Verona Jazz 2009
Herbie Hancock e Lang Lang
Arena di Verona, 13 luglio 2009
di Giovanni Greto
Herbie Hancock, Lang Lang: pianoforte
Orchestra dell'Arena di Verona. Direttore: John Akelrod
Quando un concerto viene propagandato come un
evento imperdibile, in grado di regalare sorprese e colpi di scena, se si cede alle
lusinghe di ciò che si legge e si decide di assistere allo spettacolo, spesso si
rimane delusi. L'appuntamento dell'Arena ha confermato in parte tale pensiero. Dopo
una lunghissima carriera iniziata con lo studio della musica classica, ci incuriosiva
ascoltare
Hancock alle prese con composizioni da eseguire leggendo battuta dopo
battuta lo spartito. Quanto a Lang Lang non ci è parso quel genio che i media
stanno esaltando. Chissà, in età più matura – adesso ha 27 anni – potrebbe arrivare
a prestazioni coinvolgenti, quelle, per intenderci, che inducono il pubblico a rimanere
immobile sulla propria sedia, rapito da ciò che sta ascoltando e senza mai guardare
l'orologio, o qualche punto della platea: insomma, senza distrazioni. Certo è che
l'enormità e la maestosità dell'anfiteatro veneto rende difficile seguire solo ciò
che avviene sul palco, spesso lontano, tolte le prime file in platea.
Hancock è il consueto professionista, serio ed ilare al tempo stesso,
contento forse di diversificare i propri tour, ad un anno dal compimento dei settanta.
Dopo una breve Ouverture dall'opera "Le nozze di Figaro" di W.A.Mozart (1756-1791),
l'orchestra esegue il concerto del compositore inglese Ralph Vaughan Williams (1872-1958)
per due pianoforti in do maggiore, vario ritmicamente ed armonicamente, con momenti
delicati, di grande intensità sonora e in cui si respira, a tratti, un'atmosfera
arcana. I due pianisti intervengono, ora l'uno ora l'altro, ma anche suonando contemporaneamente.
Il pezzo è abbastanza lungo e conclude, in anticipo rispetto alla scaletta distribuita,
il primo tempo. Più ricco e con maggiore risalto al suono del piano il secondo,
che inizia con l'interpretazione da parte di Lang Lang della Polonaise "Eroica"
in la bemolle maggiore, opera 53 di Fryderyk Chopin. Opta per un metronomo velocissimo
che non permette ne' una riflessione sul brano, ne' di provare particolare emozione.
Più toccante l'esecuzione dei due pianisti sullo stesso strumento di "Ma mere
l'oye", scritta da Maurice Ravel (1875-1937) inizialmente per le quattro piccole
mani dei due figli dell'amico artista Cipa Godeski, in seguito sviluppatasi in musica
orchestrale per balletto. A questo punto la ribalta solistica passa ad
Hancock. Sarà l'unico momento improvvisativo della serata, un quarto
d'ora piacevole in cui riconosciamo, originalmente sviluppati, i temi di "Cantaloupe
Island" e "Maiden Voyage", due grandi successi del periodo Blue Note
degli anni '60. Si arriva così al gran finale,
la "Rapsodia in Blu" di George Gershwin (1898-1937) che, quasi inevitabilmente,
ci fa sempre ricordare la poetica pellicola "Manhattan" di Woody Allen.
Sostenuti da una sonorità nitida e cristallina da parte dell'orchestra
i due virtuosi eseguono degli scambi pianistici, scherzando anche con atteggiamenti
gigioneschi, come da sempre ci ha abituato
Hancock. Comunque, è una composizione ariosa, che ben si addice ad un
ampio spazio aperto come l'Arena. C'è tempo per un bis, di soli tre minuti, che
ci saremmo aspettati finalmente improvvisativo e che invece ripete più o meno similmente
il botta e risposta pianistico ascoltato nella parte centrale della Rapsodia. Il
pubblico applaude, ma non si spella le mani. E' stata una serata tranquilla ed il
tempo ha tenuto. E' mancata l'imprevedibilità, che incuriosisce e può creare un
legame forte tra chi esegue e chi ascolta.
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Data pubblicazione: 25/10/2009
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