Nel suo fondamentale saggio L'Intervallo perduto (pubblicato nel
1976 e recentemente ristampato dalla casa editrice
Skira) il filosofo e critico d'arte Gillo Dorfles dice queste parole geniali
e profetiche sul "rumore massmediatico" che ci circonda:
"(…) L' horror vacui dovrebbe
essere sostituito dall' horror pleni. Sarebbe giusto che si andasse a caccia
d'uno spazio vuoto da non riempire; d'un intervallo tra due suoni;
di uno spiazzo tra le orride villette che infestano le nostre coste; d'una pagina
candida in un libro stampato; d'un' ora libera da rumori e da suoni. Malauguratamente
solo pochissimi intendono questa fisiologica necessità del vuoto e della pausa.
La maggior parte degli uomini è ancora profondamente ancorata all' errore del pieno
e non all' orrore dello stesso. (…) Il discorso vale tanto per le arti figurative
come per il teatro, per l'architettura come per la musica. Lo stesso avvento di
media tecnologici, in parte o anche decisamente utilizzati a un fine estetico (come
la Tv, la foto, il cinema), ha provocato in tutti noi una iperdisponibilità all'
ascolto, alla ricezione di tali messaggi. E questo ha portato a una necessaria degradazione,
non solo di questi, ma anche di quei messaggi artistici un tempo privilegiati.
Il caso della musica è certo il più evidente e il più istruttivo in questo
senso".
Questi concetti spiegano con grande chiarezza la condizione di noi uomini moderni
"anestetizzati" di fronte all'opera d'arte a causa del continuo bombardamento cui
siamo sottoposti di segnali, di informazioni, di suoni, di rumori e del loro sovrapporsi;
allo stesso tempo questi concetti applicati alla musica descrivono bene quell'ansia
di "dire più cose possibili" anziché "dire cose sensate" che affligge molti musicisti,
talvolta anche quelli più quotati, e qui ci si potrebbe soffermare a ragionare (ma
non è la sede per farlo) su quanto questa nostra civiltà dell'informazione ci stia
rendendo sordi al significato stesso della musica.
Il concetto di PAUSA come "intervallo, respiro" tra le note e le frasi è molto
disatteso, e infatti troppo spesso il "quanto" sostituisce il "cosa". Sembra quasi
che Dorfles abbia in mente Miles Davis mentre spiega il suo concetto di "intervallo
e spazio" tra le note, e il paragrafo sopra riportato potrebbe essere una efficace
descrizione del modo di Davis di concepire e costruire le sue frasi musicali con
il suo DIRE TOGLIENDO anziché DIRE AGGIUNGENDO.
Così come la facciata di una cattedrale richiede una piazza antistante di dimensioni
adeguate per essere goduta, allo stesso modo una frase virtuosistica e densa di
note velocissime risulterà più efficace ed emozionante se "incorniciata", cioè se
gli si crea attorno uno spazio adeguato, magari con delle pause inserite nel flusso
delle note in modo talvolta inaspettato (Davis) o con dei respiri ogni due - quattro
battute (Parker) e meglio ancora se tali frasi virtuosistiche le suoniamo dopo una
serie di frasi PIU' LENTE.
Al contrario, un ininterrotto flusso di note molto prolungato nel tempo rischia
più facilmente di risultare ripetitivo e noioso anche se eseguito magistralmente;
10 chorus o più a testa di assolo eseguiti a tutta velocità senza una sola pausa
sono in grado di fiaccare la resistenza dell'ascoltatore più incallito di una normale
jam-session, eppure spesso dette jam diventano una gara a chi "suona di più"… il
brano così diventa di lunghezza infinita causando la rarefazione del pubblico e
il contestuale aumento degli avventori al bar, specie durante l'assolo finale del
basso o della batteria (l'assolo di basso di solito, dopo una tale maratona è molto
apprezzato principalmente dai baristi, che ne approfittano per prendere le ordinazioni…
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Data pubblicazione: 14/04/2013
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