Südtirol Jazz Festival Alto Adige 2016 "New Sounds – Fresh Perspectives" 24 giugno - 3 luglio 2016 di Vincenzo Fugaldi
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Il festival altoatesino prosegue nel suo lodevole intento di
coinvolgere l'intero territorio della Provincia, dedicando l'edizione principalmente
all'incontro fra musicisti della vicina Austria e musicisti italiani. L'intento
di presentare suoni nuovi e prospettive fresche era garantito dalla giovane età
della quasi totalità degli artisti in cartellone. La porzione di festival seguita
da chi scrive è iniziata con il concerto per solo trombone di Bertl Mütter,
nel salone del Palazzo Mercantile di Bolzano. Il trombonista austriaco è uno specialista
dei concerti in solo, e mostra di aver assimilato a fondo le tecniche multifoniche
sviluppate da Albert Mangelsdorff. A queste tecniche, difficili e sempre sorprendenti,
padroneggiate con totale sicurezza e con un suono terso, e a un sobrio utilizzo
della respirazione circolare, Mütter affianca un peculiare senso umoristico, un
uso della voce complementare al suono, e un mondo espressivo di matrice classico
ottocentesca. Musiche dei connazionali Bruckner e Schubert, e una parentesi ellingtoniana
(MoodIndigo, già nel repertorio di Mangelsdorff).
Random Control è il nome del trio del pianista
austriaco David Helbock, affiancato dai polistrumentisti Johannes Bär
(ottoni) e Andreas Broger (sassofoni, clarinetti, flauto). Il trio ha suonato
sul palco allestito nel giardino dell'Hotel Laurin, colorando di elettronica utilizzata
in modo estremamente interessante i suoni acustici di una miriade di strumenti per
una proposta stimolante e giocosa, nella quale le figure di riferimento erano quelle
del brasiliano Hermeto Pascoal e di Thelonious Monk (del quale, tra l'altro, va
menzionata una versione insolita di ‘Round Midnight). Episodi gustosi come
un corno alpino che – usandone solo una parte – riproduceva il bordone di un didjeridoo,
il pianismo dinamicissimo del leader, le ance espressive di Broger, tutto contribuiva
alla riuscita di un concerto solare, estroso e gradevole.
Nell'ambito del convegno "Culture meets economy", nella sede dell'Eurac, si è consumato
l'incontro inedito fra il flicorno del tedesco Ulrich Beckeroff, direttore
artistico della fiera annuale di Brema Jazzahead, il pianoforte di Glauco Venier
e il contrabbasso di Rosario Bonaccorso. Un viaggio fra composizioni di quest'ultimo
(tratte dal suo cd «Viaggiando») caratterizzate da una mediterranea cantabilità
e dall'uso della voce che il contrabbassista siciliano affianca al suono dello strumento,
e altre di Venier (reduce da una incisione per solo pianoforte per l'Ecm).
La Fiera di Bolzano ha ospitato la serata denominata "Jazz Labs", in uno spazio
appositamente allestito. Si trattava dell'incontro estemporaneo fra alcuni dei musicisti
invitati al festival, che si sono incrociati in formazioni inedite. La prima era
costituita da Francesco Cusa (batteria), Mirko Pedrotti (vibrafono),
Joe Rehmer (contrabbasso) e Giovanni Benvenuti (tenore), un quartetto
caratterizzato dalla forte personalità di Cusa, che ha indirizzato la musica su
tracciati stimolanti e creativi, con l'apporto di tutti i componenti. La seconda,
meno incisiva, dalla cantante tirolese Anna Widauer, dal tastierista tedesco
Benjamin Schäfer e dal sassofonista altoatesino Matteo Cuzzolin. La
terza, sorprendente, fra la chitarra di Francesco Diodati, il corno alpino
di Matthias Schriefl e la batteria di Max Andrzejewski, una sorta
di lucido delirio friselliano, ardente e sperimentale, incompiuto e bellissimo.
La quarta, il duo fra uno degli esponenti di punta del più avanzato jazz statunitense,
il trombettista Peter Evans, e il pianoforte del giovane Elias Stemeseder, un incontro
di elevatissima cerebralità, l'arte dell'improvvisazione esercitata ai massimi livelli.
Infine un quartetto con Dan Kinzelman al tenore, Mario Rom alla tromba,
Siegmar Brecker al clarinetto basso e Tobias Hoffman alla chitarra,
in una riuscita interazione progettata ed elaborata con estrema cura.
Una delle più suggestive proposte ospitate dal Passage del Museion è stata quella
del concerto antimeridiano con Francesco Diodati, Dan Kinzelman e
Elias Stemeseder. Atmosfere rarefatte e raccolte, composizioni originali
dei tre, una sognante delicatezza hanno segnato parte del concerto, alla quale si
contrapponevano momenti sperimentali sempre funzionali all'idea di fondo. Il fraseggio
nitido di Diodati, la voce potente del tenore di Kinzelman e il disinvolto pianismo
colto di Stemeseder arricchito dall'uso di una tastiera trovavano insieme coerenza
e coesione.
Al quarto piano del Museion, nel pomeriggio, tra le opere del giovane artista di
Bangkok Korakrit Arunanondchai, l'esibizione in solo di uno dei nomi di punta
del jazz più avanzato, il trombettista statunitense Peter Evans. Concentrazione
palpabile, tecnica prodigiosa, note lunghe, respirazione circolare, crescendo, emissione
di più note contemporaneamente grazie agli armonici, flussi continui, frasi velocissime
ripetute, raggiungimento del climax, calma espressa con note soffiate, delicate.
E ancora lo strumento utilizzato senza bocchino, con soffi forti, ritmici, percussivi,
poi momenti rabbiosi, rapidissimi fraseggi swinganti, idee sempre nuove, diversi
momenti ritmico-melodici. E infine l'uso altrettanto incisivo della pocket trumpet,
per un concerto che ha lasciato il segno nel pubblico presente.
Nella medesima serata, il Passage del Museion ha presentato un gruppo italiano,
gli Hobby Horse di Dan Kinzelman (Joe Rehmer-contrabbasso,
elettronica, voce; Stefano Tamborrino-batteria, voce), e a seguire gli austriaci
Edi Nulz (Siegmar Brecher-clarinetto basso, Julian Adam Pajsz-chitarra,
Valentin Schuster-batteria). Hobby Horse è un trio attivo già da alcuni anni,
con alcune registrazioni tra cui l'ultima, «Rocketdine», pubblicata dall'etichetta
Parco della Musica. Grande affiatamento, uso costante ed espressivo dell'elettronica
da parte di ciascun componente, utilizzo delle voci sono alcune delle caratteristiche
che determinano la particolarità e la forza del trio, in questo riuscitissimo concerto.
Il lavoro solistico grava sulle generose ance di Kinzelman, il sostegno armonico
sul plastico stile contrabbassistico di Rehmer, mentre Tamborrino intesse ritmi
creativi, mai scontati. Bella la versione di una nota canzone di Robert Wyatt,
Born Again Cretin. Edi Nulz invece è un trio diverso, privo di contrabbasso,
il cui ruolo viene sostenuto a tratti dal clarinetto basso e dalla chitarra. Anche
questo trio ha delle carte da giocare, grazie alla interazione fra Brecher e Pajsz
e al drumming sottile e incalzante di Schuster, e una cifra stilistica comunque
diversa, più sbilanciata sul versante rock. I trii si sono uniti per due brani alla
fine di ogni singolo concerto, con esiti interessanti.
L'incantevole giardino dell'Hotel Holzner sul Renon ha ospitato il concerto in solitudine
del pianista austriaco, appena ventiseienne, Elias Stemeseder. Stabilitosi
a New York, Stemeseder è oggi componente del trio di Jim Black. A Bolzano ha suonato
in vari contesti, ma sul Renon ha potuto mostrare compiutamente le sue qualità di
pianista. Improvvisatore colto, coniuga scrittura e improvvisazione con grande perizia,
e vanta un tocco di rara perfezione. Padroneggia diversi linguaggi jazzistici ed
eurocolti, e sembra alla ricerca di una sua personale soluzione alla difficile sfida
del piano solo, fra madrigali di Gesualdo e proprie composizioni.
Sulle sponde dell'incantevole laghetto di Fiè, sotto lo Sciliar, si è esibito il
batterista tedesco Max Andrzejewski insieme al proprio gruppo Hütte
(con Dan Kinzelman al posto del sassofonista titolare e Mario Rom),
e con il supporto di un coro gospel altoatesino, in un entusiasta esperimento di
interazione fra jazz combo e ensemble vocale.
Flower è un giovane trio austriaco che schiera Georg Vogel alle tastiere,
Raphael Preuschl al basso elettrico e Michael Prowaznik alla batteria.
Nel Passage del Museion la loro esibizione è risultata piuttosto monocorde, con
gli assolo delle tastiere eccessivamente dilatati.
Le Mosche Elettriche (Giovanni Falzone-tromba, Danilo Gallo-basso,
Valerio Scrignoli-chitarra, Riccardo Tosi-batteria) hanno dovuto spostare
il loro concerto, per ragioni atmosferiche, all'interno del Rifugio Feltuner Hütte
sul Renon. Ciò non ha per niente disturbato i quattro, che hanno fornito una prova
magistrale, un capolavoro di intensità, drive, espressività. Fra brani originali
del leader (il trascinante blues Tip Toe, lo splendido Dimensione oscura,
il bis Lifting) e composizioni di Rossini (un frammento dell'ouverture del
Barbiere di Siviglia e Canzone), Nirvana (Blew), Morricone
(una intensa, profondissima, coinvolgente Il clan dei siciliani interpretata
da Falzone con un pathos ineguagliabile, con una incredibile cadenza finale), la
band ha mostrato di essere tra le più travolgenti oggi in attività nel panorama
italiano, grazie alla spinta incredibile che il leader imprime ai brani, con i suoi
assolo caldi e incisivi e la voce usata per imprimere una ulteriore carica emotiva,
e grazie anche al lavoro degli altri musicisti, incisivi e totalmente partecipi.
Nella giornata finale, al Passo delle Erbe, sotto il Sass de Putia, un incontro
inedito fra il tastierista del gruppo Kompost 3, Benny Omerzell e
il batterista del gruppo Edi Nulz, Valentin Schuster. Incontro davvero
riuscito, complice la bellezza dei luoghi e l'ospitalità dei gestori del rifugio
Fornella. Una improvvisazione condotta su livelli di grande fruibilità, musiche
auliche e suggestive, dense di blues feeling, nella quale il ruolo di leader veniva
assunto con grande sicurezza da Omerzell. I due si sono poi uniti al gruppo Gingerland
(Siegmar Brecher-clarinetto basso, Angela Tröndle-voce, Sophie
Abraham-violoncello) per un gradevole lavoro collettivo sulla
forma canzone.