Jazzitalia - Live: ParmaJazz Frontiere 2013 - Ia Parte
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ParmaJazz Frontiere 2013 - Ia Parte
Rumori Sensibili
XVIII Edizione
30 ottobre – 8 dicembre
di Marco Buttafuoco - Nina Molica Franco

IIa Parte >>

Tim Berne' Snakeoil Quartet
Tim Berne/saxofoni; Oscar Noriega/clarinetti; Matt Mitchell/pianoforte: Ches Smith/batteria, percussion
Parma, Casa della Musica - Parma 30 ottobre 2013



Una volta Stan Kenton ebbe a dire: "penso che oggigiorno l'umanità stia attraversando esperienze mi provate prima, frustrazioni, nevrosi e coartazioni nello sviluppo emotivo che la musica tradizionale non riuscirà mai non dico a soddisfare, ma nemmeno a rappresentare. Perciò sono convinto che il jazz sia la musica del futuro, arrivata giusto in tempo." Difficile non pensare alla frase del grande band leader dopo aver ascoltato il concerto del quartetto di Tim Berne nella serata inaugurale di Parma Jazz Frontiere, il 30 novembre. In effetti l'altista newyorkese e di suoi partner (il pianista Matt Mitchell, il clarinettista Oscar Noriega, ed il percussionista-vibrafonista Ches Smith) hanno fatto echeggiare alla casa della Casa della Musica della città ducale una musica molto aspra e sofferta, ribollente di una sorta di straziata energia. Un viaggio fra brandelli melodici astratti ed ipnotici, fra riff furibondi, sequenze free. Materiali in gran parte scritti ed accumulati quasi per essere scagliati addosso ad un pubblico affascinato e talora quasi intimorito. Certo, il magma musicale suscitato dal gruppo (tratto dai due dischi che Berne ha pubblicato di recente con la Ecm) si stemperava talvolta nei soli raffinati e sognati dei clarinetti di Oscar Noriega, capace di evocare melodie perdute in una sorta di indicibile e inedito spazio-tempo; il pianoforte di Mitchell ha anche suggerito spigolosi echi di classicità rarefatta; le percussioni ed il vibrafono di Ches Smith hanno regalato alcuni soli preziosi. Ma l'atmosfera generale era quella di una musica fuori dagli schemi soliti, di una contemporaneità rabbiosa e desolata. Tim Berne ama definirsi un organizzatore di feeling e di atmosfere "sono arrivato abbastanza presto – ha scritto -, alla conclusione che i miei pezzi non devono mai finire nella stessa maniera in cui cominciano. La mia musica è diventata più complessa, negli anni. Ma il punto centrale è rimasto lo stesso. Portare la musica da un'altra parte. Scrivere per me è fare accadere qualcosa, promuovere l'improvvisazione, dare vita a situazioni che mai potrebbero emergere, senza la spinta della scrittura, che non potrebbero essere espresse dalla totale libertà degli esecutori." Un intento in qualche maniera narrativo, i cui risultati riportano alla mente ed all'anima la fra se di Stan Kenton citata all'inizio.
Marco Buttafuoco

Jim Black Trio
Elias Stemeseder/pianoforte; Thomas Morgan/contrabbasso; Jim Black/batteria, elettronica
Parma, Teatro Due, Sala Grande - 16 novembre 2013

Musica, ritmo, atmosfere calde e vortici di suggestioni e tensioni, il tutto condito con una straordinaria tecnica e una buona dose di talento. Un secondo appuntamento esplosivo per il ParmaJazz Frontiere festival che con il Jim Black Trio fa meta e non delude le aspettative del pubblico completamente catturato dalla musica, dalla straordinaria personalità degli artisti e, in particolare, dall'energia travolgente di Jim Black. Accompagnato da Thomas Morgan, uno dei contrabbassisti più quotati del nostro tempo, e da Elias Stemeseder, il pianista austriaco tanto giovane quanto talentuoso, Jim Black, sul palco del Teatro Due, ha presentato brani tratti da Somatic, primo lavoro discografico del trio. Una musica inedita rispetto ai suoi precedenti progetti come AlasNoAxis; se, infatti, in passato erano le venature elettriche tipiche del rock a prendere il sopravvento, con questo trio Jim Black tiene a bada i suoi istinti da rocker, tuffandosi a capofitto in un jazz che si pone come emblema della contemporaneità. Non manca di certo la ritmica che contraddistingue il batterista di Seattle che adesso, però, dialoga in maniera paritaria con il piano di Elias Stemeseder, che in maniera molto naturale riesce a seguire e plamarsi sulle architetture ritmiche costruite da Black. A fare da collante Thomas Morgan: l'eccellente contrabbassista riesce a legare tra loro due energie in completo divenire, riportando il gioco armonico sui toni di un jazz contemporaneo e raffinato. Non mancano, ovviamente, i momenti in cui anche Morgan alza la voce ed emerge incontrastato dando libero sfogo al suo estro. Il suo è un modo molto particolare di utilizzare uno strumento così elegante: ora pizzica le corde, ora le percuote, ora le sfrega e il tutto è avvolto da una nuvola di naturalezza che aleggia costantemente intorno a lui. Con Thomas Morgan la musica, il jazz, diventa urgenza e esigenza, un modo per esprimere in maniera efficace la propria personalità. Il regista di ogni episodio musicale è comunque sempre Jim Black, è lui che decide il momento in cui la tensione è bene che cresca, fino a raggiungere il picco in cui diventa un fiume in piena pronto a straripare, e allora è swing. Il ritmo diventa travolgente, serrato e viene fuori l'animo ribelle di Black che, come ogni artista che si rispetti, conosce perfettamente il punto in cui la tensione va allentata per dare spazio alla melodia, prima che il tutto diventi stucchevole.
Il Jim Black Trio è come una nave: c'è un capitano che conosce alla perfezione la propria rotta e i propri punti di forza, e ci sono i due straordinari compagni che si lasciano trascinare in questo viaggio musicale, suggerendo i modi migliori per raggiungere la meta. Non resta che chiedersi quale sia questa meta: è un jazz fresco, contemporaneo, capace sempre di sorprendere; un jazz che è swing, che tiene l'orecchio attento e incollato ad ogni singolo episodio musicale. E il Jim Black Trio con estrema naturalezza raggiunge la meta.
Nina Molica Franco

Slanting Dots - Unfold
Luca Perciballi/chitarra, live electronics; Alessio Bruno/contrabbasso, elettronica; Gregorio Ferrarese/batteria, percussioni
Parma, Associazioe Remo Gaibazzi - 23 novembre 2013

Dopo un inizio in grande con i nomi più influenti del jazz contemporaneo, il ParmaJazz rivolge il suo sguardo ai giovani talenti di casa nostra e, tra essi, non poteva mancare il nome degli Slanting Dots. Giovani, talentuosi, con la costante vocazione alla ricerca sonora, Luca Perciballi alla chitarra, Alessio Bruno al contrabbasso e Gregorio Ferrarese alla batteria presentano Unfold, il loro primo lavoro discografico realizzato per l'etichetta milanese Nau Records. Per il trio il jazz è un punto di partenza, un trampolino di lancio per esplorare percorsi inediti che li spingono ai confini del genere, verso quella che è una vera contaminazione con il rock e spesso anche con il post rock, fino a toccare in alcuni punti le vette della psicheldelia. Il mix risulta sempre molto coeso e ben equilibrato, in grado di creare un genere ibrido che pone gli Slantig Dots sulla scia di un jazz di ampio respiro, dal sapore internazionale e ricco di influenze d'oltralpe. Straordinaria la performance di Luca Perciballi, che con il suo arsenale di pedali ha mostrato di essere un ottimo conoscitore del suo strumento, una conocenza razionale che non manca di creatività; velocità e agilità costituiscono la base grazie alla quale è in grado di svolgere percorsi idiomatici di notevole difficoltà. E non è da meno Alessio Bruno, il contrabbassista capace di seguire il chitarrista nei suoi viaggi sonori e di fare da contraltare alle distorsioni rock, arricchendole di una timbrica più delicata eppure incisiva. Il tutto è perfettamente inscritto all'interno del tappeto ritmico costruito da Gregorio Ferrarese: batterista molto dotato, puntuale ed energico, è la roccaforte per gli altri due musicisti, anche se spesso lascia spazio alla sua creatività, andando fuori dagli schemi preimpostati. Insomma un batterista a cui piace sperimentare e, attraverso l'improvvisazione, trovare un posto all'interno del gioco armonico di Luca Perciballi e di Alessio Bruno. Slanting Dots è un trio molto ben assortito che, pur essendo al suo debutto discografico, mostra grande maturità e soprattutto una strada ben delineata, lungo la quale sviluppare ulteriormente il progetto. Quello degli Slanting Dots è un approccio fresco alla musica, che si nutre della loro giovinezza e della voglia di esplorare terre sempre nuove. Il loro è un suono che sicuramente affonda le radici nella musica classica contemporanea e si tinge di volta in volta di un colore diverso, ora rock, ora post rock, ora psichedelia, a seconda del viaggio musicale che i tre decidono di compiere.

Nina Molica Franco


Ricardo Costa Solo – Sounds & Songs
Ricardo Costa/chitarra, samples & live electronics
Ruvido Insieme – Graffiti Verdiani, Omaggio a Giuseppe Verdi
Direzione Roberto Bonati; Marika Pontegavelli/voce; Giulia Crespi/voce; Fabio Frambati/tromba, flicorno; Antonio Ronchini/tromba; Roberto Vignoli/sax alto; Claudio Morenghi/sax soprano, tenore; Gabriele Fava/sax tenore; Stefano Borghi/clarinetto basso; Michele Bonifati/chitarra; Diego Sampieri/chitarra; Domenico Mirra/pianoforte; Andrea Grossi/contrabbasso; Gabriele Anversa/batteria
Parma, Casa della Musica - 24 novembre 2013

Sono diverse le vie attraverso le quali si arriva al jazz e sicuramente il doppio set che ha visto protagonisti Ricardo Costa e il Ruvido Insieme ne è l'emblema. Due modi diversi di vivere la musica, due stili e repertori agli antipodi che pure, forse, fanno parte del mondo così ampio e variegato del jazz. E così a dare il via alla serata il solo di Ricardo Costa, un musicista o, meglio, un artista capace di trascinare il pubblico in quella che è la profondità del suo mondo interiore, fatto di contraddizioni, di tensioni, di respiri profondi, proprio come la sua musica. Con una vasta gamma di pedali e l'utilizzo dell'elettronica Ricardo ha dato vita a fitte trame sonore, tessute sopra una delicata base di loop. E già il nome del progetto ci rimanda proprio all'essenza del suo lavoro, Sounds & Songs: i suoni sono proprio quelli che lui ricerca, differenziando i timbri e il colore della sua chitarra, e poi le canzoni che ci riportano in una dimensione più intima e a tratti cantautoriale. Quella di Costa è una musica che proviene dall'anima, una musica che è dolce, ma decisa, e soprattutto è magia. Poi ad un tratto tutto diventa teso, la chitarra inizia ad urlare, sale la tensione e le note si fanno via via più acute rendendo un suono stridente. E proprio quando questa tensione raggiunge il culmine, Ricardo Costa non cessa di pretendere che la sua chitarra continui a suonare e la culla dolcemente, come se le due anime entrassero in contatto e iniziassero a vibrare all'unisono. Un suono inconfondibile e molto personale il suo, attraverso il quale è in grado di enfatizzare le molteplici sfumature della chitarra in un percorso che è ricerca e sperimentazione. Con musiche di propria composizione e rivisitazioni di grandi classici quali Horace Silver, Johnny Mercer e Victor Young, Ricardo Costa ha incantato il pubblico, compito sicuramente non facile per un chitarrista che si esibisce in solo.

E dopo questo inizio così denso di emozioni, ecco che il jazz, con il Ruvido Insieme, l'ensemble composto dai migliori allievi della classe di jazz del Conservatorio Arrigo Boito di Parma, diretto dal M°Roberto Bonati, cambia volto e così anche Verdi. Un repertorio inconsueto per un ensemble del genere, che con i Graffiti Verdiani, riesce a rendere omaggio ad uno dei padri della musica in modo sicuramente molto originale. Le musiche, tratte da Il Trovatore, dall'Otello, da Un ballo in maschera e dalla Messa da Requiem, sono state rivisitate e riarrangiate per l'occasione dallo stesso direttore dell'ensemble, Roberto Bonati, ma anche da Claudio Morenghi e Andrea Grossi, due dei tredici musicisti sul palco. Marika Pontagavelli e Giulia Crespi alla voce, Fabio Frambati alla tromba e al flicorno, Antonio Ronchini alla tromba, Roberto Vignoli al sax alto, Claudio Morenghi al sax soprano, Gabriele Fava al sax tenore, Stefano Borghi al clarinetto basso, Michele Bonifati e Diego Sampieri alla chitarra, Domenico Mirra al pianoforte, Andrea Grossi al contrabbasso e Gabriele Anversa alla batteria, tra jazz, improvvisazione e opera, rendono omaggio in maniere ineccepibile al grande mito di Verdi.

Nina Molica Franco


Artijoke
Michele Bonifati/chitarra, elettronica; Vincenzo Moramarco/chitarra, elettronica

Luca Savazzi Trio e Alessia Galeotti
Alessia Galeotti/voce; Luca Savazzi/pianoforte; Stefano Carrara/contrabbasso; Paolo Mozzoni/batteria
Parma, Casa della Musica - 27 novembre 2013

Il ParmaJazz Frontiere Festival si fa ancora in due e mette in scena un doppio set caratterizzato da due formazioni molto diverse e con un background alle spalle totalmente differente.
I primi a salire sul palco della Casa della Musica gli Artijoke, il duo chitarristico di Michele Bonifati e Vincenzo Moramarco, entrambi studenti della classe di jazz del Conservatorio A. Boito di Parma. Artijoke è un progetto molto particolare, che viaggia sulle frequenze della sperimentazione e della ricerca sonora. L'obiettivo del duo è quello di oltrepassare i confini del jazz con l'idea di ampliare le possibilità espressive del genere e di spingere fino all'eccesso le potenzialità del loro strumento. Difficilmente tra i due si instaura n dialogo, ma ciò che emerge è la prevalenza ora dell'uno ora dell'altro, che sviluppano il proprio discorso musicale in maniera quasi indipendente. Moltissime le influenze, tra le quali sicuramente il rock ma anche l'elettronica, fino ad arrivare alla tradizione musicale dell'Europa del nord alla quale rimanda immediatamente la vista e il suono dell'archetto utilizzato da Moramarco. La performance degli Artijoke, basata su composizioni originali dei due musicisti, si compone di momenti radicali con colori in forte contrastro tra loro: dal suono melodico e caldo si passa a qualcosa di estremo che finisce per sfiorare la soglia del rumore.

E dopo questo primo set dal forte impatto sonoro ecco che sul palco sale Luca Savazzi, pianista molto noto della scena jazz parmense, in trio con il contrabbassista Stefano Carrara e con Paolo Mozzoni alla batteria. Nella classica formazione a cui la musica jazz ci ha tanto abituati, i tre musicisti propongono brani originali tratti da From winter to spring, il loro lavoro discografico edito dalla J-Digital. Nella seconda parte della performance, Savazzi, Carrara e Mozzoni, ospitano Alessia Galeotti, cantante da parecchio tempo impegnata nel jazz, con la quale espongono la loro idea di jazz fortemente radicato alla storia e che tiene come costante punto di riferimento quegli artisti apprezzati da ogni estimatore del genere. È quindi dovuto il richiamo a Antônio Carlos Jobim con Fotografia, a Thelonious Monk con Well, you needn't e, infine, a John Coltrane con Naima.

Nina Molica Franco

Emanuele Parrini – Viaggio al centro del Violino
Parma, Associazione Remo Gaibazzi - 30 novembre 2013

E con Emanuele Parrini il ParmaJazz Frontiere Festival si lascia trascinare nel vortice del suo Viaggio al Centro del Violino, primo lavoro discografico in solo dell'artista toscano edito per Rudi Records. Un concerto molto affacinante in cui Parrini esegue brani tratti dal già citato cd, di propria composizione, ma anche musiche di Paolo Botti e William Parker, riuscendo a canalizzare tutte le attenzioni sulle sue mani che si muovono veloci sul violino, ora con l'archetto, ora pizzicando o percuotendo. L'artista, considerato ormai l'esponente più significativo del violino nel jazz italiano contemporaneo, intraprende questo viaggio attraverso le potenzialità espressive di uno strumento che potrebbe apparentemente sembrare insolito per il jazz, ma che vanta invece una lunga tradizione nel genere. Alla continua esplorazione dell'universo sonoro nel quale vive il violino, Parrini riesce ad andare oltre la tradizione e a situarsi lungo una retta che conduce direttamente al futuro, alla ricerca di qualcosa di nuovo che lo porti ad una costante evoluzione. Straordinaria la sua capacità di creare un vortice di tensione sempre vibrante e palapabile alternando delle sonorità stridenti e dure a dei suoni più armonici, frutto della grande dinamicità e espressività che caratterizza il suo modo di suonare. L'archetto è sempre incisivo sulle corde, le stesse che Parrini pizzica o percuote o sfrega, alla ricerca di scarti sonori e improvvisi cambiamenti: una stessa corda produce un suono diverso se sfiorata in modo differente. Il rapporto tra Emanuele Parrini e il suo violino sembra a tratti controverso: in alcuni momenti si percepisce quasi un'identificazione tra i due, e allora iniziano a danzare insieme. L'attimo dopo, invece, è come se il violino volesse scappare dalle mani di Parrini, dando sfogo alla sua anima impetuosa e irrefrenabile; ed è in questi momenti che il violinista stringe forte il suo strumento quasi per domarlo. Certo, anche l'anima artistica di Parrini è molto impetuosa, ma allo stesso tempo capace di una delicatezza e una raffinatezza fuori dal comune. Il suo Viaggio al Centro del Violino sembra essere anche un viaggio all'interno del suo essere artista, un'esplorazione dello strumento ovviamente, ma forse testimonia anche la volonta di Parrini di mettersi a nudo e mostrare il proprio io. Appare anche automatico il processo attraverso il quale le note e il suono che il violinista intende produrre si trasmettono allo strumento per diventare, poi, di proprietà del pubblico, che ne gode ogni sfumatura. Con Parrini il violino diventa uno strumento nuovo ogni volta e si presta a rievocare le tradizioni musicali più disparate, come il blues e la sonorità black che lo contraddistingue. E per il gran finale del concerto, Emanuele Parrini viene raggiunto sul palco da Roberto Bonati: i due musicisti parlano la stessa lingua, quella universale dell'arte, e il dialogo tra i due strumenti prende vita spontaneamente.

Nina Molica Franco







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Data pubblicazione: 06/01/2014

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