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Sebastian Coleman Gallery (Antonio Marangolo)
Volar Por Las Ventanas
Fortuna Ottanta Studio Records (2012)
1. Ahorangos
2. Volar Por Las Ventanas
3. Mambo Royale
4. Melanconia De Tragao
5. Che Meraviglia
6. Requiem Per Papucci
7. Fingers Cha Cha Cha
8. Protomilonga
9. Granfinal
Antonio Marangolo - sax baritono,
sax tenore
Roberto Manuzzi
- sax contralto
Roberto Bertoli - contrabbasso
Flavio Piscopo - batteria
in Protomilonga Stefano Solani contrabbasso sostituisce Roberto
Bertoli
Mi sono seduto accanto a lui e ho attaccato discorso: "Lei è
Ornette
Coleman vero?" -"Sì" ha risposto impacciato e al tempo stesso turbato per
essere stato riconosciuto. - "Permette… mi chiamo John Back…sono un musicista classico."
- "Ho poca preparazione e molto del lavoro che faccio è basato su intuizioni…questo
mi fa soffrire". "Perché mai? Ciò che conta è il risultato e non come ci si arriva,
la sua musica è molto interessante così come è"
da Antonio Marangolo, Il saxofono ben temperato, 2011, Roma-Acireale (A&B editrice)
(Libro con cd allegato)
Antonio Marangolo recupera qui un idea risalente al 2004 e, dopo JazzBack
del 2005, porta nuovamente in sala d'incisione la stessa formazione regalandoci
così la testimonianza durevole di uno dei progetti più freschi e strabilianti della
sua lunga e gloriosa carriera; rimaniamo in ottimistica attesa delle registrazioni
dei sorprendenti, e precedenti, Quartetto e Ottetto orizzontale.
Album scritto per intero o quasi da Marangolo - fanno eccezione rare e brevi sortite
solistiche dei due fiati -, ma titolato collettivamente.
Musica voluta e ampiamente rodata, i concerti che hanno seguito l'uscita del primo
disco (2005) avevano in repertorio questi brani scritti tra il 2005 e il 2008; musica
forse non sufficientemente tenuta in considerazione dallo stesso Marangolo.
Il frammento in apertura, tratto da un gustoso (a tratti irresistibile) racconto
del Marangolo scrittore, inventa un antecedente ideale alla formazione e ne chiarisce
la bella denominazione; non chiarisce invece, se non marginalmente, il contenuto
musicale.
Se nel racconto l'incontro dialettico Bach- Coleman appare esposto rigidamente ed
in modo un poco stereotipato, qui non troviamo traccia di rigidità alcuna, nessuno
stereotipo e si troverà spiazzato chi s'attenda un'improbabile tentativo di fusione
tra procedimenti compositivi bachiani e l'armolodia radicata nel blues che caratterizza
la musica del sassofonista di Fort Worth. L'elemento di incontro e connessione è
qui invece il ritmo di danza: i passi della gavotte, della giga e della sarabanda
vengono qui abilmente sostituiti con i ritmi afro-sud-americani; la sostituzione
è frutto di un'intuizione fulminante, seguente l'ascolto dell'interpretazione shorteriana
della Bachiana Brasileira n. 5 (nell'album Alegria).
Il Marangolo compositore intravvede in quel brano la possibilità di fondere insieme
procedimenti compositivi genericamente bachiani, qui principalmente l'invenzione
a tre voci, con i ritmi latini del tango, del mambo, della milonga e del cha-cha-cha
invece del più consueto 4/4 di matrice jazzistica. Altra particolarità, rispetto
a diversi antecedenti è che qui Bach è preso quale iconico ideatore di un metodo
compositivo, ma i brani sono tutti originali e rappresentano una minima parte di
quelli - un centinaio circa, molti dei quali andati persi - composti tra il
2005 e il 2008,
a partire da questo spunto.
La scelta della formazione è quanto mai congeniale e rimanda, in modo affatto
obliquo, al pianoless quartet di Gerry Mulligan: qui altra, e quanto mai personale
è la vena melodica, altro il sostrato armonico e ritmico, altro l'equilibrio tra
gli strumenti; così il contrabbasso di Roberto Bertoli, suonato spesso con l'archetto,
diventa la terza voce, a Flavio Piscopo spetta invece il delicato compito
di restituire la grande varietà ritmica, dinamica e timbrica che questa idea di
musica porta con sé. Piscopo appare defilato e compassato quando, come in Ahorangos,
impiega il caon (che ricorda un rullante suonato con le spazzole), campanelli e
piccoli piatti a punteggiare le linee melodiche, La percussione è pressoché assente
nel successivo struggente e malinconico Volar (dedicato alla memoria di Mario
Monicelli) limitandosi a punteggiare il fluire della musica con radi suoni del triangolo
o delle bacchette sul bordo del rullante. Il tema scampanante e struggente è esposto
dal pianoforte su una linea esile di basso, solo più tardi entrano in successione
il contralto e poi il baritono in un urlo lancinante; un raccolto e commosso interludio
a tre voci "a cappella" ci conduce alla riesposizione pianistica del tema. Altrove
l'uso delle congas e di sapienti e discrete sovraincisioni struttura e caratterizza,
anche timbricamente, la musica, la varietà di ruoli, colori e funzioni che Marangolo
attribuisce qui al sostegno ritmico, indice sicuro della sapienza di scrittura e
organizzazione del materiale musicale del musicista siciliano.
L'approccio strumentale del contrabbasso di Roberto Bertoli e del contralto del
bravissimo
Roberto Manuzzi, è più vicino a quello di Debussy e Poulenc che non
a quello jazzistico, l'uso di un timbro neutro con la totale assenza di vibrato
e di personalizzazioni, l'attenzione alla pagina scritta e alle minime variazioni
dinamiche rendono indispensabile la sua presenza.
Un piccolo gioiello è poi il malinconico, sommesso e commosso Reqiem Per Papucci,
dirge, scritto da cima a fondo secondo la tecnica dell'invenzione a tre voci,
che qui rifulge; la presenza, seppur defilata, della percussione appare del tutto
superflua.
Ci troviamo qui di fronte ad una musica di rara freschezza, fragranza, coerenza,
varietà, originalità e vitalità; musica che ci entusiasma subito, riservando tuttavia
piccole e grandi sorprese ad ogni ascolto successivo.
Andrea Gaggero per Jazzitalia
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Data pubblicazione: 02/09/2012
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