Südtirol Jazz Festival Altoadige "Exploring The North"
XXXVI Edizione
29/06 - 08/07 2018,
di Vincenzo Fugaldi
Il festival altoatesino, alla trentaseiesima edizione, prosegue
nella formula ormai collaudata di passare in rassegna alcuni aspetti del variegato
ambiente del jazz giovane principalmente europeo, dedicandosi in particolare, come
suggerisce il titolo, ad alcuni paesi come Finlandia, Norvegia e Svezia. Premiato
da una partecipazione sempre più ampia, grazie anche alla felice scelta degli spazi
da parte della direzione artistica, che ne inserisce di anno in anno di nuovi e
suggestivi (una cava di marmo, una di porfido, oltre agli spazi legati alla produzione
vinicola e alla montagna, sempre di incomparabile bellezza).
L'apertura del festival è avvenuta in un luogo nuovo e insolito, la TopHaus, nella
zona industriale di Bolzano. Era affidata alla direzione del sassofonista finlandese
Pauli Lyytinen, artist-in-residence di questa edizione, che ha coinvolto
– probabilmente non disponendo di un tempo sufficiente per rodare il gruppo, aspetto
che non ha contribuito a rendere la serata particolarmente memorabile - undici musicisti
dell'Euregio Collective, il quartetto finno-svedese Elifantree e il trio
norvegese Building Instrument. Sul palco dunque tre batterie, fiati, voci femminili,
a eseguire composizioni e arrangiamenti di Lyytinen dilatate e varie nelle atmosfere,
con ampio uso dell'elettronica, crescendo, ripetuti richiami al progressive
inglese e significativi assolo del leader al sax tenore e all'EWI, con ampi spazi
riservati alle due piccole formazioni.
Chi scrive ha successivamente seguito
Lyytinen in altri concerti durante il festival (che ha presentato eventi talvolta
concomitanti in luoghi diversi, per un totale di 55, con il coinvolgimento di circa
170 musicisti). Insieme al connazionale Tuomas A. Turunen, pianista residente
in Francia, ha interpretato musicalmente gli aromi dei famosi vini bianchi della
Weingut Pacher Hof di Novacella. I due hanno accompagnato la degustazione interpretando
le sensazioni proprie di ciascun vino. Turunen, che svolge da tempo questo tipo
di attività sui vini francesi, di cui è esperto, ha condotto l'interessante operazione
fra parti composte e improvvisate. I due hanno potuto mostrare le loro caratteristiche
musicali: romantico e delicato il pianista, concentrato ed eclettico il sassofonista,
che al tenore mostra un eccezionale controllo del suono, padronanza dell'utilizzo
delle più svariate tecniche di emissione del suono e impiega l'EWI in modo pertinente
e nei momenti opportuni.
Altra formazione, stavolta nel giardino dell'Hotel Holzner sul Renon, ha visto Lyytinen
insieme alla voce della turco-svedese Anni Elif Egecioglu, ancora al pianoforte
e alle tastiere di Turunen e alla chitarra del'islandese Sigurdur Rögnvaldsson.
I quattro hanno omaggiato i testi della poetessa poliglotta Edith Södergran, in
un concerto che privilegiava le atmosfere legate alla forma canzone, gradevoli,
melodiche e delicate.
Ben altre atmosfere ha creato Lyytinen sotto il Sassolungo, con il progetto Dolobeats:
sette batterie, un synth e il leader alla direzione e ai fiati per un esperimento
dall'impatto visivo mozzafiato, e dagli esiti musicali in parte sorprendenti. Una
sorta di sinfonia in cinque movimenti composta dallo stesso, con un ruolo preponderante
dell'elettronica nella parte iniziale, mentre successivamente le batterie, perfettamente
coordinate, conferivano alla musica una potenza suggestiva e travolgente, specie
nella parte finale.
L'artista è stato anche protagonista dello splendido concerto finale al Batzenhäusl
con un suo quartetto non più attivo ma riunitosi per l'occasione, Laser, con Rögnvaldsson,
Jo Berger Myhre al contrabbasso e Andreas Werliin alla batteria. Formatosi
quando tutti studiavano musica a Göteborg, il gruppo, agile e coeso, ha messo in
evidenza le notevoli qualità solistiche e il bellissimo suono del sassofonista,
fra trascinanti brani di matrice rock jazz, ballads volutamente ai confini
del kitsch, accattivanti momenti di pop jazz, illuminazioni progressive,
e bis festosamente ska.
Un capitolo a parte è quello dedicato alle voci, in particolare a quelle esibitesi
per la prima volta in Italia. A Monte San Vigilio la estone Kadri Voorand,
accompagnata egregiamente al basso dal connazionale Mihkel Mälgand: un'artista
completa che unisce a una totale padronanza dei propri notevoli mezzi vocali una
capacità non comune di tenere il palco, con gestualità appropriata, simpatia, umorismo.
Accompagnando la propria voce con una tastiera e altri strumenti (violino, kalimba,
ecc.), la Voorand, anche pregevole compositrice, ha incantato il pubblico presente
con i suoi scat dallo swing trascinante, un uso sapiente dell'elettronica e della
loop station, uno sperimentalismo mai fine a sé stesso, una teatralità che
cela una attenta preparazione ma appare del tutto naturale. Un repertorio eclettico,
che non trascurava la pop song, padroneggiato con voce affascinante e sensuale.
Diversa, ma altrettanto interessante, la splendida voce svedese di Hannah Tolf,
in concerto al Batzen Sudwerk con Turunen al pianoforte (collaborazione nata in
questo festival), Donovan von Martens al contrabbasso e Anna Lund alla batteria.
Atmosfere tipiche del jazz nordico, con toni pop di notevoli gusto e qualità, affrontate
da un quartetto creativo ed efficace, che affronta un repertorio originale delicato,
profondo, di notevole suggestione, che lascia a volte spazio a momenti improvvisativi
di grande qualità.
Altra presenza di spicco al SJF2018 è stata quella del trombettista finlandese
Verneri Pohjola. Nato nel 1977, con in discografia incisioni per Act e Edition,
Pohjola è stato presente al festival in momenti diversi. Negli spazi immacolati
e creativi del Museion, in duo con il batterista Mika Kallio (formazione
già collaudata e protagonista di un cd per Act, «Animal Image») per un'improvvisazione
totale senza interruzioni tra le opere d'arte contemporanea, i due – empaticamente
integrati - hanno creato atmosfere inizialmente rarefatte, man mano più pregnanti,
in una ricerca della bellezza del suono e di un senso melodico contemporaneo presente
eppure quasi impalpabile, mediato dall'utilizzo di alcuni efficaci effetti elettronici.
Una delle più suggestive occasioni musicali all'interno della pregiata istituzione
da quando è iniziata la collaborazione con il Festival, insieme a quella di Peter
Evans del 2016.
Lo storico lanificio Moessmer di Brunico ha invece ospitato un bel concerto del
suo quintetto, con Tuomo Prättälä alle tastiere, Teemu Viinikainen
alla chitarra, Antti Lötjönen al basso e Kallio alla batteria. Le
musiche erano quelle del recente disco «Pekka», dedicato alle composizioni
del padre del leader, noto protagonista del jazz finlandese più vicino al progressive,
scomparso nel 2008. Le composizioni, a volte per stessa ammissione di Verneri "brutalmente"
riarrangiate, sono state occasione per godere di un combo che vanta un sound peculiare,
con richiami a certo jazzrock degli anni Settanta del secolo scorso, marcati
dal ruolo del Fender Rhodes, con alcune atmosfere alla Bitches Brew, l'eclettica
tromba del leader in primo piano con tutta la sua potenza espressiva e la tecnica
brillante, e l'agile chitarra elettrica a chiosare adeguatamente, mentre il drumming
elastico ed efficace di Kallio trovava adeguato ruolo in piena sintonia con il contrabbasso.
Il festival ha invitato due soli gruppi italiani: i Frontal di Simone
Graziano e Drive!
Frontal (oltre al leader al pianoforte, Dan Kinzelman al sax, Gabriele
Evangelista al contrabbasso, Stefano Tamborrino alle percussioni) ha
ospitato il chitarrista olandese Rainier Baas, già resident artist
a Bolzano. Una prestazione maiuscola, con alcune nuove composizioni che hanno coinvolto
pienamente l'ospite, che appariva come un membro stabile del gruppo pur non avendo
mai collaborato in precedenza con esso, e ha confermato Frontal come uno dei gruppi
di punta del jazz italiano. La cifra stilistica peculiare è sempre quella di una
costruzione compositiva architettonica, con un susseguirsi di stanze musicali differenti,
spostandosi al cui interno si svelano immagini in movimento ora delicate ora frenetiche,
ma sempre coinvolgenti e pregnanti. Negli spazi dedicati al pianoforte, abbastanza
ampi, Graziano ha mostrato un'ulteriore maturazione espressiva, che lo colloca definitivamente
fra i nomi di punta dello strumento in Italia. Non resta che auspicare un nuovo
disco dei Frontal, magari in questa configurazione a cinque.
Se lo spazio in cui si è tenuto il concerto di Frontal (il giardino di Palais Togenburg
nel centro cittadino, tra il frinire delle cicale e il melodioso cinguettio degli
uccelli che si integravano nella musica), ha indubbiamente avvantaggiato il gruppo,
non altrettanto si può dire per il concerto di Giovanni Guidi, Joe Rehmer
e Federico Scettri, esibitisi in un luogo di Merano non particolarmente attraente.
Tuttavia i tre, il cui primo cd, uscito per Auand, mostra un Guidi parzialmente
inedito al Fender Rhodes, hanno fornito una prova magistrale, con un repertorio
diverso da quello del disco che spaziava da canzoni di Dylan (A hard rain's gonna
fall) a You Ain't Gonna Know Me ('Cos You Think You Know Me) di Mongezi
Feza, a Moon River in versioni ampie e dilatate. Anche alla tastiera elettrica,
con suo affascinante suono vintage, che esplora con evidente compiacimento, Guidi
mantiene la sua vena e il suo tocco pianistico poetici, delicati e introspettivi,
e un trasporto meditato e amorevole verso il materiale tematico.
Tra le numerose altre proposte musicali convincenti non si possono non citare il
trio svedese Nils Berg Cinemascope, che interagisce creativamente dal vivo
con filmati YouTube di musicisti di diversi paesi lontani, mescolando i propri suoni
con quelli di artisti incredibili totalmente sconosciuti, che suonano i più disparati
strumenti, e che nel tempo ha cercato di incontrare di persona. E la band del basso
tuba norvegese Lars Andreas Haug, un settetto che poggia sul virtuosismo
del leader, sulle suggestioni provenienti dalla fisarmonica del serbo Jovan Pavlovic,
su ritmi balcanici e ottimi spunti solistici, con una gradevole danzabilità di fondo.
Ma anche l'interessante quintetto bavarese Fazer, diretto dal contrabbassista
Martin Brugger, con due batterie e in buona evidenza la tromba di Matthias
Lindermayr, più aderente all'ortodossia jazzistica di altri ascoltati durante
il festival. E ancora, negli spazi inediti della Cava Lieg a Castelrotto, fra il
colore rosa del porfido, il gruppo Sacrum Facere della sassofonista estone Maria
Faust, un ottetto europeo (sei fiati, pianoforte e un kannel, versione
estone del salterio nordico) che vedeva la presenza di due italiani, Francesco
Bigoni ed Emanuele Maniscalco, con musiche di ispirazione popolare e sacra,
un concerto di rara suggestione, fra toni cameristici, spiritualità, nel quale prevaleva
la scrittura ma con improvvisazioni altamente ispirate in totale empatia con la
bellezza dei luoghi circostanti.
Carliot – It's never too late Orchestra, ampia formazione capitanata dallo svedese
Per-âke Holmlander, ha visto i suoi undici elementi, provenienti da diversi
paesi europei, fronteggiare una musica nella quale l'improvvisazione collettiva
di matrice free rivestiva un ruolo importante, rimandando per le parti composte
alle musiche per fanfara, poggianti sui solidi riff del basso tuba imbracciato dal
leader.
Fire!, il trio del baritonista Mats Gustafsson nucleo della Fire! Orchestra,
ha ospitato la voce della connazionale Mariam Vallentin, che ha in parte
ingentilito la proposta musicale del trio, che tuttavia è emersa in tutta la sua
irruenza quando Gustafsson, lasciato il banco del live electronics,
ha imbracciato il suo baritono dal suono impavido e ardente, che non cede ad alcun
compromesso.
Le scelte della direzione artistica hanno dunque consentito di avere un quadro d'insieme
di un certo jazz proveniente dai paesi scandinavi. La scelta di escludere nomi di
punta (Wesseltoft e Molvær, per citarne un paio), ha permesso di ascoltare un buon
numero di artisti fra i trenta e i quarant'anni, con una sola eccezione per Gustafsson,
presentando un panorama artistico spesso interessante, non rivoluzionario ma non
privo di alcuni fermenti, che in alcuni casi meriterebbe maggiore attenzione e presenza
anche sulla nostra scena musicale.