Nomos Jazz IX stagione Concertistica 2019/2020 Palermo, Teatro Jolly e Teatro Golden. Prima parte di Vincenzo Fugaldi
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La nona stagione di Nomos Jazz è iniziata all'insegna del groove,
con un duo chitarra-voce di grande presa: Charlie Hunter e Lucy Woodward.
Cinquantaduenne, statunitense, Hunter è uno specialista della chitarra a sette corde,
che suona da virtuoso producendo pressoché simultaneamente linee di basso, accordi
e melodie, costituendo una base solida per la partner artistica Lucy Woodward, inglese
di nascita ma naturalizzata statunitense, che mostra una voce soul, una carica ragguardevole
e una bella presenza scenica. Reduci dalla recente incisione dell'album «Music!
Music! Music!», i due ne hanno riproposto i brani. Spalleggiati efficacemente
dal batterista nero Derrek Phillips, hanno esordito all'insegna del blues
più schietto con Soul of a Man di Blind Willie Johnson. La tecnica sopraffina
di Hunter (la cui chitarra presenta i tasti non verticali ma obliqui) si basa su
un'accordatura a terze minori, che gli consente un suono pieno, perfettamente adatto
ad accompagnare i cantanti. Dal suo canto, la Woodward ha affrontato il repertorio
con estrema sicurezza e disinvoltura, convincendo in ogni brano, mostrando il giusto
feeling e un ottimo affiatamento, a volte spalleggiata dalla voce di Hunter che
cantava i suoi assolo all'unisono con la chitarra. Non solo blues, ma anche omaggi
a Nina Simone
(Don't Let Me Be Misunderstood, Be My Husband), impreziositi dal suono
orchestrale di Hunter. Il modello cui Hunter e Wodward si rifanno è quello vincente
del notissimo duo Tuck & Patty, che vanta una grande attività concertistica e numerose
testimonianze discografiche.
È seguito il gruppo "Emit" di Camilla Battaglia, con Michele
Tino al sax alto,
Andrea Lombardini
al basso elettrico e Bernardo Guerra alla batteria. La giovane musicista,
figlia d'arte, ha all'attivo due incisioni abbastanza recenti per l'etichetta salentina
Dodicilune, «Tomorrow-2more Rows of Tomorrows», e «EMIT: RotatoR TeneT».
Le musiche eseguite nel concerto palermitano appartenevano a quest'ultimo album.
La Battaglia, che fa uso di una loop station per duplicare la voce e suona
anche le tastiere, propone un mondo musicale onirico di composizioni originali,
nel quale i suoi vocalizzi e i recitativi si mescolano al sax alto in intrecci sofisticati
e meditativi, lontani dalla tradizione del jazz, e piuttosto legati ad astrattismi
di matrice nord europea. Le atmosfere si vivacizzavano quando tutto il gruppo entrava
in azione, sia a supporto della voce che in sua assenza, producendosi in scansioni
ritmiche di buon impatto che davano efficace sostegno all'incisivo fraseggio del
sassofonista. Un concerto di non agevole ascolto, nel quale è prevalsa la ricerca
musicale, a tratti a discapito dei risultati in termini di fruibilità. A chiusura,
la Battaglia ha chiamato sul palco il trombettista siciliano Alessandro Presti,
per l'ultimo brano in scaletta.
Ha chiuso il 2019
il trio del pianista statunitense Kevin Harris, con Ameen Saleem e
Greg Hutchinson. Attivo tra Boston e New York, non notissimo in Italia pur
avendo suonato a Milano e a Umbria Jazz, Harris è un musicista di grande qualità,
anche ottimo docente, che spazia dalla tradizione, specie quella monkiana, che omaggia
esplicitamente, a propri brani di ottimo spessore compositivo, mostrando una freschezza
esecutiva che trovava nel contrabbasso di Saleem e nella batteria di Hutchinson
due validissimi sostegni che davano al trio quel tanto in più che ha reso il concerto
davvero entusiasmante. Il batterista è uno tra i più richiesti al mondo, per il
suo stile elastico e ricco di swing che si adatta a svariati contesti, e Saleem,
noto anche per aver a lungo fatto parte del quintetto del compianto Roy Hargrove,
ha molte frecce al suo arco e durante il concerto palermitano ne ha dato ampia prova,
sia in accompagnamento che in assolo. Un trio dunque in cui la musica respirava,
cogliendo le vibrazioni positive provenienti dalla sala stracolma, e restituendole
in termini di un evidente piacere di suonare, che trovava nei brani di Monk e in
alcuni classici del bebop come la parkeriana Ko-Ko i luoghi ideali per esplicarsi,
ma anche nelle composizioni di Harris, tra cui quella dedicata alla moglie Lullaby
for Yellowbird, tutta affidata al suono pieno del contrabbasso, e la lirica
The Potential To Be. Bis sulle intramontabili note di ‘Round Midnight,
per solo pianoforte.
Il quartetto dei Marangolo Brothers Groove Agency (Antonio e
Agostino Marangolo, con Luca
Begonia e Aldo Mella) ha presentato il recente disco «Live! In Jaci&Jazz
Acireale Jazz Festival», registrato durante l'omonimo festival siciliano di
cui Antonio è il direttore artistico. Notissimi per le prestigiose collaborazioni
in ambito cantautoriale (Antonio con Guccini e Conte, Agostino con Pino Daniele,
solo per citarne alcune), i Marangolo sono jazzisti di grande valore, e lo hanno
ampiamente dimostrato nella serata palermitana. Sin dalle prime note del concerto,
introdotte dal corposissimo swing della batteria, ci si è resi conto di stare ascoltando
uno dei più significativi e dinamici quartetti del jazz italiano, che ha eseguito
un repertorio tutto di composizioni originali (spesso dai titoli divertentissimi
e strampalati) di notevole qualità, fresche e coinvolgenti, in cui la vivace ritmica,
in seno alla quale il bassista Mella (autore di un recente interessante doppio cd,
"Udito") ha confermato le sue eccelse qualità, ha sostenuto, con l'apporto
del pianoforte suonato da Antonio Marangolo oltre al sax tenore, i temi e
gli assolo di composizioni in cui l'improvvisazione era sostenuta da una scrittura
densa e sapida, consentendo al trombone dal timbro pulitissimo di Begonia e al navigato
sax di poter raccontare al meglio le loro storie. Ma notevoli sono stati anche gli
assolo che Mella si è ritagliato al basso a sei corde, anche con l'utilizzo del
distorsore, che lo assimilava a una chitarra. Una caratteristica dei concerti dei
Marangolo è la consuetudine, molto gradevole e apprezzata dal pubblico, di comunicare
tra un brano e l'altro, riportando divertentissimi aneddoti della loro lunga e vasta
esperienza artistica. Tra i brani eseguiti, particolarmente suggestivo Notturno
Peloritano, dai toni nostalgici e rievocativi.
La giovanissima cantante e trombonista spagnola Rita Payes, in quartetto
con la madre Elisabeth Roma alla chitarra classica, Magalí Datzira
al contrabbasso e Juan Berbin alla batteria, si è esibita in un repertorio
costituito principalmente da canzoni brasiliane, da Chico Buarque, a Villa Lobos,
Joao Gilberto, ma anche da canti sefarditi e brani originali. Sostenuta da una chitarra
particolarmente efficace, l'esile voce della Payes, ancora artisticamente in crescita,
trovava momenti più definiti negli spazi dedicati al trombone, mentre la ritmica
contribuiva efficacemente all'esito del concerto.
In una insolita veste solitaria,
John Scofield,
uno dei maestri indiscussi della chitarra jazz sin dagli anni Settanta del Novecento,
ha posizionato la sua sedia, un microfono e l'amplificatore al centro dell'ampio
palco del Teatro Golden per un evento, nonostante le dimensioni della scena, raccolto
e colloquiale, una sorta di omaggio ai tanti appassionati accorsi ad ascoltarlo.
Senza trascurare il repertorio jazzistico, il recital era comunque filtrato attraverso
la sensibilità e il fraseggio del musicista, che ha anche fatto un sobrio uso di
una loop station per creare delle basi ritmiche o delle atmosfere su cui
condurre le improvvisazioni, sempre colme di blues feeling e del suo peculiare groove.
Un repertorio che spaziava da I Will a The Creator Has a Master Plan,
da The Day of Wine and Roses, a Bartender Blues di James Taylor, a
Roll Over Beethoven, a Ida Lupino di
Carla Bley,
ad alcuni brani di Thelonious Monk, con Scofield che volte anticipava i testi recitandoli,
e presentandoli con evidente compiacimento.
Un concerto giocato in casa per il giovane trombettista di Bagheria Giacomo
Tantillo, accompagnato da Andrea Rea al pianoforte, Giovanni Villafranca
al contrabbasso e Paolo Vicari alla batteria. Astro nascente del jazz italiano,
classificatosi tra i nuovi talenti del Top Jazz del 2019, e recente vincitore del
Bando "Nuova Generazione Jazz" sostenuto dal MIBAC, da I-Jazz e dalla SIAE che gli
ha permesso di esibirsi nei più importanti festival in Italia e all'estero, Tantillo
ha ripercorso le musiche del suo ottimo cd «Water Trumpet». Un hardbop chiaro,
diretto, traboccante di swing, e un concerto che ha giustamente entusiasmato il
pubblico palermitano, che ha potuto apprezzare il fraseggio del trombettista che
si ispira al mai dimenticato Woody Shaw, padroneggiando con disinvoltura sia i brani
mossi che le ballad. Oltre a sue gradevoli composizioni, Tantillo ha anche esplicitamente
omaggiato Shaw con un paio di composizioni di questi, dall'inconfondibile drive.
Buoni anche gli accompagnatori, in particolare il pianista, che ha ritagliato
per sé anche efficaci spazi solistici. Bis sulle note dell'ellingtoniana Caravan.
La prima parte della rassegna si è chiusa con uno splendido concerto del quartetto
norvegese capitanato dal chitarrista Eivind Aarset, noto per le sue collaborazioni
con i conterranei Jan Bang,
Arve Henriksen
e Nils Petter Molvaer,
protagonista di una recente ottima incisione Ecm insieme ai nostri Michele Rabbia
e Gianluca Petrella(«Lost River»). Discograficamente prolifico, sia a proprio nome che in collaborazione
con altri, a Palermo Aarset era insieme ai componenti del suo quartetto, il bassista
Audun Erlien, il multistrumentista Wetle Holte e il batterista-percussionista
Erland Dahlen. Una musica dai riferimenti principalmente extrajazzistici,
che attingeva dal rock psichedelico, con forti richiami al progressive e
ai Pink Floyd più sperimentali, trascorrendo da atmosfere tipicamente nordiche a
momenti spiccatamente ritmici. Brani costruiti con cura certosina da una formazione
insolita ed estremamente creativa, coesa, perfettamente amalgamata. Mirabile l'intesa
tra gli agguerriti Holte, che si divideva tra batteria, percussioni, tastiere, persino
una pedal steel guitar, e Dahlen, concentrato sul suo variegato set di batteria
e percussioni. Composizioni originali complesse e articolate, eseguite con naturalezza
e tecnica adamantina. Di Aarset come chitarrista non si può che dire bene, attento
alle dinamiche, tecnicamente ferratissimo, semplicemente perfetto. Un concerto memorabile.