è anche il fatto che molti siano "arrivati" a tali convinzioni anche e soprattutto da soli, semplicemente per il fatto di suonare, di capire quando e perché si suona bene o male e di trovare un equilibrio che compensi l'eterna frustrazione di chi suona, di capire come migliorare e raggiungere un risultato che costantemente si allontana (più studio e più mi accorgo che devo studiare). Sono convinto che lo studio strumentale e musicale sia l'unico e vero modo di raggiungere la Libertà, intesa come la possibilità di seguire le proprie ispirazioni o quelle che provengano da un intimo collettivo "esterno" a noi, una ispirazione universale identificabile da ognuno di noi un base alle proprie convinzioni (religiose, spirituali o semplicemente sensibili). Studiare perciò le regole di base (si parla sempre di Jazz…), approfondire l'Armonia moderna e prepararsi con un bagaglio tecnico che permetta di improvvisare "dentro" la Musica è la via per diventare Liberi e per trasmettere poi questo senso di Libertà a chi suona con noi ed a chi ci ascolta, che sente la nostra onestà intellettuale e può fruire del nostro stesso stato d'animo a prescindere dalla sua preparazione musicale. Tale convinzione (soggettiva, ma molto diffusa) spiega e conclude il "loop" che lega le prime fasi dell'ascolto da non musicisti (sento qualche cosa che mi ispira..) alle ultime fasi della vita artistica di chi suona da anni (devo studiare, per mantenermi libero di essere ispirato e trasmettere le emozioni che provo…), stato difficile da acquisire e mai realmente conquistato del tutto. Quella che comunemente si definisce "pazzia" è l'estrema soluzione all'esigenza di liberarsi dai freni inibitori (la paura di sbagliare) dai luoghi comuni degli strumentisti più dotati (fare vedere come si è bravi) e in definitiva della Libertà da condizioni interne o esterne. Tale stato è ovviamente più raggiungibile suonando da soli ed in questo contesto la Musica raggiunge per noi il massimo grado di vicinanza alla vera libertà, essendo esenti da personalismi ed esibizionismi inutili o premeditati. Più difficile è liberarsi completamente (impazzire) in gruppo, ma alcune storiche incisioni (es: John Coltrane ed Elvin Jones in duo) trasmettono interamente e compiutamente il senso di questa collettiva ispirazione in tempo reale, possibile solo per una matrice incredibilmente comune di intenti e/o da una comunicazione trascendentale, che rende gli esecutori partecipi di una creazione che nessuna analisi può spiegare e nessuna sintesi può riprodurre.







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Data pubblicazione: 12/11/2006

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