Enrico Pieranunzi American Trio feat. Scott Colley, Antonio Sanchez "Permutation" Village Vanguard, New York - 28 marzo 2012 di Marco Losavio
La coltre di silenzio ricopre ogni chiacchiericcio e la luce
rossa illumina le note di "Critical Path", brano col quale
Enrico
Pieranunzi introduce il secondo set di "Permutation" concerto
che lo ha visto protagonista per l'intera settimana al Village Vanguard di New York.
Sanchez pone una creatività duttile al servizio della musica di Pieranunzi che esegue
in rapida successione "Every Smile Of Yours", cavalcata sorretta da uno Scott
Colley "fermo" con un'agilità reattiva all'inventiva sia di Pieranunzi, maestro
nell'articolare la melodia, che di Sanchez, scatenato in efficaci poliritmie. Il
poderoso supporto di Colley emerge in tutta la sua sontuosità in "Strangest Consequences"
in cui si avvertono cambi ritmici e soluzioni accordali di grande sensibilità ed
efficacia.
Pieranunzi denota una classe notevole
nell'esposizione dei temi capace di catturare immediatamente l'attenzione dell'ascoltatore
ponendolo all'interno di storie e percorsi ricchi di particolari. Sanchez risponde
con una creatività continua, "rullante" e progressiva che determina lo svolgimento
stesso dei brani e Colley veste il ruolo di collante infaticabile e ispiratore di
molti cambi.
Le improvvisazioni di Pieranunzi sono veri e propri assist per
Sanchez il quale risponde con figurazioni ritmiche che contrappuntano o rimarcano
il fraseggio del piano. Attraverso un richiamo durante i soli, si approda in "What
Is This Thing Called Love?" a tempo sostenuto, in cui Pieranunzi sfodera un'improvvisazione
di grande gusto caratterizzata da frasi rapide e fluorescenti, ricche di combinazioni
dinamicamente perfette e molto fluide. Nel finale tutti i suoni rimbalzano, Pieranunzi
accenna anche "Bemsha Swing" ed è qui che probabilmente si
raggiunge il punto più alto dell'intera session. Meravigliosa "Blue Waltz"
(tratta dall'album "Oslo") dove si avvertono riferimenti classici, finanche operistici
e in cui la maggiore dote narrativa del pianista emerge grazie a quella capacità
di dosare l'equilibrio delle note che gli proviene da una storia che lo hanno visto
protagonista anche come prosecutore del discorso billevansiano. Sempre notevole
l'esposizione del tema anche in "The Point Of Issue", blues atipico, grintoso
e coinvolgente. Per finire due standard in relax come "I Can't Get Started"
di Vernon Duke e "I Mean You" di Monk che strappa un definitivo consenso
da parte dell'esigente pubblico del Vanguard.
Al termine abbiamo incontrato
Enrico
Pieranunzi il quale ci ha parlato del cambiamento insito in questo suo
lavoro.
"Permutazione innanzitutto perché la composizione stessa rivela
un modo diverso di viverla e di suonarla rispetto al passato poi perché c'è stato
un cambiamento forte nei confronti dell'altro trio americano con Marc Johnson
e Joey Baron. Con loro ho inciso nove dischi più alcuni in duo con Marc,
quindi entrambi hanno rappresentato e rappresentano un momento molto importante
della mia vita artistica. Questo trio inoltre rappresenta un vero e proprio cambiamento
che mi porta anche fuori da quell'associazione col "fantasma" di
Bill Evans
dato che Marc era stato, tra l'altro, l'ultimo bassista di Evans, qui invece si
va proprio in una direzione completamente diversa. Innanzitutto perché Sanchez e
Colley sono più giovani, poi perché hanno un linguaggio proprio diverso che mi stimola
molto."
Infatti, quello che si è notato è che c'è una notevole creatività
da parte di tutti, duttile, pronta, reattiva, con Sanchez molto protagonista...
"Sanchez è un protagonista perché è un batterista musicista
immenso, incontenibile. Anche Joey (Baron), che secondo me è geniale, ma Sanchez
ha una personalità musicale debordante per cui devi lasciargli spazio in più ha
un linguaggio originale, ha dei colori unici ed è meraviglioso perché i pezzi li
senti che prendono delle direzioni imprevedibili. Inoltre, ha un'intesa stupenda
con Colley col quale ha suonato in molteplici occasioni pertanto è tutto continuamente
stimolante, bello per me che, in più, mi sento anche molto libero e devo dire che
è più facile essere libero con loro che col trio precedente."
Si è avvertita anche una marcata serenità...
"...hai percepito bene perché c'è una grande fiducia e c'è
una grande levità, leggerezza: è forse anche un fatto generazionale. Sanchez oggi
è un batterista tra i primi in assoluto, suona con Metheny, Corea, Colley suona
con Hancok, Hall, ma sono dei ragazzi estremamente disponibili e nonostante l'alto
valore tecnico di entrambi, con loro si fa proprio musica, si crea una tensione
e attenzione a fare musica non a cercare numeri o a buttarsi in direzioni più facili.
E questo lo trovo una forma di rispetto per me."
Nelle composizioni di "Permutation" quali sono, quindi, quegli
elementi propri della composizione che possano delineare il cambiamento indicato.
"Secondo me è proprio un fatto narrativo, sono i racconti.
Ad esempio "Permutation" questa sera lo abbiamo molto esteso facendolo diventare
una storia lunga, su suggerimento di Sanchez che ha quindi consentito un racconto
più variegato. Così come "Critical Path", che ha una sua drammaticità, i pezzi quindi
diventano dei racconti un po' teatrali"
C'è una particolare dedizione all'esposizione del tema che lo
si arricchisce, lo si addensa di elementi dinamici offrendogli un ruolo primario
e non di bridge alla parte solistica, come spesso accade nel jazz.
"Esatto, molto acuta questa osservazione! Adesso ti faccio
un altro parallelismo col teatro. E' come un attore che entra e dice una cosa che
diventa un'impronta molto forte dal punto di vista comunicativo. Il jazz oggi è
molto più narrazione e interpretazione per cui il modo in cui dici le cose è importante.
L'improvvisazione può anche diventare una fuga, un pretesto, puoi fare delle digressioni
che possono anche essere gratuite, mentre io credo che il jazz sia musica e in quanto
musica c'è il discorso formale, è importante la forma della storia, il racconto.
Ad esempio, questi giorni ho letto delle cose veramente geniali di Camilleri che
può piacere o no, ma dopo una prima pagina sei catturato, c'è una forza nell'affermare
la storia pertanto il lettore entra nel racconto. Secondo me questo ci deve essere
anche nel jazz, e il primo momento è il più importante è come, ripeto, se un attore
arriva e le prime battute le dice male, lo spettatore non entra in sintonia. Ed
è importante anche per noi musicisti che dobbiamo comunque entrare in sintonia tra
di noi, entrare nelle parti, e questo si avverte."
Maestro, siamo qui al Village Vanguard, seconda volta per lei
circondato da fotografie di grandissimi tra cui proprio
Bill Evans
che qui ha scritto pagine memorabili della storia del jazz, si avverte il suo spirito
e quello di molti altri grandi...
"…Coltrane, Rollins, Monk…questa volta però devo dire che
lo sto vivendo molto meglio. La volta scorsa ero qui con Paul Motian e
Marc Johnson quindi il richiamo a Evans era inevitabile e lo avvertivo molto
come responsabilità. Ed è stato comunque bellissimo, abbiamo registrato un album
e spero lo pubblichino presto. Questa volta lo vivo con maggiore tranquillità perché
appunto, la grande trasformazione è anche l'aver messo da parte questo riferimento
con Evans, che magari non avevo più io ma ora è certo, abbiamo girato pagina, è
un altro capitolo."