MANIFESTO
|
Javier Girotto & Vertere String Quartet
Nahuel
1 - La Luna
2 - La Poesia
3 – Fear
4 - Nahuel
5 – Il senso della vita
6 - Mejor asi
7 - Morronga la milonga
8 - Para la abuela Elisa
9 - Ultima zamba del ‘900
10 - Passione in fuga
Javier Girotto - sax soprano, sax baritono, quena
e moxeño
Giuseppe Amatulli - violino
Ida Ninni - violino
Domenico Mastro - viola
Giovanna Buccarella - violoncello
|
Pensare di dover collocare a tutti i costi questo lavoro di
Javier
Girotto in uno spazio ben definito della mia ordinata quanto
estesa libreria musicale mi crea un certo imbarazzo. Per quanti sforzi io abbia
fatto, la mia arrogante esigenza di ordine ha dovuto soccombere all'evidenza del
fallimento di un qualsiasi tentativo di costrizione nella mia personale tassonomia
di generi. Ho risolto che ogni conato si sarebbe rivelato una soul cage,
una sorta di gabbia dell'anima à la Sting. Questi, sin dagli esordi coi Police
alla fine degli anni Settanta, con scaltrezza, disinvoltura, leggerezza e sapienza,
attraversò, arricchendo e contaminando (oggi si dice così) scenari musicali e atmosfere
cui altri più rigidi di lui attribuirono etichette quali rock, reggae, pop, poi
jazz (nello storico concerto con Gil Evans a Umbria Jazz) fino alle ambizioni
classicamente contrappuntistiche di John Dowland. Eh sì che le classificazioni,
le categorizzazioni e i discrimina rendono la nostra vita più sicura e familiare,
ma a volte sarebbe atto di intelligenza, indizio di libertà e indipendenza di pensiero
rifuggirne e rinunciarvi. O almeno provarci, alla stregua di chi, con la pancia
attratto voluttuosamente dall'abisso del peccato, sceglie per atto di intelletto
di sottrarvisi. Allo stesso modo sarebbe produttivo provare a dimenticare che in
questo disco, suonato meravigliosamente bene, vi si scorga il tango, il jazz, gli
echi di musiche ancestrali argentine, un vigoroso quartetto d'archi classico asservito
alla causa e ad un tempo co-padrone della causa; ciò perché il risultato che ne
è scaturito è qualcosa che va al di là della semplice somma delle sue parti, una
creatura nuova, spigolosa e armonica ad un tempo, spesso dannatamente lirica, di
quel lirismo che tuttavia non si abbandona mai al melenso e al ruffiano.
Il progetto di questo disco era assai ambizioso avendo, nella sua struttura,
uno scomodo precursore nel meraviglioso album "Five tango sensations" di
Astor Piazzolla, supportato dal grande Kronos Quartet. In realtà le
similitudini tra i due lavori (nonostante anche la bellissima rivisitazione di "Fear",
uno dei brani di quel disco di Piazzolla) terminano qui, e iniziano le differenze,
tante, che non sono solo dovute alla sostituzione dei fiati di
Girotto
in luogo del bandoneon di Piazzolla.
Girotto
e i Vertere hanno creato qualcosa di nuovo, originale, di mai sentito, non
tanto nella materia utilizzata nell'impasto, quanto nella sua lavorazione e nel
suo risultato.
Girotto
ormai lo conosciamo: è a mio giudizio il più completo e originale sassofonista oggi
in circolazione in Italia (nonostante sia argentino, ha origini italiane e vive
attualmente a Roma) e sicuramente una delle certezze indiscutibili dello scenario
internazionale. Il Vertere Quartet, dal canto suo, sembra in questo disco
essere nato per vivergli accanto, nonostante non sia una creatura dello stesso
Girotto.
Ascoltandoli tutti insieme dal vivo è assolutamente palpabile il feeling tra i musicisti.
Dopo questa collaborazione col sassofonista di Cordoba c'è da aspettarsi che il
Vertere Quartet esplori con successo altre dimensioni musicali, perché già
in questo lavoro ha mostrato di essere una formazione di assoluta eccellenza.
Il disco è ricco di momenti di tango intenso e vibrante, di soli virtuosi
di Girotto,
mai fini a sé stessi: tutti essenziali, funzionali a un dialogo a volte struggente,
a volte leggero e scanzonato con gli archi, con i quali gioca spesso una perturbante
e sensuale danza di innamorati che alternano il rincorrersi al ritrarsi; perturbante
come è tutto ciò che rimanda a pulsioni ancestrali rimosse nell'Es, purtuttavia
presenti nell'inconscio collettivo. Gli archi giocano ora sul pizzicato, ora su
bellissimi momenti percussivi per poi prodursi in strabilianti unisoni con i fiati
di Girotto.
Se avrete la fortuna di ascoltarli dal vivo vi renderete conto dell'impressionante
capacità di
Girotto di operare ogni volta delle splendide scelte musicali
sempre differenti per i suoi soli, pur suonando lo stesso brano. Il perturbante,
quindi l'ancestrale e il primitivo, qui si fondono senza iati con la musica alta
costituendo anzi una sorta di sfero armonioso nel quale gli elementi costituenti
la struttura risuonano per simpatia; musica alta, che il Vertere ci ricorda costantemente
non essere avulsa da, in conflitto ed incompatibile con la musica popolare delle
radici; come molti, oggi ormai tristemente deprivati di memoria storica, sembrano
voler credere.
Il lirismo di alcuni momenti del soprano di
Girotto
ha fatto pensare a chi scrive ad una similitudine con due immensi sassofonisti della
scena contemporanea che, dopo carriere connotate da ben altri tipi di scelte artistiche,
negli ultimi anni indulgono spesso in lavori dallo spiccato accento lirico: John
Surman e Jan Garbarek. Il secondo in particolare, condizionato dalle
atmosfere rarefatte della cultura scandinava, dalle distese ghiacciate e dagli orizzonti
illuminati anche di notte che percepiamo anche in alcune opere di un padre illustre
della musica di quelle lande come Sibelius, ha trovato una formula, anche commercialmente
vincente, che compenetra il rarefatto, quindi apparentemente freddo, con il lirico,
quindi decisamente caldo, privilegiando uno stile e profili formali dalle linee
secche, asciutte, pulite, pure, come sono proprio le distese ghiacciate. Ma il risultato
spesso paga dazio a una mancanza di complessità del corpus musicale, complessità
che si auspica possa permanere nel fatto lirico. In altre parole, il lirismo non
deve necessariamente prescindere dalla complessità della trama musicale, pena il
sospetto di pericolose conclusioni rispetto alla natura stessa del lirico. Ed è
qui che Girotto
e Vertere si rivelano vincenti: ci guidano nella convinzione che si possa
essere terribilmente lirici ricordando la semplicità delle origini senza cedere
al semplicistico, evitando il "pop" nel senso più deteriore del termine, costruendo
una fitta e preziosa trama di dialoghi tra strumenti, raffinati e ad un tempo sontuosi
macramè sonori. E sposano l'idea del virtuoso che non si abbandona mai a pleonastici
virtuosismi. Nel sax di
Girotto
la strepitosa tecnica, infatti, è completamente asservita all'arte e non finisce
mai per allontanarvisi, anzi rintraccia in essa stessa la sua raison d'être.
Si passa così dal tango sfrenato de "La luna"
che contiene anche un bel momento di pizzicato d'archi, al brano "La
poesia", elegiaco e struggente; a "Fear"
di Piazzolla, straordinariamente riarrangiato; poi la poeticissima "Nahuel"
in cui Girotto
accarezza il flauto andino; quindi si passa a "Il senso
della vita", brano strutturalmente complesso che racchiude tutta la sapienza
musicale dell'ensemble: commuove letteralmente nel suo ritornello e sorprende con
una miscela di sonorità calde e fredde del solo di
Girotto,
dei pizzicati degli archi e degli unisoni, in un melange musicale che lascia a bocca
aperta per il prezioso meccanismo perfetto, che si palesa anche in virtù di un arrangiamento
da brividi; sembrerebbe, questo brano, far riflettere davvero sul senso della vita.
L'acme della difficoltà interpretativa, in virtù della straordinaria velocità di
esecuzione e dei funambolici e lunghi unisoni, lo troviamo in "Morronga
la Milonga", in cui
Girotto
si cimenta col sax baritono in un groove mozzafiato e il Vertere Quartet
lo asseconda con agilità e leggerezza feline. Ma ogni brano, compresi quelli non
citati, racchiude in sé delle piacevolissime sorprese. Questo cd è uno scrigno prezioso
di emozioni belle e rare.
Le composizioni, a parte "Fear" di Astor Piazzolla, sono
tutte di
Javier
Girotto, mentre gli arrangiamenti sono di Luigi Giannatempo,
eccetto "Passione in fuga" (di
Pino Iodice).
Questi arrangiamenti, straordinari, sono uno dei segreti della grande riuscita di
questo disco e denotano sensibilità e spessore musicale, essendo riusciti a donare
alle già bellissime composizioni di
Girotto
un'aura magica, di quelle che non fanno mai stancare dopo ripetuti ascolti; anzi
motivano sempre, vista la loro splendida complessità, a cercare sempre qualcosa
di nuovo, ad esplorare ad ogni nuovo ascolto ulteriori aspetti della trama musicale.
Il Vertere Quartet, grande formazione di cui continueremo certamente
ancora a sentire parlare, è composto da Giuseppe Amatulli, violino e Domenico
Mastro, viola, fondatori del quartetto; Ida Ninni, violino e Giovanna
Buccarella, violoncello.
Giuseppe Rossini
Invia un commento
Questa pagina è stata visitata 5.780 volte
Data pubblicazione: 11/08/2007
|
|