E' durato tre giorni l'oramai consolidato Corinaldo Jazz Festival,
sotto la guida artistica dell'infaticabile Andrea Venturi. Il Festival, giunto
alla sua diciassettesima edizione, assume i connotati di un appuntamento prestigioso
a cui non mancare: scelte di alto livello artistico, pur non possedendo i crismi
di spettacolarità.
Si inizia con il trio di Mala Waldron,
figlia del pianista Mal Waldron. Viene quasi logico aspettarsi il seguito della
musica paterna e invece ascoltiamo molto R&B. Difatti, nonostante gli studi paterni,
si evince che gran parte delle sue ispirazioni musicali provengano da quella miscela
di Crossover e soul jazz che caratterizzava il periodo musicale degli anni '70 e
'80. Splendida la collocazione del concerto in uno dei luoghi più suggestivi di
Corinaldo: la Piaggia!
Il secondo appuntamento del Corinaldo Jazz vede sul palcoscenico della
piazza del Terreno un trio corposo capitanato da un fuoriclasse del Modern Jazz:
Joey Calderazzo. Il pianista ha costruito una solida carriera grazie anche
probabilmente al fatto di aver sostituito Kenny Kirkland nel prestigioso quartetto
di Branford Marsalis, trovandosi cosi in poco tempo, catapultato sotto i riflettori
di ambìti palcoscenici in estenuanti tour con il grande sassofonista della famiglia
Marsalis. Tra standard e brani originali, vigorosi groove funky e walking in 4\4
che ispira il pianista nei diversi chorus, c'è spazio anche per il blues che più
in la si trasforma in un'ondata che scaturisce nella dirompente cascata di accordi.
Lo accompagna l'elegante Jasper Somsen, musicista e compositore sopraffino
che ricordiamo spesso al fianco del nostro
Enrico
Pieranunzi; il suo contrabbasso offre un sostegno solido, corposo ma nello
stesso tempo discreto, i suoi soli rigorosi sono come racconti fantastici. Justin
Faulkner alla batteria ha grande capacità di scomposizione ritmica e indipendenza
delle mani, quel rigore ritmico che solo pochi possono vantare. Ha iniziato la sua
carriera giovanissimo imparando ogni brano di Hank Mobley ma anche le melodie di
Lee Morgan e di
Cedar Walton e i risultati si possono ascoltare, è una gioia vederlo all'opera
tra tom, splash e crash. Contrabbasso e batteria spesso punteggiano gli assoli di
Calderazzo in velocità, pompando una potente energia da arrivare al chorus successivo
in estasi. Alla fine del concerto il pubblico caloroso chiede a grande incitazione
il bis e poi tutti sotto il palco per le chiacchiere, strette di mano e gli immancabili
selfies. La seconda riuscitissima serata del Festival termina al tavolo del "Ai
9 tarocchi", grazioso e accogliente ritrovo dei musicisti per le immancabili jam
session fino a tarda notte, degustando piatti della tradizione e ottimo vino, apprezzamenti
anche per le urla d'incitamento. Ma la mente è già proiettata al prossimo ed ultimo
attesissimo concerto.
A Steve
Kuhncon Steve Swallow
e Joey Baron spetta il compito di chiudere il festival. E al trio spetta
la capiente piazza Il Terreno parterre de rois per un pubblico d'eccezione.
Non una sedia disponibile e tutti gli angoli occupati da un foltissimo pubblico
accorso per un evento di proporzioni ragguardevoli. Il concerto ha inizio e con
lui una lezione di jazz autentico, senza compromessi, vincendo il confronto sul
piano delle emozioni. Il pubblico letteralmente rapito, ascolta in religioso silenzio,
c'è una fortissima tensione implicita, fatta di pause, silenzi e improvvise arditezze
armonico melodiche.
I brani, proposti inizialmente calmi e riflessivi, si abbandonano
ad una attenta struttura per combinazioni di improvvisazioni. Le idee di Kuhn sono
fluide e delicatamente sensibili alle esigenze di ogni momento musicale. Un concerto
da incorniciare per musicalità e feeling. Kuhn, che fraseggia con lo spirito dei
grandi del passato e allo stesso modo di una modernità impressionante, rappresenta
una leggenda vivente.
Steve Swallow
svolge un poderoso lavoro ritmico, esegue sublimi ed eleganti aperture di basso
elettrico, le note pacate scivolano come verità assoluta e la musica diventa contagiosa.
Joy Baron impreziosisce i brani con fill-in precisissimi, un lavoro di spazzole
e piatti raffinato e ancora improvvisi ed efficaci colpi secchi in controtempo.
Timing perfetto, un maestro di sfumature che sa come creare un'atmosfera musicale
accattivante a cominciare dal suono dei suoi Ride Cynbals. Idee e cuore vanno
a braccetto: un trio saldo come una roccia. Lavorando per lungo tempo assieme, il
trio ha all'attivo diverse registrazioni per prestigiose etichette tra le quali
ECM, si può puntare su un rapporto dialogico che tende a spingere l'esecuzione
verso orizzonti più lontani, pronti a scoordinare il linguaggio canonico del trio
sui tempi e sulle forme. I tre fuoriclasse sono attenti alla combinazione, struttura
ed improvvisazione, ad ogni brano gli sguardi s'incontrano per ammiccamenti e sorrisi
a go go. Ogni esecuzione è carica di patos, così arriva "Oceans In The Sky"
preceduta da "Trance", una song a firma Kuhn, potente e armonicamente intrigante.
Kuhn ha forgiato una musica brillante che sottolinea la forza del suo trio, un trio
ideale dove ogni musicista con destrezza completa il lavoro degli altri. Tra gli
scrosci di applausi e bis, Kuhn prende il microfono e canta "The Zoo", una
canzone che tempo fa aveva come titolo "Pearlie's Swine" e la cantava
Monica Zetterlund, grande cantante e compagna dello stesso Kuhn.