Siena Jazz, 24 Luglio 2005:
Piazza del Campo, Pietro Tonolo e Gialuigi Trovesi
di
Alceste Ayroldi
Arrivo in Piazza del Campo che è ancora giorno. Il palco troneggia dinanzi al maestoso Palazzo Comunale. Il soundcheck è da poco terminato ed uno sparuto gruppo di giovani è ancora seduto per terra, lì vicino, forse in attesa che accada qualcosa.
C'è il via vai in circolo della gente ondeggiante che, curiosa si avvicina e guarda, osserva e va via girando e rigirando intorno.
Il gioco di luci del crepuscolo imminente rende ancor più bella e musicale la piazza.
Il servizio d'ordine si prepara alla serata d'avvio dei concerti di Siena Jazz con pacato fervore e con una calma e simpatia endogena, propria.
Le luminarie della piazza iniziano a scaldarsi con un certo torpore, luci disseminate in circolo e nella miriade dei vicoli che si aprono intorno.
Un cucciolo di gufo fa la sua comparsa e assisosi a me vicino riprende fiato per poi volar rado attraversando la piazza che va riempiendosi con ordinata calma. Dai vicoli e viuzze intorno la piazza giungono centinaia e centinaia di persone che la riempiono alla stregua di affluenti che riempiono un lago.
Il palco s'illumina e ben presto diventa l'agorà dove confluisce il popolo del jazz e non solo: turisti curiosi che chiedono notizie, curiosi turisti provenienti da ogni dove che siedono in attesa di vedere, di capire ciò che sta per accadere.
Parlo con alcuni indaffarati ragazzi dell'organizzazione forse, anzi sicuramente, distogliendoli dalle loro mansioni. Ma con la loro solerzia ed il loro innato
savoir faire, mi dedicano alcuni minuti del loro prezioso tempo.
Luca Pancioni è un bassista senese, attivissimo, che si dedica anima e cuore - come tutti gli altri - alla kermesse. E' un trentenne che dimostra dieci anni di meno. Il suo attaccamento all'Accademia ed ai numerosi concerti è viscerale, li sente suoi. Lo fa perché ama la musica: solo per questo.
Arriva Pietro Tonolo con Riccardo Zegna, Joe Chambers e Cameron Brown e, quasi di seguito, Gianluigi Trovesi con i musicisti del suo ottetto, alla spicciolata.
I camerini sono allocati nello splendido palazzo comunale e sono due grandi stanze con delle tavole imbandite in guisa medievale, una di fronte l'altra.
Conosco il presidente Caroni, di un'affabilità unica con cui scambio delle brevi battute: i tempi stringono e le cose da fare sono tante. La sua assoluta disponibilità è quasi disarmante seppur in un momento così difficile da gestire. Tutto deve essere pronto, tutto deve essere al posto giusto.
Tonolo
ed il suo trio sono pronti. Spetta a loro aprire la ricca sezione dei concerti di Siena Jazz di fronte ad una Piazza del Campo sempre più piena, silentemente piena.
Franco Caroni si reca al microfono per la consueta allocuzione introduttiva, breve per lasciar spazio alle note; breve perché Caroni è un uomo dalle poche parole e dai molti fatti.
Il quartetto sale sul palco:
Riccardo Zegna siede al piano,
Tonolo guadagna la scena seguito da una sezione ritmica d'eccellenza: Joe Chambers alla batteria e Cameron Brown al contrabbasso. Il lungo applauso dei tanti, tantissimi presenti li accoglie.
E' vero, è un evento gratuito - cosa divenuta rara di questi tempi – ma chi vi assiste lo fa con convinzione, non tanto per passare del tempo.
Tonolo indossa il suo oramai tradizionale berretto dal sapore siculo, bianco così come i suoi abiti. La voce del suo sax inizia a diffondersi nell'aria e, alla stregua di un flauto magico, ad avvicinare altre persone, anche quelle che volevano più comodamente sedere ai tavoli dei numerosi ristoranti e bar che circondano Piazza del Campo.
Tonolo
esegue quasi per intero il suo ultimo lavoro discografico da leader: "Italian
Songs". Non dirmi chi sei, la sempre affascinante Metti una sera a cena, E penso a te scatenano i primi sentiti applausi ed avvolgono il pubblico in un caldo abbraccio. L'impeccabile tecnica del leader si pone subito in evidenza così come le alchimie metriche della sezione ritmica.
Senza Fine è caratterizzata da un intro di piano solo struggente.
Zegna, dopo aver percorso i tasti con veemente leggiadria cede la nota al sax di
Tonolo che esegue le armonie dello storico brano di Gino Paoli frammentandole e, con arguzia, ricomponendole.
Chambers e Brown sorreggono ogni momento con grazia e stile e dialogano con particolare abilità ed affiatamento.
Il corposo duettare tra piano e sax introduce Almeno Tu Nell'universo. La voce di
Tonolo si fa ancora più struggente, descrive ogni emozione che fuoriesce dal brano. L'arrangiamento rimarca l'abilità di
Zegna.
Il leader, pur rimanendo algido, riesce a riscaldare la platea con il suo molle fraseggio. Non è mai distaccato e riesce a trasmettere tutto il suo amore per le note, per la musica.
Il concerto termina con l'esecuzione di Sincerità prima e Sospeso, poi.
In una notte di stelle e con le luci soffuse di Piazza del Campo che rispondono a quelle più robuste e colorate del palco, si chiude il primo set.
Rapido cambio-palco e breve introduzione per un "mostro sacro" del jazz:
Gianluigi Trovesi con il suo ottetto.
Il combo sale sul palco sorretto dal suono registrato di un clavicembalo.
Trovesi
troneggia nella sua fisica imponenza, nel suo mastodontico fascino di icona del jazz europeo e, consentitemi, non solo. Spicca subito una formazione ricca ed anomala: da una parte una sezione cameristica formata da un violoncello (Marco Remondini che si divertirà e diletterà anche con il sax) e da un contrabbasso (Roberto Bonati); dall'altra una sezione "elettrica" ed "elettrificante" con Marco Micheli al basso, Fulvio Maras alle percussioni e Vittorio Marinoni alla batteria. Poi i fiati: oltre a
Trovesi (sax alto e clarinetti), Beppe Caruso al trombone e Massimo Greco alla tromba ed alle figure elettroniche disegnate con il computer.
Fugace è un viaggio attraverso la musica senza tralasciare alcun suono significativo. E' la libertà d'espressione del pensiero attraverso gli strumenti, pensiero che invade l'intera piazza e gli strumenti tutti parlano. Il linguaggio forbito di
Trovesi s'incontra con le saettanti esecuzioni funky del veemente drive di
Beggio e condito dalle rapsodiche involate di Maras.
I fiati chiacchierano in libertà, gigioneggiano, si prendono in giro reciprocamente.
Trovesi cambia spesso voce alternando sax, clarino ed anche il clarinetto mi bemolle. Parla. E' la voce narrante di questa fugace storia della musica che scorre sul palco.
Basso e contrabbasso s'inseguono, si sfidano anche nei pezzi più aspri lì dove il violoncello diventa una Stratocaster che distrugge gli archetipi ed infiamma il pubblico.
Poi il dixieland, quello più vicino ad Armstrong, fino ad arrivare ai suoni ancestrali dal profumo tribale che aprono alle frammentazioni elettroniche comandate da Massimo Greco alla stregua dei miglior dj.
Trovesi lo segue con lo sguardo, aspetta i suoi input programmatici per dare corpo alle sue incursioni free.
Le sonorità jungle che fuoriescono dal computer, supportate dalla vivace sezione e corroborate dal synth, animano anche i più giovani che accennano passi di danza.
La musica entra nel sangue e gli occhi di
Trovesi penetrano i suoi otto compagni di viaggio che teatralizzano ogni singola mossa.
La libertà dagli schemi è servita. La fusione di suoni e di tempi è composta. Ma tutto con profonda conoscenza della tradizione, delle strutture e con garbo sintattico e grammaticale.
Il suono del clavicembalo, al termine, chiude il ciclo e, compostamente ma sornionamente, i nove viaggiatori escono di scena.