Festival Aperto 2017 IX Edizione Battaglia/Rabbia - Art Ensemble Of Chicago Reggio Emilia, 24 settembre e 21 ottobre 2017 di Aldo Gianolio
foto di Aleandro Battistini (per Battaglia/Rabbia) e di Alfredo
Anceschi (per l'Art Ensemble Of Chicago).
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Le antiche ricche vestigia di quello che fu il glorioso Festival
Jazz di Reggio Emilia, durato 25 edizioni, dal 1978 al 2002, si ritrovano in piccola
parte, ogni anno, nel programma del Festival Aperto (prima chiamato Rec), dove si
mescola un po' di tutto (musica di ogni genere, danza, arte contemporanea). Nella
nona edizione del 2017 i concerti di jazz sono stati tre: del cantante Gregory
Porter (di cui qui non si parlerà), del duo Battaglia/Rabbia e dell'Art
Ensemble Of Chicago (annullato il quarto previsto, di Marc Ribot, per
causa di forza maggiore).
L'esibizione alla Sala degli Specchi del Teatro Valli
il 24 settembre del pianista Stefano Battaglia e del percussionista Michele
Rabbia (nell'ultimo decennio sodali a intermittenza, con all'attivo la registrazione
di tre splendidi dischi: "Stravagario" e "Stravagario 2" per la Via Veneto e "Pastorale"
per la Ecm) era legata alla mostra di grandi tele del pittore Gabriele Amadori,
uno dei due eventi espositivi che hanno affiancato tutte le performance musicali
del festival (l'altro era l'installazione audio-video di Yuval Avital). I due musicisti
già avevano improvvisato nell'edizione del 2010 durante la realizzazione in action
painting di uno dei grandi dipinti in mostra, ora riproponendo una performance
per ricordare Amadori, scomparso nel 2015. Battaglia e Rabbia hanno proceduto in
una improvvisazione quasi completamente libera, radicale, istantanea, tranne alcuni
punti di accordo (e raccordo), come i temi composti dallo stesso Battaglia e l'abbozzo
di sparute linee da seguire, stemperando con grande perizia continue, alternate
e reciproche proposte-risposte che hanno formato raffinatissimi mondi di suoni giocati
sulle sfumature timbriche più diverse e sull'intensità espressiva.
L'Art Ensemble Of Chicago si è presentato al Teatro Ariosto il 21 ottobre.
Della formazione storica sono rimasti solo Roscoe Mitchell (sax alto e soprano)
e Don Moye (batteria): Lester Bowie (1941-1999) è stato sostituto
da Hugh Ragin (tromba e flicorno), Malachi Favors (1927-2004) da
Junius Paul (contrabbasso), mentre il posto del sassofonista Joseph Jarman
(non più in attività per motivi di salute) è rimasto vacante, venendo aggiunto invece,
a sorpresa (addirittura non contemplato in cartellone), Dudù Kouate, senegalese
di stanza a Bergamo, riuscito a sopperire al mancato uso di ogni genere di percussioni
che i nuovi arrivati non suonano come facevano i predecessori storici. Con questo
radicale cambio di formazione non ci si poteva certo aspettare che la musica rimanesse
la medesima. Da una parte si è adeguata alle nuove personalità (non sommamente grandi
come le precedenti, e comunque diverse), dall'altra ha maggiormente aderito alla
forte e calamitante poetica di Roscoe Mitchell, tanto da poter dire che oggi l'AEOC
sia tornato alle origini, quando si chiamava ancora Roscoe Mitchell Sextet ("Sound",
Delmark 1966) e Roscoe Mitchell Art Ensemble ("Congliptious", Nessa 1968). Ciò che
più risalta è la scomparsa della rappresentazione simbolica e della giocosità e
il contemporaneo aumento della seriosità, che ha sempre contraddistinto Mitchell
rispetto alla clownerie di Bowie e Jarman. Se Moye, Paul e Kouate hanno giostrato
con le giuste calibrature, Ragin ha parte cipato con assolo tesi e diretti, lasciando
spesso il terreno libero a Roscoe, che come suo solito si è mosso fra (e contribuendo
a formare) atmosfere estremamente rarefatte e altre più dense e articolate con ossessive
e ipnotiche melopee attorcigliate su sé stesse, senza lasciare libera una pausa.
La ricerca di Roscoe si è fatta ancora più radicale (con lungo uso della respirazione
circolare e sdoppiamento - o addirittura triplicamento - dei suoni emessi contemporaneamente)
e si è addensata di sfumature, assurgendo a uno stato di trance poi risolto, come
una liberazione, con il primo e unico tema finale, Odwalla, che Roscoe suona abitualmente
per congedarsi, accolto con applausi e stand ovation.