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Quattro chiacchiere con...Gabriele Buonasorte
maggio 2013
di Alceste Ayroldi

Gabriele, "Forward" è il suo primo disco da leader, ma sembra che lei abbia le idee già ben chiare: una musica che va dalla Liberation Music Orchestra al sound carico di groove della Blaixploitation, con accenti del collettivo M-Base. Come è nato il suo progetto musicale?
Il mio progetto ha iniziato a prendere forma circa un anno fa, era da un po' di tempo che maturavo l'idea di dedicarmi ad un lavoro originale che mi coinvolgesse pienamente, che mi facesse divertire nello scriverlo e nel suonarlo. Ho sempre pensato che la Musica abbia un potere comunicativo enorme, soprattutto se associata a delle immagini. Forward è interamente ispirato a fotografie del mio vissuto, diretto ed indiretto, della realtà che mi circonda. Ogni brano è un racconto in musica con un inizio ed una fine, con una sceneggiatura di facile lettura, con un linguaggio semplice e lineare, accessibile ad ogni tipo di uditore.

In sintesi, nel suo sound risuona tutta la tradizione della musica afroamericana, compreso il free jazz di matrice ornettiana. Quale è il suo concetto di musica afroamericana?
Ritengo che la musica afroamericana abbia sempre rappresentato e raccontato un tessuto sociale specifico, con le sue emozioni, le sue tensioni, i sentimenti di un popolo. Lo ha sempre fatto in maniera diretta, sanguigna, senza inutili fronzoli accademici o tecnici. In questo senso penso che la mia musica possa avere delle analogie. Il jazz era una musica per tutti, la gente danzava sulle note delle orchestre Dixie, il Soul aveva un impatto empatico sulle persone perchè vi si riconoscevano. Oggi se non hai una laurea in musicologia non puoi andare ad ascoltare una rassegna jazz. Noi musicisti non dovremmo dimenticare che non è sufficiente fare musica per noi stessi, ma che abbiamo il dovere morale di comunicare qualcosa a qualcuno con la nostra arte, altrimenti il rischio è di entrare in un pericoloso vicolo cieco.

Francamente non condivido molto la sua affermazione. Oggi, a mio avviso, le rassegne jazz sono diventate fin troppo easy listening, visto il proliferare di artisti d'ambito pop che si dedicano al jazz. Forse, e anzi, si è perso di vista il senso della musica afroamericana e, soprattutto, le sue radici. Lei ritiene, mi sembra di capire, il contrario: sbaglio?
Probabilmente ho utilizzato, nella mia affermazione precedente, una consecutio temporum errata, ma il fenomeno di cui parla è strettamente collegato con la mia analisi precedente. Se oggi importanti festival jazz inseriscono nella loro programmazione grandi chitarristi Rock d'oltremanica, piuttosto che artisti pop dal colore jazzy, ma che con la cultura jazz hanno molto poco a che fare, questo accade perché il pubblico è andato progressivamente allontanandosi dai festival jazz, per due motivi. In primis, dal mio punto di vista, il jazz americano non appartiene alla nostra cultura musicale e gli Italiani, soprattutto le nuove generazioni, sono attratti da sound più popolari. Secondo poi, l'avanguardia jazzistica italiana, che giustamente ha sentito il bisogno di cercare linguaggi nuovi per parlare con il nostro pubblico, ha probabilmente scelto, ad oggi, una via troppo complessa, sperimentando in una direzione che il pubblico, non preparato, difficilmente può cogliere. Il risultato? La sua corretta precisazione: Il jazz dialoga poco con la cultura italiana e rimane barricato nelle sue radici afroamericane? Chi prova a cambiare qualcosa, pur riuscendoci, non è ancora in grado di farsi capire? Il Jazz italiano è sempre più Musica Colta e sempre meno Musica Popolare? La soluzione per gli organizzatori e operatori del settore è stata quella di aprire i Jazz Festival al Pop Commerciale, ben più vantaggioso economicamente e con una visibilità mediatica impressionante.

Quali sono i suoi trascorsi accademici? Che studi ha svolto?
Musicalmente parlando mi sono diplomato in sassofono nel 2002 in Sicilia ed ho poi conseguito la laurea specialistica nel 2007 al Santa Cecilia di Roma. Parallelamente ho studiato jazz con diversi musicisti attivi sulla scena nazionale ed internazionale, cercando di soddisfare la mia curiosità e voglia di sapere. Mi sono appassionato al mondo delle tecnologie musicali certificandomi Sound Designer qualche anno dopo. Ho una formazione umanistica classica, ed una quasi Laurea in Scienze Politiche.

Angelo Olivieri, Mauro Gavini e Mattia Di Cretico sono i suoi compagni di viaggio dal 2012: come vi siete conosciuti?
Ho avuto il piacere di incontrare Angelo e Mattia presso una nota Scuola di musica romana dove siamo docenti, e ho suonato con loro in alcuni concerti anni fa. Angelo mi ha poi introdotto sulla scena Free Jazz romana, arricchendo molto il mio background artistico. Mauro mi è stato presentato da Mattia. Quando l'ho ascoltato una sera in un club, ho subito capito che sarebbe stato il musicista giusto per il mio progetto. Ci tengo a ringraziare e sottolineare l'apporto di Susanne Hahn, violoncellista eccelsa e mia grande amica, coinvolta nella registrazione di tre songs del disco.

A proposito di Susanne Hahn, ha aggiunto una dose di solido lirismo ai tre brani. Era quello che cercava inizialmente, oppure l'idea è nata a seguito dell'incontro con la violoncellista?
Ho voluto fortemente Susanne, perché, per il mio disco, avevo scritto un tema per Violoncello ("Iureca"). Poichè l'appetito vien mangiando, e conoscendo le sue doti di improvvisatrice, le ho chiesto di registrare con noi sui brani di matrice più free ("Forward", "Anymore"). Ho voluto così soddisfare la mia curiosità sull'apporto che avrebbe potuto dare a queste songs il suono caldo del violoncello, strumento che, personalmente, ho sempre adorato.

In molti brani il basso è in proscenio, per marcare meglio il groove, come è accaduto nel sound degli anni Settanta. Ma qui suona diversamente, e comunque per lei il ritmo è particolarmente importante, o mi sbaglio?
Il basso ha un ruolo fondamentale nella mia musica, non è uno strumento comprimario, ma protagonista. Ho scelto consapevolmente di non adoperare uno strumento armonico nei miei pezzi, così da rendere più facile e naturale il momento di improvvisazione, liberando i musicisti coinvolti da costrizioni accordali. Ho imparato a scrivere per basso lavorando con Mauro che nel disco suona spesso degli obbligati melodici portanti, oltre a sostenere l'architettura di tutto. Il gioco sul ritmo è alla base di "Forward", il ritmo arriva immediatamente, ti fa muovere, battere il tempo, ti coinvolge più facilmente della melodia.

Comunque per lei è importante superare il concetto di stile: perché?
Perché in una società globalizzata come quella odierna, con città popolate da persone provenienti dai paesi più disparati e con la conseguente naturale mescolanza di culture musicali e linguaggi, lo ritengo superato. Credo che giocare con i ritmi e gli stili musicali sia una mia caratteristica che nasce dalla mia esperienza di arrangiatore. Mi diverte tantissimo e rende vario ed imprevedibile l'ascolto. Nel mio disco sono presenti e dialogano insieme sonorità Funk, Pop, Reggae, Prog, Jazz.

Tutti i brani di Forward sono a suo nome, nessuna cover, nessun standard: non si vuole misurare con il passato?
Tutti ad eccezione di "Funkuno", scritto da Angelo Olivieri per il quartetto. Il passato ha influenzato sicuramente il mio modo di suonare, non potrebbe essere altrimenti, ma non trovo stimolante inserire in un progetto originale l'ennesima versione di non so quale standard. Con "Forward" voglio raccontare il Gabriele musicista, le sue idee, il suo amore per il Funk, per il Soul, per la tradizione musicale Mediterranea. Non è presunzione, è semplicemente voglia di suonare qualcosa di nuovo, di mio. Nella versione digitale dell'album è in realtà presente una cover dei The Meters "Cissy Strut", che non vuole essere un tributo al funk, ma più semplicemente un momento di puro divertimento e relax mio e dei musicisti del gruppo.

"Like Marcus" è dedicata a Marcus Miller: una dedica strana per un sassofonista, perché?
Perché la prima volta che l'ho ascoltato (Mosca Jazz Festival) sono rimasto semplicemente folgorato dall'energia sua e dei suoi brani, ho scoperto quanto il basso elettrico potesse essere uno strumento leader, poiché fino a quel giorno lo avevo, erroneamente, considerato sempre come uno strumento accompagnatore, second line. Ho voluto omaggiarlo con questa song dove ho citato un suo Riff di Silver Rain.

Il suo disco non è ancora ufficialmente uscito, eppure sul web sta già riscuotendo un grande successo: quale è il suo pubblico? A chi si rivolge questo disco?
Questa cosa è semplicemente meravigliosa ed incredibile, un mio brano, in particolare, ha totalizzato mille ascolti in una sola settimana, anticipando qualunque strategia di promozione. Il potere del web è proprio quello di metterti in comunicazione con il mondo intero in un attimo. Non saprei definire qual è il mio pubblico, non so neanche se ho voglia di definirlo, la mia musica è per tutti coloro che mi concederanno l'onore di ascoltarla.

Lei pensa di aver fatto un disco jazz?
La parola jazz può avere molteplici definizioni ed interpretazioni, sicuramente una considerazione condivisa da tutti è che il Jazz è il primo genere musicale che ha legittimato l'utilizzo dell'improvvisazione. Partendo da questa considerazione posso affermare di aver fatto un disco Jazz poiché, nella mia musica, l'improvvisazione rappresenta circa il 70%. Come ho dichiarato sulle note di copertina del disco il jazz, oggi, ma anche in passato, è una straordinaria miscellanea di linguaggi differenti da plasmare liberamente attraverso la propria ispirazione del momento.

Il brano eponimo, per sua stessa ammissione, libera tutta la sua anima free: cosa significa per lei essere, musicalmente, free?
Non avere vincoli di nessun tipo, esprimere musicalmente quello che si sente nel momento esatto in cui si suona, possibilmente nel dialogo con altri musicisti, nella fattispecie i miei compagni di viaggio.

Un'anima free, però anche funk dal momento che due brani Funkamente e Funkuno, per onomanzia, suonano funky. Per lei il groove quasi dance può sposare l'acidità sinfonica del free?
Nutro per il Funk un amore smisurato, perchè ci sono cresciuto, perchè l'ho ballato, perchè mi diverte e mi trasmette energia con i suoi grooves. Il free, dal canto suo, è energia pura, che può avere una forma oppure no. Nei miei brani direi che l'anima Free è spesso racchiusa ed incanalata in una struttura Funk.

"O'Spread". Al di là del titolo che è ben chiaro, come ha tradotto il tutto musicalmente? Mi spiego: la mia curiosità è legata a cosa le è venuto in mente componendo un brano dedicato al temutissimo spread.
"O'Spread"
(pronunciato alla napoletana) è un brano dai forti contenuti ironici. Negli ultimi due anni questo termine, dapprima sconosciuto ai più, è diventato protagonista delle discussioni a tavola, nei bar, negli uffici. Ho voluto un po' sbeffeggiare il terrorismo psicologico creato ad hoc dalla finanza mondiale, giocando con delle linee melodiche in continuo sali/scendi, che non trovano mai pace, ma dal colore allegro e solare, per stemperare l'ansia derivante da questo temutissimo Signor Sconosciuto.

Il suo primo disco nasce con la NAU Records, label particolarmente attenta a progetti innovativi e con una ben definita linea artistica: come è nato questo connubio?
Ho conosciuto il patron della NAU, Gianni Barone, quando lavoravo come direttore artistico di un noto teatro romano. La sinergia e la comunione di idee è stata immediata. Ho subito apprezzato il loro modo di lavorare, di fare produzione, produzione vera. Se la NAU crede in un artista lo fa fino in fondo, sostenendolo concretamente nella realizzazione del suo progetto in tutte le sue fasi. Così ho deciso di proporre loro la mia idea, che all'epoca costava solo di due brani originali, ma il cui iter artistico era per me, già molto chiaro. Il risultato è "Forward".

Come sassofonista, invece, chi è il suo punto di riferimento?
Non ne ho uno in particolare, posso però dire che John Coltrane e Sonny Rollins, e, tra i più contemporanei, Javier Girotto, hanno sicuramente influenzato il mio modo di suonare.

Il suo musicista preferito…
Senza ombra di dubbio Miles Davis, mi ha aperto un mondo, so tutto di lui, ho ascoltato tutte le sue produzioni, letto tutti i libri possibili. Per me la musica si divide in due epoche: Avanti Miles, e Dopo Miles.

Il suo pittore o scultore preferito…
Bella lotta tra Escher e Magritte.

E, già che ci siamo, il suo scrittore preferito…
Edgar Allan Poe.

Oggi il suo orecchio musicale in quale direzione geografica cade?
Non cade in una direzione specifica, ascolto e cerco di ascoltare prodotti musicali sperimentali e moderni, ma che utilizzano contaminazioni sonore e sonorizzazioni di immagini con spontaneità. In Europa sto riscontrando una crescente evoluzione di questo aspetto musicale soprattutto nei paesi del Nord, quali Germania, Svezia, Olanda, ma anche Francia.

E' vero che in Italia lo spazio per i jazzisti nostrani è sempre più ristretto?
Purtroppo si, l'influenza del jazz americano è ancora troppo presente, i Festivals sono pieni di artisti d'oltreoceano e basso è l'apporto di musicisti italiani. La presenza in questi eventi di giovani artisti è quanto mai rara, e spesso frustrata da condizioni di lavoro ridicole. Trovo sia un peccato, considerato che l'Italia è piena di validissimi musicisti e di progetti interessanti che meriterebbero più spazio. L'America ci ha dato molto, ma forse è ora di guardare ed ascoltare qualcos'altro!

Una domanda tanto classica, quanto dovuta: i suoi programmi futuri?
Adesso mi dedicherò al tour di Forward che inizia il 15 Giugno a Siracusa, a casa mia, dove non suono da 13 anni. Dopo un anno e più di lavoro di scrittura e produzione ho una voglia estrema di suonare con i miei compagni di viaggio. Ci sono altri progetti in cantiere, un album, in qualità di arrangiatore, in uscita ad ottobre, un altro in veste di sideman, al fianco di un gruppo pop/rock romano, una tourneè con il quartetto di Gabriel Rivano, e poi chissà, magari un secondo disco con la NAU.







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Data pubblicazione: 10/06/2013

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