Roccella Jazz Festival "African Noises" 11-22 agosto 2015 Direzione artistica Paola Pinchera e Vincenzo Staiano
di Vincenzo Fugaldi
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Edizione numero trentacinque per lo storico festival della provincia di Reggio
Calabria, tornato a riempire le serate d'agosto dopo un'annata 2014 in versione
ridotta.
Il trio del pianista Rosario Di Rosa,
con Paolo Dassi (contrabbasso e elettronica) e
Cristiano Calcagnile
(batteria) ha presentato le musiche del cd «Pop Corn Reflection» recentemente
edito dalla Nau Records. Una delle proposte più interessanti e innovative del jazz
italiano dell'ultimo anno, quella del pianista e dei suoi partner delinea un panorama
di interessi musicali colti, dal serialismo di Schönberg al minimalismo di Steve
Reich, con una musica meditativa e concentrata, che poggia su un uso mirato e misurato
dell'elettronica, e che pur partendo da presupposti impegnativi riesce comunque
a coinvolgere e emozionare, grazie alla perizia dei tre e alla loro capacità di
sviluppare trame improvvisative di qualità. Una menzione particolare per la versione
eseguita dal trio di uno splendido brano di
Andrew Hill,
Dusk.
I consueti pomeriggi all'Auditorium comunale (oggetto di recenti abbellimenti e
intitolato all'Unità d'Italia) sono iniziati con la presentazione delle musiche
del cd che Tommaso Starace ha dedicato alle fotografie di Gianni Berengo Gardin,
con un quartetto che vede al pianoforte
Michele Di Toro,
al contrabbasso Attilio Zanchi e alla batteria Tommy Bradascio. Le melodiche composizioni
hanno accompagnato il vivido bianco e nero delle fotografie proiettate sullo schermo,
cogliendo gli intenti e la poesia racchiusi nell'opera del grande fotografo che
come pochi sa racchiudere in un fotogramma l'accadere della vita. Il leader si è
alternato all'alto e al Soprano, lasciando ampio spazio anche alla sfavillante tecnica
del pianista e al suono inconfondibile di Zanchi.
Una produzione originale del festival è stata affidata al trombettista Angelo Olivieri,
che ha proposto, con la regia di Wilma Labate, un concerto-reading basato su un
testo di Antonella Gatti Bardelli, Il cielo capovolto, vertente sul non facile
argomento della depressione bipolare. L'ensemble riunito da Olivieri è composto
da giovani suoi ex allievi, tutti musicisti notevoli, tra i quali spiccava il sassofono
di Vincenzo Vicaro. Tra interessanti composizioni originali e una Lonely Woman
egregiamente arrangiata in stile Prime Time, la poetica dell'artista era incentrata
su un brillante recupero di momenti della lezione davisiana di «Bitches Brew»
(con un ruolo fondamentale affidato al piano elettrico di Luigi Di Chiappari),
in uno spettacolo multimediale in cui nulla veniva lasciato al caso, dall'illuminazione,
alla proiezione di effetti luminosi, ai movimenti dei musicisti, alla dislocazione
degli stessi sul palcoscenico. Le letture sceniche avvenivano sullo sfondo, affidate
alla voce di Sara Alzetta, e un paio di canzoni venivano interpretate dalla nota
voce di Susanna
Stivali, che si è posta al servizio del progetto (denominato ZY project,
la cui testimonianza discografica, intitolata «Nowhere's Anthem», è stata
pubblicata dalla rivista Jazzit) come del resto ogni altro musicista intervenuto.
I Têtes de bois, insieme a Paolo Hendel e a Sergio Staino, hanno presentato lo spettacolo
"L'Amore, la Rivolta e l'Utopia". Tra Rimbaud musicato da Ferrè, Campana, Verlaine,
lo stesso Ferrè, Antonio Porta, Vysockij, Baudelaire, la storia dell'anarchico Passannante,
letture de La città del sole di Tommaso Campanella e l'affabulatoria verve
pittorica di Staino, i quattro del noto gruppo hanno presentato una panoramica delle
loro preferenze musicali.
L'ultimo appuntamento pomeridiano era affidato a Daniele Sepe, che insieme ai suoi
fedelissimi musicisti ha riproposto il suo noto "Totò Sketches n. 2", una carrellata
di spezzoni esilaranti dei film di Totò musicati dal vivo con instancabile verve.
Il primo concerto al Teatro al Castello era affidato all'esclusiva europea del trio
di Roscoe Mitchell, con Jaribu Shahid al contrabbasso e Tani Tabbal alla batteria.
A settantacinque anni compiuti, il sassofonista continua ad essere figura di riferimento
per la musica creativa afroamericana. Un set che valorizzava al massimo i tamburi
ancestrali di Tabbal e il suono scuro e poderoso di Shahid, nel quale il leader
si è alternato tra alto, sopranino e soprano con un uso pressoché costante della
respirazione circolare, generando un flusso di suoni sapientemente articolati, tra
arpeggi iterati, utilizzo di sovracuti, armonici e tutto il vasto campionario che
costituisce da sempre il suo linguaggio, con un'energia rinnovata e un impegno e
una passione chiaramente percepibili. Chiusura sulle indimenticabili note di
Odwalla, il brano che chiudeva i concerti dell'AEOC, e un bis di fulminante
rapidità.
Le proposte che maggiormente hanno caratterizzato questa edizione erano di matrice
world. La prima è arrivata dall'esordio italiano di un gruppo denominato
Gansan & Tamount Ifassen. Musicisti provenienti dal Belgio, con un percussionista
marocchino (Amine Kanzi) e un batterista del Togo (Octave Agbekpenou), con il flautista
Pierre Bernard che sostituiva un componente stabile del gruppo. La parte solistica
era affidata all'agile flautista, al sassofono di Ludovic Jeanmart e alla chitarra
elettrica di Nicolas Dechène, mentre la componente ritmica stabiliva solide atmosfere
afrobeat e fusion.
Afrobeat scatenato anche da un nome storico della musica africana, Orlando Julius,
a Roccella con The Heliocentrics. Nigeriano, sin dagli anni Sessanta del secolo
scorso è fautore dell'incontro tra musica africana e musica statunitense, soul,
pop, funk. Una miscela esplosiva, che ribolliva sul palco per il sostanziale contributo
del gruppo, tra i quali spiccavano i sax baritono e alto di Jason Yarde e la danza
e il canto di Latoya Ekemode, in un set trascinante e divertente. A concludere la
serata, la sorpresa di un gruppo multietnico, Gabacho Maroconnection (otto musicisti
provenienti da Francia, Spagna e Marocco), per la prima volta in Italia, che è partito
da un affascinante canto della tradizione gnawa per poi viaggiare con gusto nelle
musiche del Marocco, del Maghreb, mediorientali, flamenche, reggae, jazz, ska. La
formazione vedeva in primo piano due marocchini (Hamid Moumen, voce e guembri e
Jaouad Jadli, voce) e i due sassofonisti Antonio Lizana e Charley Rose. Una musica
che recava precisi segni di progettualità, varia, coinvolgente, sempre ritmicamente
molto marcata, con composizioni del pianista Willy Muñoz – che a tratti si ispirava
nello stile al Zawinul Syndicate - e di altri componenti, in una sintesi valida
che ha coniugato qualità e fruibilità.
Una formazione insolita era quella riunita dal contrabbassista pisano trasferitosi
a New York Francesco Marcocci, che vedeva al pianoforte l'argentino Leo Genovese,
al sax alto il nero americano Louis Godwin, alla batteria il portoricano Willy Rodriguez
e ospitava la forte personalità del sardo Gavino Murgia. Murgia, oltre a suonare
sax, flauto e launeddas, ha cantato con la sua caratteristica voce profonda. Nonostante
le notevoli doti di ciascuno, al progetto è sembrata in qualche modo mancare una
precisa direzione musicale, una sintesi. Direzione che invece non è mancata al gruppo
della cantante ivoriana Dobet Gnahorè. Trentatreenne figlia di un percussionista,
dal 1999 in Europa, l'artista unisce a una competenza vocale di grande valore la
conoscenza di alcuni strumenti come congas e kalimba e, soprattutto, una non comune
attitudine per la danza. Al basso elettrico a sei corde Livabasse, del Madagascar,
alla batteria l'ivoriano Mike Dibo e alla chitarra acustica uno strepitoso Colin
Laroche de Feline, un sostegno eccezionale per una performance di incredibile energia,
nella quale la folgorante bellezza dell'artista, la sua spettacolare capacità di
tenere il palcoscenico, insieme alla qualità delle canzoni che compone celebravano
al meglio la vitalità inesauribile che proviene dal continente africano.
Il Golden Quartet di Wadada Leo Smith (Anthony Davis al pianoforte e al piano elettrico,
John Lindberg al contrabbasso e Pheeroan akLaff alla batteria), si è prodotto in
un set teso e concentrato, nel quale il leader dirigeva il gruppo con determinazione,
scegliendo le composizioni sulle quali improvvisare e inserendosi con la sua tromba
a tratti davisiana tra le pieghe della musica, in un equilibrio mirabile tra scrittura
e improvvisazione. Il suono terso del contrabbasso, le geometriche costruzioni del
pianoforte, la ancestrale forza ritmica della batteria, la lucida inventiva del
leader hanno caratterizzato l'intero set, che ha raggiunto vertici di assoluta bellezza
in un brano centrale a tempo libero, eseguito da Smith con la sordina.
Ha chiuso il festival il trombettista londinese Byron Wallen insieme alla Marockin'
Brass, un progetto belga nato in seno alla MET-X, che vedeva una commistione di
suoni di fiati urbani, spinti dalla pressante tuba del belga Michel Massot, e di
suoni gnawa. Il sassofonista Luc Mishalle aveva un ruolo solistico fondamentale,
così come il batterista Rod Youngs, mentre la parte etnica del progetto era affidata
a tre musicisti marocchini, guidati da Rida Stitou. La sintesi con la tradizione
gnawa, scandita dal suono del guembri, ha stentato a realizzarsi (forse solo nel
bis del concerto), e i momenti più riusciti sono venuti dalla sezione di fiati e
dagli assolo di Mishalle e Wallen.