Keith Jarrett, Gary Peacock, Jack DeJohnette
30th Anniversary Tour'
Venezia, teatro La Fenice, 16 luglio 2013
di Giovanni Greto
Press Picture
Era il gennaio del 1983, quando
Keith
Jarrett incise a New York per la ECM Records i primi due volumi di "Standards",
inframmezzati da "Changes", in cui comparivano due composizioni originali. Subito
critica ed appassionati percepirono una nuova brillante rilettura di brani popolari
che hanno resistito alla prova del tempo, gli Standards, appunto, fatta dai musicisti
con un'abilità ed un affiatamento tali da ricordare il meraviglioso trio
Bill Evans-
Scott La Faro, Paul Motian, tuttora insuperabile. Da allora, abbandonati
sia il quartetto americano, che quello europeo, visto il successo ottenuto e la
vastità del repertorio cui attingere, il pianista non ha più cambiato direzione,
forse pensando, convinto di essere il più bravo, di poter essere anche l'unico in
grado di dare nuova linfa sia ai brani dimenticati che a quelli meno o sempre eseguiti.
Diventato capriccioso, in virtù del successo ottenuto, e constatato che gli organizzatori
delle diverse rassegne accettavano ogni sua imposizione, Jarrett ha perso il rispetto
per il pubblico, pur pretendendo da esso il più completo asservimento ai propri
umori. Nel concerto veneziano, che costituiva la seconda di tre date italiane, l'anteprima
del Venezia Jazz Festival, oltre a far parte del cartellone de "Lo spirito della musica di Venezia", proposto per la seconda estate dal teatro La Fenice, il pianista
ha dato vita a due set. Nel primo, durato quarantacinque minuti, ha eseguito cinque
brani. Nel secondo si sarebbe fermato a tre, aspettando gli applausi e le ovazioni,
puntualmente verificatisi, di una platea che non si è lasciata andare a scatti di
foto o a riprese video con gli immancabili cellulari. Allora il Maestro ha voluto
premiarla. E' ritornato tre volte al proprio strumento, raggiungendo i sessantotto
minuti, per una durata complessiva di quasi due ore. Come succede spesso nelle serate
dal vivo, il concerto è cresciuto in intensità con il trascorrere del tempo. La
prima parte fatica a decollare. DeJohnette appare appesantito, meno brillante e
rapido nel commentare le diverse sfaccettature di ogni brano. Nemmeno un blues in
sol, "G Blues", il terzo in scaletta, con la comparsa di un ritmo funky, sembra
riscaldare l'ambiente. Ci vuole una ballad, "The ballad of the sad young men", il
lirismo di Peacock al contrabbasso, le spazzole di DeJohnette, per iniziare a respirare
l'atmosfera unica ECM. Il set si conclude con un altro blues, "When will the blues live", che nel tema di dodici misure, si blocca alla decima, lasciando alla batteria
il compito di riempire le ultime due e rilanciare le lunghe improvvisazioni.
Migliore la seconda parte, sia acusticamente che
musicalmente. Una lunga introduzione al pianoforte, melodica e cantabile, fa da
preludio ad "On Green Dolphin Street",
che non si divide in una parte afro ed una swing, secondo un'interpretazione comune
a diversi jazzisti, ma mantiene un 4/4 ritmico, che rende godibile l'ascolto. Bellissima
la ballad seguente, "It never entered my mind" della premiata ditta Richard Rodgers/Lorenz
Hart, dalla quale Jarrett fa uscire quell'aspetto tardoromantico del suo
pianismo, che lo contraddistingue. In "Autumn Leaves", il brano pensato per la conclusione,
trova spazio un lungo assolo di batteria. Iniziano i rientri sul palco per i bis.
Dopo la ballad strappalacrime "When I Fall In Love", è la volta della straziante
composizione di Billie Holiday "God bless the child", eseguita con lo stesso
andamento funky della prima versione, che compare come brano finale dell'album "Standards volume I".
Il pubblico si scatena ma per il brano del commiato Jarrett sceglie
una ninna nanna, "Once upon a time", "C'era una volta", la frase d'esordio di molte
favole. La sua, musicalmente, a 68 anni continua ancora, come quella di
Jack DeJohnette,
a 71 e di Gary Peacock, a 78 - del quale è da poco uscito, sempre per ECM, "Azure", un convincente lavoro in duo con la pianista Merilyn Crispell -, che ha
inanellato assolo limpidi ed ispirati dando un tocco di poesia ad un repertorio
che continuerà ad essere studiato e reinterpretato fino a quando avrà vita la musica
Jazz. Quanto al leader, ha suonato con la consueta passione e brillantezza, alzandosi
spesso dal seggiolino ed emettendo frequentemente i caratteristici grugniti, segnale
di un'ispirazione finalmente sopraggiunta che avrebbe aperto le porte all'estasi.
28/11/2009 | Venezia Jazz Festival 2009: Ben Allison Quartet, Fabrizio Sotti trio, Giovanni Guidi Quartet, Wynton Marsalis e Jazz at Lincoln Center Orchestra, Richard Galliano All Star Band, Charles Lloyd Quartet, GNU Quartet, Trio Madeira Brasil, Paolo Conte e l'Orchestra Sinfonica di Venezia, diretta da Bruno Fontaine, Musica senza solfiti del Sigurt�-Casagrande Duo...(Giovanni Greto) |
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Data pubblicazione: 15/08/2013
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