Gezmataz Festival 2012 Genova, Arena del Mare, 19 - 22 lugli 2012 di Gianni Montano e Andrea Gaggero foto di Paolo Giudici
19 LUGLIO Interstatic Roy Powell - organo hammond
Jacob Young - chitarra
Jarle Vespestad - batteria
Planet Microjam David Fiuczynski - chitarre
Helen Sherrah Davis - violiino
Utar Artun - tastiere microtonali
Dywane Thomas - basso
Alex 'bisqit' Bailey - batteria
La prima serata del Gezmataz presenta una musica ad alto tasso
elettrico. Inizia il trio "Interstatic", una formazione che ricalca nella
struttura il "Lifetime" di Tony Williams, storica formazione degli anni settanta.
Il concerto si srotola su una certa varietà di situazioni e soluzioni tutte apparentabili
con un jazz rock non molto originale, nobilitato, però, dall'impronta del batterista
Jarle Vespestad. Il percussionista scandinavo, già collaboratore di Tord
Gustavsen, condiziona in positivo la musica del trio con un drummin' fantasioso
e sciolto, capace di dettare i ritmi, di scomporli, di picchiare duro sulle cadenze
funky o di liberarsi in assoli vaporosi eppur consistenti. Non è particolarmente
personale, ma abbastanza efficace, l'organista Roy Powell, il "sarto" del
gruppo, impegnato com'è a ricucire le trame intessute dai compagni con il suo "Hammond".
Il chitarrista Jacob Young, invece, sembra ispirarsi più a Pat Metheny che
a John McLaughling, colonna del "Lifetime". Predilige, infatti, i toni riflessivi,
poche note spesso tenute lunghe e piazzate al posto giusto, rispetto alle sequenze
velocissime del leader della "Mahavishnu Orchestra".
Subito dopo è la volta di David Fuczinski e del suo "Planet microjam". Rispetto
al quintetto radunato per l'incisione del CD omonimo, ci sono cambiamenti piuttosto
notevoli. Anzi nessuno dei musicisti che si ascoltano su disco figura nel gruppo
della serata genovese. Non muta, per contro, la sostanza del discorso e neppure
il suono complessivo. Siamo di fronte ad una world music con retrogusto rock con
inevitabili riferimenti etnici, giustificati anche dalla presenza di strumentisti
di diversa provenienza geografica. Domina la scena David Fiuczynski con una chitarra
a doppio manico, da cui trae una serie di impulsi microtonali che sviluppa lui stesso
o lascia evolvere dai suoi partners. Fra gli altri si distinguono il tastierista
Utar Artun, una sorta di co-leader, ben piantato nelle radici folkloriche
della sua terra, ma con uno sguardo condotto in avanti e la brava violinista H.Sherrah
Davis, attenta a fornire un contributo allo sfondo o a far risaltare un particolare
significativo in primo piano nel quadro d'insieme allestito dai "Planet..."
Buon successo per i due set, alla fine, malgrado una arena del mare con parecchi
posti vuoti. E il doppio appuntamento era gratuito. (GM)
20 LUGLI0 2012 Brad Mehldau trio Brad Mehldau
- pianoforte
Larry Granadier - contrabbasso
Jeff Ballard - batteria
Mehldau è, fuor di dubbio, uno dei più talentuosi
e interessanti pianisti oggi attivi ed un suo concerto è spettacolo di grande musicalità,
eleganza e gusto. Il set si apre con l'hendrixiana Hey Joe, su un ritmo blues-rock
che rimanda al miglior Davis (quello della cosiddetta "svolta elettrica") e al Jarrett
anni '70; è centrale in questa "hit" degli anni sessanta il ruolo del contrabbasso
di Larry Granadier che esegue un ritmo funky con la stessa agilità e pertinenza
di un basso elettrico. Misurato e comunicativo Mehldau lascia il primo assolo a
Granadier mettendo in gioco une delle sue qualità migliori: la capacità di "lasciar
respirare" la musica concedendo contestualmente ampio spazio ai compagni. Trio collaudato
e rodato in anni di concerti ed incisioni in cui Ballard è l'ultimo arrivato. Prima
di lui c'era Jorge Rossy, attualmente al fianco di Wayne Shorter. La sua sensibilità
per gli aspetti dinamici e timbrici del drum set ne fanno un batterista/percussionista
di grande raffinatezza con una predisposizione a suonare pensando costantemente
al progetto d'insieme. Sono doti tutto sommato rare che premiano la scelta molto
indovinata del leader. Ballard è oggi un perno insostituibile del trio. Che Mehldau
si ponga come ulteriore tassello di quella tradizione pianistica che ha in Evans
e Jarrett due suoi capostipiti, è fatto noto, ma rispetto a tali riferimenti aggiunge
un approccio del tutto personale, ampiamente sincretico, per come concepisce gli
arrangiamenti minuziosi dei brani e nella concezione personale del trio piano-basso-batteria.
Lo distinguono dai musicisti citati una volontà costante di comunicare in modo diretto,
a tratti addirittura "facile" e un desiderio di esprimere i propri orizzonti musicali
affidandosi pure ad una grande economia di mezzi. Nel suo pianismo è quasi del tutto
assente, o abilmente celata, la tradizione che ha in Tatum prima e in Powell e nel
primo Evans poi, la sua linea di sviluppo storico. Quello di Mehldau è pianismo
che, sovente, ricerca la massima "tensione" e concentrazione musicale con il minimo
sforzo. Esempio mirabile di tale idea estetica è l'arrangiamento e l'esposizione
del tema della beatlesiana "And I Love Her"; qui come altrove ottiene tale
elaborazione affidandosi ad un ritmo funky eseguito a volume contenuto, alle variazioni
microdinamiche e microtimbriche delle percussioni di Ballard e ad una capacità rara
di collocare note essenziali nello spazio e nel tempo. Nessuna volata della mano
destra, nessun arpeggio o scala rapidissima, nessuna esibizione di abilità "prestidigitatoria".
Mehldau è sorretto da un grande virtuosismo e magistero tecnico, solo che tale eccellenza
si esprime qui tramite un controllo totale delle dinamiche, nella capacità di far
risuonare e cantare lo strumento e nella non comune interdipendenza delle mani con
un frequente interscambio delle parti con il canto affidato alla sinistra. Pianismo
con una sua logica interna e consequenzialità, la cui ricchezza ed originalità vanno
ricercate nell'approccio compositivo d'insieme più che nella pregnanza ed originalità
solistica. Il concerto si sviluppa poi su un delizioso ed accattivante tema in 6/4
("Friends"); semplicità, grazia, economia e souplesse sono tutti termini
adatti a descrivere il pianismo di Mehldau. La ricchezza e la vitalità derivano
da una sensibilità melodico-armonica inconsueta. La scelta di ritmi diversi dall'abusato
4/4 scandito sui piatti confermano che oggi Mehldau appare più vicino a John Lewis
che non a Jarrett nel modo di organizzare la sua musica. A questo punto del concerto
si affaccia un tema autunnale, melanconico e brumoso con l'accompagnamento solo
sul piatto ed un ritmo latino sottopelle che è in realtà il sostegno di un brano
altrimenti inconsistente. Poi la dinamica cresce dopo un assolo ritmato di Granadier
e Mehldau si lancia in cascate di note per tornare al tema che affievolisce e termina
con una cadenza in solitudine. Quindi la citata "And I Love Her", meravigliosamente
eseguita, con i bassi profondi sulla tastiera ed ancora un lento ritmo latino con
Ballard con il mallet sul rullante senza cordiera e la bacchetta sul piatto. Qui,
come in altri momenti, la scelta del repertorio beatlesiano appare particolarmente
congeniale ma, quando passa ad improvvisare sul tema, la cosa gli riesce in parte
e non si riesce a distogliere l'attenzione dalla linea ai bassi che è la vera ragione
del brano insieme al ritmo sottotraccia. Successivamente un brano cameristico, probabilmente
interamente scritto, in cui il tastierista dapprima espone il tema all'unisono con
il contrabbasso pizzicato. Grenadier, in un secondo segmento, con l'archetto, continua
a ripetere la cellula melodica che fa da collante tra i radi accordi pianistici
e l'accompagnamento in assolo della batteria. Una menzione particolare va assegnata
a Granadier e Ballard qui insostituibili; il brano si chiude ancora una volta in
solitudine tra minimalismo e Gershwin, con una capacità rara di far risaltare il
pianoforte. Capacità che riluce anche nella successiva ballad scritta da Johnny
Mandel ed eseguita "abbandonandosi" al canto con la mano sinistra ed una competenza
rara nel sistemare le note dentro il ritmo stabilito. Il concerto presentato a Genova
è stato di grande qualità con particolare evidenza, come già sottolineato, le non
comuni doti musicali e pianistiche di Mehldau all'interno di un trio senza punti
deboli e smagliature. Il band leader si rivela, infatti, costantemente progettuale
e controllato, dimostrando come sia possibile offrire uno spettacolo di grande piacevolezza
e coerenza affidandosi esclusivamente ad elementi musicali finemente e raffinatamente
elaborati. (AG)
22 LUGLIO 2012 John Scofield's Hollowbody Band John Scofield
- chitarra
Kurt Rosenwinkel - chitarra
Ben Street - basso
Bill Stewart - batteria
Si registra una grande accoglienza per il protagonista dell'ultima
serata dell'edizione 2012 di Gezmataz:
John Scofield.
Il chitarrista americano comprende di poter contare su una platea ben disposta nei
suoi confronti e tira fuori un concerto festoso, a suo modo autocelebrativo. Il
musicista dell'Ohio ribadisce la sua appartenenza ad una linea di modern mainstream,
un jazz che parte dalla tradizione del bop per incontrare il blues, il country,
il funky. Dopo aver attraversato o riattraversato fasi specifiche, dedicate ad un
genere in particolare, ora riassume le precedenti esperienze per rifare il punto
della situazione. Accanto a lui Kurt Rosenwinkel si dimostra musicista sensibile
e tecnicamente inappuntabile. Il suono della sua chitarra è più rotondo e piano
rispetto a quello del collega che va, invece, a cercare gli spigoli, gli angoli
appuntiti. Scofield caracolla sovente per il palco e incalza il più giovane compagno
di strumento, dando via a vere e proprie "chase" con il potenziale "rivale",
in certi momenti, condotte, però, in maniera collaborativa e non competitiva.
Ben Street, al contrabbasso, resta in apparenza nell'ombra. In realtà il suo
lavoro serve a puntellare solidamente quanto sgorga dagli altri strumenti, per mezzo
di interventi di sostanza più che di forma. Bill Stewart fa storia a sé.
La batteria è un prolungamento del suo corpo. Accarezza o percuote i piatti, si
lancia con fuoco o con dolcezza su cassa e tamburi costruendo un'impalcatura ritmica
mobile, precisa e in equilibrio stabile. Il pubblico applaude convinto alla fine
della performance e non mancano due bis chiesti a furor di popolo.(GM)