Keith Jarrett, Gary Peacock,
Jack DeJohnette
(Perugia, Giardini del Frontone - 20 luglio 2001)
Marco Losavio (marco@jazzitalia.net)
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Il
20 luglio 2001 ho trascorso un breve
ma intenso soggiorno in quel di Perugia per Umbria Jazz 2001. L'obiettivo
principale era assistere al concerto del trio Jarrett-Peacock-DeJohnette
per la prima volta in vita mia.
L'attesa da parte mia è tanta perchè i CD, che possiedo praticamente tutti,
mi piacciono molto e in alcuni casi ritengo l'interplay di questo trio unico.
Il
tempo quest'anno è stato clemente, la serata prometteva bene e così è stato. Sul
palco imperava una stufa-lampione che sembrava più una scelta scenografica che altro
perchè, di fatto, non faceva freddo. In ogni caso sembra che Jarrett pretenda 21°
sul palco...e gli sono stati dati.
Ho un posto nel settore medio (quello da 150.000 + 20.000 di prevendita per
intenderci) ma, da bravo italiano, ho approfittato di un'assenza in quello VIP e
l'ho prontamente occupato: decima fila!! E vai!
Nel
tempo che precede il concerto lo sguardo va allo Steinway & Sons scelto,
visto che ce n'erano altri due in fondo al palco evidentemente scartati o di riserva
e al contrabbasso di Peacock, a come era amplificato visto che dai dischi si avverte
un suono chiarissimo e potente (testata Gallien & Krueger, un compressore
che non ho identificato e cassa Music Inn, come piezo so che monta un Fishman
ma, ovviamente, non l'ho potuto constatare).
Giusto il tempo di fare qualche riflessione ed ecco che il trio arriva in
due Mercedes blu e subito si precipita nel backstage poi, alle
21,25 il presentatore annuncia l'inizio del concerto
chiedendo di non fare fotografie con e senza flash, non fumare (well done!), spegnere
i cellulari (W il vibracall) e, aggiungerei, respirare piano, battere le palpebre
in modo sincronizzato e non grattarsi. Chi sbadiglia...fuori!
Scherzi a parte, entrano ed è subito ovazione. Poi, silenzio assoluto, suonano.
Ecco le prime note, sono di Jarrett, in uno dei suoi intro, poi, come si
sente spesso sui dischi, entrano Peacock e DeJohnette a partire dall'estensione
del tema.
E' "Like someone in love". Delicato,
perfetto, senza particolari eccessi, ma siamo all'inizio, siamo tutti ancora un
po' in trance. Si prosegue, i tre iniziano a carburare ma la situazione, a mio avviso,
non si sblocca, i motori sono al massimo, i passeggeri pronti, ma il comandante
e i suoi assistenti di volo non avviano il decollo. Poi, come quarto brano, arriva
un "Now's the time" che spegne i miei
entusiasmi e sul quale, personalmente, vorrei stendere un velo...Dopo il tema esposto
dal trio, Jarrett fa uno "scherzo" a DeJohnette. Rullata sul turnaround, tipico
preludio al solo di Jarrett, quest'ultimo si blocca e lascia soli gli altri due.
Peacock scoppia in una fragorosa risata, DeJohnette accenna un ghigno simile ad
un sorriso. Fanno qualcosa di poco definibile, il brano cade sempre di più, finchè
Jarrett decide di riprendere il brano, improvvisando, ma è tardi. Questa esecuzione
non mi è piaciuta affatto.
Pausa, chiacchere, saluti, commenti...II° tempo.
Si
inizia con "Out of Nowhere". Dura un
quarto d'ora con un riff ottenuto in modo sincopato con i bassi arpeggiando G
e G-. E' stato il filo conduttore di tutto il brano e, in modo prevedibilissimo,
è finito sfumando tutti i suoni fino a lasciare il riff solitario sempre con meno
note, sempre meno accentuate. Tirato troppo, veramente al limite. Poi un brano un
po' free in cui DeJohnette ha eseguito due soli che però non mi hanno sbalordito.
Sul secondo solo, eccellente intesa con Jarrett che riesce ad attaccare contemporaneamente
all'ultimo tocco di DeJohnette. Poi "There Will
Never Be Another You" molto bello, con tanto di four eccellenti nel finale.
Qui ho veramente pensato di ascoltare tre grandi. Poi si va avanti tra finali perfetti,
dinamica eccellente ma sempre rilassati, "normali", mai intensamente coinvolti in
quello che facevano, quasi un esercizio. Questa è l'impressione che mi hanno trasmesso.
La mia conclusione è che a Perugia non sono stato travolto dalla loro
musica, non ho avvertito un momento supremo nel concerto da ricordare per sempre.
Se penso ad esempio a "What Is This Thing Called
Love?" di "Whisper Not" o a "The
Way You Look Tonight" in "Standards - Live" e a tanti altri, a
Perugia non c'è stato nulla di tutto questo.
Una nota di merito particolare va senza dubbio a Colui che mi ha invece letteralmente
impressionato: Gary Peacock. Un grande, grandissimo contrabbassista. Perfetto,
suona su tutta l'estensione del manico, con una pulizia e una timbrica impressionanti.
Soli lirici, anche quando virtuosi, dinamica millimetrica. Una "cavata",
come si suol dire, che ti entra nello stomaco, un sustain al limite del vero.
Ricami armonici molto belli, fondamentale solo raramente sfiorata.
E questo Jarrett lo sa benissimo, infatti la sua mano sinistra da questo punto di
vista è perfettamente complementare al contrabbasso di Peacock. Insomma Peacock
è una vera colonna, anzi forse La vera colonna, armonica e ritmica del trio che
ho ascoltato a Perugia. DeJohnette è stato freddo, non ha comandato mai, non ha
fatto capire, è una mia opinione, che è un grande. Che lo è lo sappiamo, ma volevo
sentirmelo dimostrare come solo i grandi sanno fare. Idem per Jarrett.
Probabilmente, riflettendo a posteriori, un po' di "colpa" la posso attribuire
proprio ai CD. I CD del trio sono praticamente tutti dal vivo e sono tutti per buona
parte delle vere chicche, rappresentano cioè esibizioni al limite della perfezione.
Pertanto, quando si ascolta un loro concerto non vi è alcuna novità nel suono, nel
modo di affrontare e arrangiare i brani, nell'interplay. Ti ritrovi a prevedere
molto di quanto stai per ascoltare. Diverso è quando ascolti un disco registrato
in studio e poi ne vedi l'esecuzione live.
Questo, ripeto, non vuol dire che il concerto è stato brutto, ovviamente
suonano benissimo, e non sta a me dirlo ne' è mia intenzione parlare di ciò. Ma
un trio simile deve rimanere nella memoria di chi lo va ad ascoltare, io invece
temo di dimenticarlo subito. Già cominciano ad affievolirsi i ricordi di alcuni
passaggi armonici, della sequenza dei brani...ricorderò il prezzo, quello sì che
rimane nella memoria. Ma è stata una mia scelta andarci pertanto non ha senso lamentarmi.
Però fuori c'era tanta gente sdraiata sul prato che aveva tentato di captare un
po' di note. Mi hanno detto che sarebbero entrati ma per alcuni il prezzo era proibitivo,
per altri c'era il tutto esaurito. Forse uno spazio che possa contenere più gente,
con i prezzi più umani non sarebbe male, anche perchè probabilmente molto del vero
pubblico di Jarrett era proprio lì e non nei Giardini del Frontone, almeno non tutto
e in queste occasioni bisogna sforzarsi di offrire spazi adeguati per consentire
a chiunque di usufruire di questi eventi.
Inoltre, sempre per una prossima volta, se si alzasse il palco di un po'
probabilmente si vedrebbe meglio evitando esercizi ginnici per individuare uno scorcio
di scena tra le teste del pubblico. Eppure ero in decima fila!
Durante il bis (uno solo...), eravamo tutti in piedi davanti al palco ma
ovviamente non ho visto più nulla perchè non sono un cestista e davanti a me c'erano
due giganti. Chissà forse il Sommo Jarrett soffre di vertigini.
E ora vorrei chiudere rimarcando alcune considerazioni "a latere":
- una pausa di 20 minuti tra due parti di 45, neanche il tempo di far scaldare
il pubblico (non dotato di stufa) che subito si va in pausa.
- una deliberata e gradevolissima "mandata a fare in..." dedicata dal Sommo
a chi scattava fotografie. Ho ancora in mente la scena di Jarrett, con l'occhio
di bue puntato sui suoi occhialini neri, sotto la stufa-lampione, che dedica
il "fucking" ai fotografi e ho pensato che avrebbe fatto meglio a chiedere invece
se il concerto ci stesse piacendo. Sotto quella stufa-lampione, al posto di
Jarrett, ci avrei visto una Marlene Dietrich recitare, o una signora in...Jarrettiera.
- scene al limite del raccapricciante al termine del concerto nel vedere alcuni
fan, uno con tanto di capelli brizzolati, accapigliarsi per strappare un lembo
degli asciugamani utilizzati da Peacock e Jarrett. Se li sono divisi come un
branco si divide una preda...e sono stato travolto, questa volta fisicamente,
da due di questi, ora felici a casa con il pezzo di spugna firmato Heineken
unto del sudore dei nostri eroi.
Beh, è andata così, magari sarò smentito, magari in altre occasioni torneranno
grandissimi, ma io non ricorderò questo concerto come uno dei migliori a cui ho
assistito, forse pensavo di dover assistere a chissà che. Insomma è stato come vedere
una donna bellissima, sognata tante volte e poi ad averla di fronte ti accorgi che
forse non è il tuo tipo.
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
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Data pubblicazione: 01/08/2001
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