North Sea Jazz Festival 2019 Rotterdam Ahoy, 12/14 luglio 2019 di Vittorio Pio foto di Fabio Orlando
Quarantatreesima edizione per il più acclamato dei festival al
coperto, che si svolge invece in estate con i suoi invidiabili numeri da primato,
comprendenti in un secco week-end oltre 150 concerti ed un migliaio di musicisti
sparsi nelle capaci sale del duttile Ahoy Center a Rotterdam con un giro di oltre
100.000 spettatori. Si è già ribadito di come il Jazz canonico abbia lasciato buona
parte del suo passo fondatore a partire dal 2007, ovvero da quando è avvenuto il
trasferimento dalla sede storica dell'Aia a quella attuale, il tutto per una serie
di motivi diversi individuati dalla potente organizzazione dedita per buona parte
dell'anno a concerti di ben altro tipo ed affatto contigui, con il risultato di
assottigliare sempre di più il già sparuto drappello dei puristi al seguito, che
comunque hanno avuto le loro grandi soddisfazioni nei concerti del trio composto
da Ravi Coltrane, Charles Tolliver (uno dei grandi eroi sottostimati
di questa musica, cui peraltro sono attribuiti anche pochissimi album da solista)
e Gary Bartz. Complessità armonica, salti di registro e rigore costruttivo
sono stati molto ben sottolineati dagli applausi a scena aperta di una platea disposta
e partecipativa nel doppio set offerto che ha avuto giusto un paio di brani in comune.
Scintille anche nella rara esibizione europea di Henry Threadgill, il cui
ensamble Zooid dai caratteristici groove iterativi, ha rappresentato la sponda
ideale per gli interventi sferzanti o meditativi del leader, che ha insistito maggiormente
al flauto piuttosto che al sax, in una ricerca veemente per quanto lirica. C'era
molta attesa anche per Bagatelle la maratona orchestrata da
John Zorn, che ha rappresentato un particolare unicum all'interno
del festival, firmando un set condiviso per oltre 4 ore, giocato su un avvolgente
improvvisazione collettiva tonica ed anche poco classificabile, spesso giocata a
volumi alti,(dove il gruppo Asmodeus di Marc Ribotha sfoderato
per il trionfo finale l'immarcabile batterista Kenny Grohowski), alternati
a set dall'indole quasi cameristica, in cui si sono distinti Miles Okazaki,
Julian Lagee Peter Evans, in una girandola di situazioni in cui
hanno dato il solito, entusiasmante contributo, Joey Baron,
Kenny Wollesen, John Medeski e Trevor Dunn. Buoni set anche dal quartetto
diDanilo
Perezcon Chris Potter, e dalla rinnovata band di
un Steve Gadd ineccepibile
metronomo, in netta ripresa
Bobby McFerrin, illuminato dalla stessa classe di Dee Dee Bridgewater,
che ha interpretato da par suo i classici della canzone francese, sovrastando nettamente
una Diana Krall al minimo sindacale ma fresca di messa in piega, nonostante
la compartecipazione sul palco di Joe Lovano(apparso francamente
spaesato) e Robert Hurst.
Ugualmente sbiadito il set di Chick Coreadedicato al suo celeberrimo Spanish Heart, mentre di ben altro
tenore è stata l'esibizione di Joshua Redman ricordando il favoloso gruppo
Old & New Dreams che il padre Dewey condivideva con Don Cherry, Ed Blackwell
e Charlie Haden, con una musica priva di abbandoni nostalgici, ma semmai
sorprese nell'accostamento di una serie di passaggi rigorosi e con molti obbligati,
ed allo stesso tempo ricca di interventi alchemici, firmati da Ron Miles,
David Kinge Scott Colley. Libertà e poesia hanno accomunato invece
le differenti estrazioni pianistiche di Abdullah Ibrahime Bobo
Stenson, mentre l'eccitata partecipazione di una platea devota ha spinto ad
un altro livello i tre differenti progetti di Robert Glasper, che
tra il gigione e lo spiritato, ha mostrato tutto il suo (indubbio) talento, spesso
al servizio di un godibile afro-funk psichedelico, anche nei sentiti tributi a Prince
e Miles Davis.
Ibrido nella sua pulsante blackness anche il set di Makaya McCraven,
batterista in rapida ascesa che ha messo in vetrina anche le doti del vibrafonista
Joel Ross. Molto applaudito anche il set di Kamasi Washington,
frutto di un'estetica ben centrata nel jazz psichedelico, sostenuto da eccellenti
risorse tecniche con altre buone vibrazioni da Macy Gray, popolarissima in
Olanda, e Janelle Monae, rising star che ben conosce lo scibile nero declinato
in musica.
Fra una birra ed una delle cento pietanze serviti dai colorati ristoranti al seguito,
(il cui valore per il pubblico di casa, vale quasi quello di un concerto), si sono
distinti negli altri live un Joe Jackson costantemente al top della sua ispirazione,
Anita Baker, che nonostante qualche evidente acciacco fisico ha lo stesso
timbro che le arrise il trionfo degli anni '80 con le sue ben calibrate old love
songs, un commovente Burt Bacharach che non appena si siede al piano
per dirigere i suoi o cimentarsi in solo su qualcuno dei suoi gioielli come la splendida
Alfie, raddrizza la schiena, mettendo in pausa i suoi 91, meravigliosi anni.
Ottimo anche il set dei Tower of Power, squillante cult band dai mille trascorsi
e Ms.Lauryn Hill, apparsa finalmente sulla via del pieno recupero di un successo
planetario che le arrise in età ancora acerba, mentre era lecito attendersi qualcosa
di più da Daryl Hall & John Oates e i Toto, i cui precedenti dissapori
messi nel freezer per ragioni di mera cassetta, hanno impedito il godimento di un
concerto eseguito in maniera talmente formale ed ineccepibile, da risultare alquanto
avaro di emozioni.