Il "rinato" Alessandria Jazz Club continua la programmazione
cambiando location e impostazione con una attiva e proficua collaborazione con lo
storico hotel ristorante alessandrino Alli Due Buoi Rossi, recentemente rinnovato.
Forse perché l'abbinamento cibo-jazz fa parte della storia
di questa musica, ancor più oltreoceano dove il jazz è sempre stato considerato
anche una musica da intrattenimento, o perché i locali, appena rimodernati, sono
un ambiente estremamente sobrio e raffinato, o forse perché la qualità di servizio,
bevande e alimenti sono degni di plauso, sta di fatto che l'iniziativa pare pienamente
riuscita con un buon richiamo di pubblico e il tutto esaurito ben prima della data
fissata. Il plauso va quindi al direttore artistico dell'Alessandria jazz club per
l'iniziativa che, sull'onda del successo delle prime tre date, proseguirà con altri
due appuntamenti nei mesi di aprile e maggio.
Un concerto l'ultimo giovedì di ogni mese con formazioni di musicisti italiani –
dal trio al quartetto - questa la formula dell'iniziativa. Il primo concerto spetta
al quartetto Inside Jazz, paritario anche se di fatto guidato da
Tino Tracanna
e Attilio Zanchi musicisti, noti rodatissimi e di eccellente valore, che
rappresentano un pezzo non secondario, degli ultimi trent'anni di storia di questa
musica in Italia, soprattutto per la loro presenza nel quintetto di
Paolo Fresu.
Qui in assenza del loro leader storico e con due valenti musicisti paiono più liberi
di mostrare e tornare alle loro passioni e riferimenti musicali. I brani presentati
sono quasi tutti tratti dal loro recente "Portraits" in cui, riprendendone le composizioni,
omaggiano alcuni giganti della storia del jazz più e meno noti. Di Thelonious Monk
i tre brani d'apertura, per rodarsi e "scaldarsi i muscoli" ma con un interpretazione
tutto sommato non memorabile. I temi di Monk, oltre il loro immenso valore musicale
e storico, sono forse oggi un repertorio ostico ed insidioso, per gli innumerevoli
possibili confronti e perché troppo spesso rieseguiti senza una vera unità di sentire
con il mondo musicale del loro autore. Anche qui non si fa eccezione e nonostante
l'interplay sicuro, nonostante il timbro maestoso, morbidissimo e fluente del maestro
di strumento Zanchi, il lirismo di Tracanna in Ask Me Now. Poi altre scelte
legate a gusti e riferimenti personali: Past Time di
Dave Holland,
Let's Eat di
Steve Swallow
e, quale bis, il notevolissimo shorteriano Aung San Suu Kyi con Tracanna
in gran forma. Su tutte le scelte emergono due autori con due brani che da soli
valgono il concerto: Morning dell'ingiustamente sottostimato Jusef Lateef
e Ida Lupino splendido ritratto in musica a firma
Carla Bley.
La modernità senza tempo di Morning è qui resa magnificamente dai quattro,
con una menzione particolare per Attilio Zanchi – il basso diventa strumento percussivo
- e per la soupless e il magistrale uso delle dinamiche. Verso la fine del
concerto Tracanna presenta la bellissima Ida Lupino - chissà se ne conosce
la meravigliosa versione con il saturniano Steve Gilmore al tenore – tema tutt'altro
che facile reso con la giusta concentrazione e asciuttezza.
Non riusciamo a seguire il secondo concerto, possiamo invece apprezzare le notevoli
qualità dei giovani musicisti che formano il trio di Fabio Giachino. Pianista
torinese vincitore di diversi premi e dotato di preparazione tecnica, proprietà
di linguaggio e musicalità rare. Il concerto passa in rassegna diverse composizioni
originali – di gran lunga i brani migliori – tratte prevalentemente da "Blazar"
ad oggi terza e più recente incisione del trio. Ciò che più apprezziamo della formazione
sono l'ottimo interplay e la coesione e la fisionomia compositivo- esecutiva piuttosto
personale. Le composizioni di Giachino sono perlopiù a tempo sostenuto e caratterizzate
da ritmi dispari, complessi, sovrapposti e stratificati. Capita sovente che piano
basso e batteria suonino con tempi diversi a dimostrazione di una abilità tecnica,
più generalmente musicale, notevolissima. Una particolare menzione di merito va
ad un grande contrabbassista che risponde al nome di Davide Liberti: dotato
di una tecnica superiore, di un suono morbidissimo, musicista completo, swingante
e assai musicale; Liberti si produce in alcuni assoli cantabili e melodici come
raramente ci è dato ascoltare su questo strumento. Il contrabbasso emerge prepotentemente,
ad esempio, nel secondo brano quel Bubble Days in cui accompagna il tema
con un pedale funky da basso elettrico di cui conserva la medesima agilità e scioltezza.
Liberti illumina poi il brano con uno straordinario assolo, per tecnica rapidità,
pulizia e precisione d'esecuzione – e musicalità – e per coerenza del fraseggio
e gusto melodico. Fabio Giachino e il suo trio sembrano però ancora alla ricerca
di una loro vera più profonda identità ravvisabile a tratti nei brani originali.
Anche Giachino è un musicisti dalla tecnica superiore con radici salde nella scuola
pianistica di tradizione eurocolta e con un'eccellente padronanza del lessico jazzistico.
Ciò che difetta forse al trio è proprio una forte identità contemporanea. A dimostrarlo
i pochi standards che i tre pensano di dover necessariamente eseguire: sulla ballad
romantica In The Wee Small Hours… - immortalata tra gli altri dal miglior
Sinatra – Giachino & Co. aggirano "l'ostacolo" rendendo tema e senso del brano del
tutto irriconoscibili con la scelta di un ritmo reggae-funky del tutto incongruo
e con il bel tema solo evocato perlopiù in maniera accordale. Nulla è rimasto della
romantica ballad dagli echi notturni: brano così dimenticabile se non fosse per
la chiusa con le costanti, ripetute sovrapposizioni metriche e con l'esibizione
di un controllo delle dinamiche degno di plauso. In sintesi un concerto di una giovane
formazione con ampi margini di miglioramento e di crescita musicale personale a
prima conclusione di una rassegna piacevole che finalmente riporta un jazz di livello
nazionale nel capoluogo alessandrino.