Herbie Hancock e Wayne Shorter Auditorium Parco della Musica 26 luglio 2014
di Nina Moliuca Franco foto di Alessandra Genovese
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Quando sul palco si incontrano due
leggende del calibro di
Herbie Hancock e
Wayne Shorter si è talmente carichi di aspettative che, quando queste
si scontrano con la realtà, possono esserci enormi sorprese. Hancock e Shorter sono
due tra i più importanti artisti del panorama del jazz mondiale, che hanno contribuito
a scrivere molte pagine della storia del genere e, insieme a Miles Davis, hanno
ideato un modo nuovo di vivere il jazz dando vita a progetti straordinari.
Lo spettacolo all'Auditorium Parco della Musica è stato un nuovo
incontro tra amici di vecchia data, così diversi, lì riuniti per coinvolgere il
pubblico in un eterno ricordo di ciò che è stata la loro immensa esperienza. Era
stato annunciato un concerto molto intimistico, più nelle corde di Shorter probabilmente,
ma in realtà tra i due artisti sicuramente Hancock ha riservato le sorprese migliori.
Il suo tocco sul pianoforte è semplicemente straordinario, dotato di un'impareggiabile
fluidità e capace di dare vita ad una musica che sembra fatta di una materia fluida
alla quale lui prontamente cerca di costruire degli argini solidi per non farla
scivolare fuori dal mondo che sta creando. Egli è apparso un po' come il regista
dei vari episodi musicali, forse non perfettamente seguito da Shorter. I due musicisti
hanno viaggiato per tutto il concerto su lunghezze d'onda parallele che, pur con
tanta fatica, non sono mai riuscite a ricongiungersi. Shorter ha particolarmente
insistito su coppie di note, o singoli suoni trattenuti, raggiungendo delle frequenze
fin troppo elevate e ciò non ha permesso di seguire in maniera chiara una linea
melodica, un filo rosso che conducesse il concerto dall'inizio alla fine.
Herbie
Hancock si è destreggiato tra il pianoforte e una tastiera con la quale
ha costantemente ricercato una dimensione sonora in cui la liquidità era la cifra
dominante, ma purtroppo non raggiungendo mai quel grado di modernità e di innovazione
che ha sempre contraddistinto il suo approccio musicale. Allo stesso modo, però,
i momenti al pianoforte sono stati quelli in cui Hancock ha dato vita ai paesaggi
sonori più interessanti.
Un concerto quindi costruito su un doppio binario in cui Hancock
è riuscito a fare qualcosa di interessante grazie alla sua immensa tecnica che gli
ha permesso di definire un paesaggio colorato e comunque ricco, mentre Shorter dal
canto suo è apparso non particolarmente in forma. Probabilmente si è duri perchè
in passato Hancock e Shorter sono stati protagonisti di grandi cose, ma nel lungo
applauso finale era racchiusa energicamente la grande stima del pubblico nei confronti
di quelli che comunque sono e saranno sempre due colonne portanti dell'universo
jazz.