(Testo tratto dal mio libro "Supreme Kind of Brew")
Ci sono pezzi di musica che sembrano magici, e che fortunatamente
sono stati impressi nella memoria incantata di un nastro magnetico successivamente
convertita in quella ancor più proteggente e prodigiosa ossia quella digitale. Così
non dobbiamo affidarci a trascrizioni e pertanto a riproduzioni che sarebbero (bene
che vada) solo scolorite copie che ci darebbero solo qualche indizio di quello che
era davvero quel magico pezzo di musica.
Ci sono pezzi di musica che sembrano magici, lo sentiamo; ma il perché è di solito
occulto.
Ebbene, aprendo ancora lo scrigno di Kind Of Blue, troviamo un altro brano
emblema: Blue In Green. É noto che questo brano seppur attribuito solo a
Davis, è da considerare anche (e forse soprattutto) esito del lavoro di composizione
di Bill Evans.
É un frammento musicale speciale: morbido ed elusivo,
denso di liricità ma non quella a buon mercato pregna di contorcimenti romantici
frutto di teatrali interpretazioni volte a suscitare più che (eventualmente) a esprimere
le proprie intime sensazioni ed emozioni.
In Blue In Green c'è una sorta di nobile ritegno, di elegante ma profonda
volontà di esplorare se stessi e nulla di più. Per dirla con una metafora, qui non
hanno aperto le finestre e urlato al mondo i propri sentimenti, comunicando unilateralmente,
perché quando si urla, si costringono altri, fuori, ad ascoltare. Qui, hanno schiuso
la porta e se si vuole (prestando attenzione), si entra in punta di piedi dentro
quella stanza priva di angoli, in una penombra appena illuminata da poche luci colorate
e scure, ovattata e come sospesa nel tempo. E appena dopo essere entrati, è come
se tutto girasse, lentissimamente, in una sorta di caleidoscopio che pure fa sfumare
colori, sensazioni e umori uno dentro l'altro sovrapponendoli e pertanto ormai resi
appena riconoscibili dai nostri sensi e quindi indefinibili, che quasi ci ipnotizzano.
Quella stanza è come un micro mondo conchiuso in se stesso, una bolla tenuemente
colorata di melanconica nostalgia, di solitudine che sembra emanata da una rigorosa
ma dolorosa scelta di rassegnazione esistenziale.
Tecnicamente è un brano all'apparenza semplice soprattutto per quanto concerne la
forma: una ballata molto lenta composta di pochissime note e racchiusa in 10 battute,
senza lungaggini date da ripetizioni o sottosezioni che determinano le classiche
ridondanze tipiche delle canzoni pure jazzistiche di strofa e ritornello (anche
dette semplicemente A e B). Ma questa non è certo una novità: tutti i blues sono
così (e anche Solar, brano di Davis del'54 che può essere appunto considerato una
via di mezzo tra un blues e una canzone circolare perché è composto di 12 battute
senza intro e coda e con delle classiche cadenze modulanti).
Allora qual è il segreto di Blue In Green?
Blue In Green è un brano estremamente circolare e quindi privo di angoli di
qualsivoglia natura, e questo è conseguenza di molti fattori: la forma strutturale
appunto prevede delle sezioni a specchio. Si evolve con intro, tema, assoli, tema,
coda, quindi è come arrivare agli assoli e tornare indietro, un palindromo (ancora
niente di singolare). Ma anche all'interno della sezione assoli abbiamo una sequenza
di simmetria a specchio: tromba, piano, sax, piano, tromba, e se aggiungiamo che
il brano inizia e finisce dal piano, l'intera successione diventa piano, tromba/tromba,
piano, sax, piano, tromba/tromba, piano. Il palindromo comincia a essere ragguardevole.
Dunque la circolarità del brano non è data semplicemente da ciclicità e dal livellato
contenitore formale di 10 battute, ma da geometriche simmetrie fornite da assegnate
serie di sezioni strutturali concretate dagli strumentisti interpreti di ruoli e
pertanto con pure stabilite successioni di peculiari articolazioni e timbriche.
Per di più l'armonia pur basandosi sulle abusate formule cadenzali lo fa in modi
e tempi particolari. Infatti, la serie armonica è congegnata per ottenere un'allusiva
forza centrifuga che tende a un volubile tono principale (Dm) sempre e subito messo
in discussione da fini slittamenti gerarchici verso altre toniche parenti. Ci sono
ben quattro centri tonali armonici che si rincorrono per cinque volte in pochissime
battute: SOLmin, REmin, SIb, REmin, LAmin, tutti affini e con il SIb, l'unico maggiore,
in mezzo come a voler dividere simmetricamente le modulazioni. Quindi gli accordi
sono lì che abitano in una specie di limbo dato anche da connessioni gerarchiche
sempre instabili. Inoltre se esaminiamo la sequenza oggettiva della successione
delle fondamentali degli accordi, si deduce che si muovono tutte con spaziature
di tono e quarte (o quinte), mai di terze e di semitoni: questo dona un ulteriore
senso di sospensione e neutralità, e non di slancio/stasi e tensione/risoluzione,
fatto salvo il passaggio SIb-LA (semitono) che (guarda caso) sta a metà del brano
come a dividerlo specularmente.
La melodia non è mai ripetuta uguale, appena somigliante con se stessa e sempre
mutevole; mai giace pesantemente sulle fondamentali degli accordi; sembra un assolo
e l'assolo sembra una melodia. Per queste peculiarità sembra possa procedere in
un flusso indeterminato e indeterminabile di spazio e di tempo, ed è declamata dalla
tromba con la sordina pertanto fucina di metallici suoni che, come pugnalate, si
conficcano nel cervello prima che nel cuore.
Da rilevare comunque una continuità sonica: tutti i solisti non toccano mai dei
rispettivi strumenti registri di basse frequenze brontolanti e gorgoglianti, ma
suonano frequenze medie e medio-alte che sono più precise e mondate da velature
e sporcature di armonici: sono suoni più lisci e puri, meno terragni, più aerei.
La batteria è esclusivamente suonata con le spazzole sul rullante: il suono è quindi
continuo, frusciante, e medioso come un respiro; il contrabbasso è l'unico strumento
che pulsa e profila le note nel registro medio-basso. Nel suono non sono presenti
riverberazioni di sorta accrescenti artificiali sonorità echeggianti, ma tutto è
asciutto, netto, reale; solo il pianoforte dona un po' di profondità e coda sonora
poiché ripreso a distanza (Evans usa pure i pedali).
Blue In Green è speciale soprattutto nella strutturazione metrica della scansione
temporale; la forma del tempo che scorre è alterata. C'è una sotterranea sensazione
come di scivolamento.
In effetti il valore temporale delle cellule metriche (le battute) varia: se abbiamo
il valore di 4/4 nella mensurale griglia-spartito eventualmente un (solo) accordo
dentro una battuta vale 4/4 (con conseguente specifica durata temporale assoluta
del succedersi degli accordi e quindi la velocità "armonica").
Dunque, per l'intro il valore è dimezzato (2/4), che dura 16/4
cioè 8 battute (sono eliminate le prime due dello schema di dieci), poi ritorna
4/4 per l'entrata di Miles (rallentamento), poi 2/4 per l'assolo di Evans e di Coltrane
(accelerazione), poi addirittura di 1/4 quando ritorna l'assolo di Evans, per poi
quadruplicare (4/4) per il ritorno di Miles, pertanto l'effetto è di quadruplicato
rallentamento del succedersi delle armonie. L'esito di questa procedura è raffinatissimo
perché queste accelerazioni e decelerazioni del susseguirsi delle armonie con pure
il contrabbasso (che segue il piano) non sono la conseguenza di banali variazioni
della velocità della scansione metronomica che dà l'unità di tempo, che rimane la
stessa (circa 55 bpm per semiminima) ed è esplicitata dalla batteria, ma del valore
assegnato alla griglia di controllo armonica. Va pure considerato che di fatto la
sensazione di accelerazione l'abbiamo soprattutto per il secondo assolo di Evans
quando si assume il valore di 1/4, poiché fino ad allora gli accordi di piano (delle
armonie previste in spartito) sono sempre suonati ogni DUE pulsazioni dell'unità
di tempo e incalzato pertanto confermato dal periodare decisivo del contrabbasso
che quindi uniforma la percezione temporale.
Ma nella coda Evans (rimasto da solo) fa perfino scivolare il tempo del valore degli
accordi in modo ancor più eccentrico: suona tutto da capo ma le prime 4 battute
sono di 2/4 e le rimanenti 6 di 1/4, ripete per due volte intere per poi iniziare
di nuovo ma in tempo rubato e terminare sul battere della terza battuta, andando
a recuperare le due omesse all'inizio e chiudere il "cerchio". (Nelle trascrizioni
più diffuse e accreditate del brano l'intro non è preso in considerazione come pure
tutte le variazioni dei valori temporali, la coda invece sì, ma come un banalissimo
turnaround, di 4 accordi per qualcuno, di 3 ritornellati per qualcun altro!)
La fase degli assoli inizia appena dopo una sola esposizione del tema da parte di
Davis e quindi di un chorus comprendente la sequenza dei 10 accordi; e il trombettista
(come già accennato) affronta il secondo chorus a 1'01''con lo stesso contegno espressivo
e costitutivo del chorus del tema, pertanto il suo intervento in sostanza ricalca
alcuni segni del tema, conducendo il suo suonato su terreni di falsipiani, con piccole
ma importanti variazioni di tracciato, senza scossoni, cambi di marcia e impennamenti.
Ad esempio inizia il solo parafrasando la melodia del tema presente nelle prime
due misure, innalzando la nota di partenza di una quarta giusta (invece del MI il
LA) per poi proseguire, mantenendo sia l'arco melodico discendente sia la
ritmica del tema, ma invece di collegare le note a gradi congiunti le collega
per terze espandendo così gli intervalli (originale MIiiiii-RE-DO, assolo
LAaa-FA-RE).
Oltre a ciò la nota LA dura meno relativamente alla griglia della sequenza armonica
predisposta (SOLmin7 / LA7#5) per accogliere quell'incipit, e le due note susseguenti
(FA-RE) pertanto giungono prima rispetto al tema, conseguendo pure una specie di
contrazione, infatti, la successiva frase di Miles che adotta una procedura simile,
si colloca diversamente rispetto alla stabilita griglia armonica, LA-LA-LA-SOL-FA#-RE,
che diventa DO-DO-DO-SI-FA-DO-SI-LA: il segmento del tema è distribuito
sulla terza e quarta misura mentre quello dell'assolo sulla seconda e terza, per
poi recuperare appunto il "tempo perduto" suonando la stessa frase del tema però
velocizzandola (LA-SOL-FA-RE).
Da notare che il FA nell'assolo è naturale e non diesis come nel tema, perché l'accordo
sottostante nell'assolo è REmin7 quindi contenente il FA: Miles abbassa l'altezza
di un semitono per non attuare la fortissima dissonanza che si sarebbe altrimenti
prodotta.
Questo è un "gesto tecnico" di grande significanza, poiché dimostra il suo
assoluto controllo del fluire musicale melodico-armonico-ritmico.
Siamo arrivati a circa metà assolo e Davis si è riallineato con lo scorrere della
griglia armonica: il suo intervento melodico compie un'altra delle sue fantasiose
parafrasi, partendo e arrivando con le stesse note del tema ma riducendone il numero
da 10 a 3.
Fa così: sul finire della quinta misura del tema a 38'' Miles suona un MI che tiene
per circa un secondo, e poi discende di due note (RE-DO#), prendendo come una rincorsa
per risalire (RE-MI-FA-SOL-LA-SI) fino alla conclusiva nota DO; invece nell'assolo
a 1'22'' suona soltanto una fulminea triade ascendente MI-FA-DO!
Tutte queste ultra-finezze di solito non sono prese in considerazione e non solo
dai normali ascoltatori appassionati ma anche purtroppo dai musicisti stessi e dagli
esperti critici e musicologi: magari percepiscono qualcosa di diverso e di importante
che differenzia questo artista dalla moltitudine di musicisti pure bravissimi; per
poi chiedersi come mai e/o darsi spiegazioni poetiche un po' fantasiose fondate
su immaginarie e un po' casuali eventualità causali…
Miles prosegue per oltre tre misure a parafrasare il tema, ma in maniera ben più
ortodossa, con note ornamentali ecc., tuttavia per la chiusura del solo nell'ultima
mezza misura a 1'43'' inventa una frase melodica che ha in assoluto una forte valenza,
sta in "piedi" da sola: la sequenza di note MI-SOL-MI-FA-SIb, pur avendo pochissime
note, contiene un insito slancio ascendente/discendente (MI-SOL-MI) immediatamente
risolto (FA), per poi terminare in modo sospeso discendendo di quinta giusta sul
SIb.
Questa micro-melodia è ancor più suggestiva, considerando pure la peculiare scelta
ritmica di Miles, la sonorità fornita dalla sua tromba sordinata, e che questa frasetta
è incastonata negli accordi REmin7 e SOLmin7: così l'impronta di slancio e sospensione
è ancor più marcata, poiché queste cinque note segnano sia le estensioni dell'accordo
sottostante (la nona e l'undicesima del Remin7) sia il costituente più dinamico
ossia le decime (terze) dei due accordi (prima il FA del REmin7 e poi il SIb terminale
che plana sul SOLmin7).
Il solo di Evans, come già detto, prevede il dimezzamento del valore degli accordi
della progressione armonica, e il pianista ne approfitta per innescare un brillante
motivetto melodico con variazione, iniziando con una triade di FA maggiore FA-LA-DO
(1'47''), e spingerlo fino al MI e subito discendere tramite il RE fino al LA.
Poi inizia a 1'54'' una frasetta ostinata con la nota più alta fissa DO e la bassa
che cambia salendo cromaticamente da RE: perciò inizia con una specie di arpeggio
spezzato ascendente-discendente di REmin7, sostituendo quando ascende il RE con
il RE# e poi con il MI, stabilendo la nuova sequenza che ripete ancora una volta
per terminare, MI-FA-DO poi discende LA-FA-MI e risale FA-DO e scende ma cambiando
con il SOL.
Da sottolineare che il ritmo della frasetta-ostinata è schematico perciò importante:
ogni volta le note più basse e le note più alte che danno la cornice perimetrale
delle frequenze, sono anticipate da note "interne" che durano nettamente di meno,
donando così la percezione sempre di appoggio su quelle estreme.
Questa idea ci dimostra come si possa essere melodici anche su terreni armonicamente
infìdi, cosa da non da poco giacché è più raro di quanto comunemente (e non) si
creda possedere la capacità di essere melodici: spesso le progressioni armoniche
(di solito quelle diatoniche tonali) confondono moltissimo la percezione delle sequenze
delle note singole, ammantandole di qualità melodiche che spesso non hanno, anche
con la complicità del cosiddetto lirismo*.
Altro passaggio importante di Evans è il finale prima di passare il testimone a
Coltrane: si tratta di una specie di super-arpeggio che principia
da una matrice di RE minore (modalità d'impianto del brano) esplicitata con l'intervallo
di terza minore RE-FA; poi sempre ascendendo, inanella una serie intervallare
di quinta + quarta + terzamagg.+ terzamin., poi torna indietro perciò
terzamin. + secondamagg. + secondamagg. + quarta + quarta + (salendo)
terzamagg. e scende ancora di seconda magg. + quarta. (Le
note sono RE-FA-DO-FA-LA-DO-LA-SOL-FA-DO-SOL-SI-LA-MI; quelle in corsivo
sono discendenti, da rilevare pure che sono tutte note da tasti bianchi del pianoforte
cioè non alterate.)
Quello che è notevolissimo è che in questo passaggio di circa dieci secondi (da
2'16'' a 2'26'') il pianista sembra si muova appunto in un nuovo e diverso spazio
musicale riorganizzandolo tramite vettori intervallari, che gli consentono
un reticolo di connessioni melodiche inusitate poiché non più legate dagli ortodossi
legacci scalari.
La cosa è ancor più notevole giacché il jazz dagli anni ‘30/'40 soprattutto tramite
la grande lezione dei bopper (con in testa Parker e Gillespie), aveva assunto una
grammatica e sintassi melodica molto cromatica, ossia con un considerevole uso di
appoggi semitonali tra le note (intervallo di seconda minore).
Dunque Evans solca liberamente la superficie sonora muovendosi su questi tracciati
melodici basati sulla relativa e pura distanza tra le note e non con transizioni
mediante moti scalari graduali, progressivi e assai vincolanti e prevedibili di
seconde maggiori e minori, che sono gli algoritmi scalari più diffusi
in assoluto.
Plausibilmente Evans si aiuta con qualche forma di pensiero melodico di arpeggi
accordali di riferimento. D'altra parte rinunciare (pure parzialmente) alle scale
è rinunciare a una fluidità insita dello scorrere delle note in quell'alveo (scalare)
predeterminato, e quindi pure più tecnicamente automatizzato dal musicista, implicando
sforzi notevolissimi per rendere agili e liquide le frasi sia come ambito squisitamente
di scelte musicali sia come gesto tecnico per realizzarle.
Non è arduo a questo punto notare che il pianista appena fatta sentire la matrice
intervallare, sottintendendo l'ambiente di RE minore, gli intervalli tra le
note che suona sono sempre più piccoli, partendo dalla quinta fino ad arrivare
a quello di seconda maggiore, che ripete, come subito dopo ribadisce quello di quarta:
questi due intervalli sono quelli che offrono sensazioni neutro-sospensive,
e quindi perfettamente in comunione con l'umore dell'intero brano.
Comunque il pianista non usa mai il tensivo/risolutivo appoggio semitonale di seconda
minore.
L'eccezione nella sequenza discendente, che ha solo gli intervalli di seconda maggiore
e di quarta, dopo che appunto a 2'18'' ritorna sui suoi passi (ripetendo anche lì
un intervallo quello di terzamin.), è dello slancio di terza maggiore ascendente
(a 2'22''): forse la singolarità è immessa per meglio sottolineare, per contrasto,
il finale del solo quasi sommesso in una neutra sospensione sonica che si fonde
perfettamente con il clima complessivo del brano.
Coltrane ha realizzato un solo bellissimo soprattutto nel primo chorus, fondendo
lo stile di Evans e di Davis, dunque suonando cellule intervallatiche con qualche
appoggio semitonale e parafrasi tematiche.
Inizia stupendamente, riprendendo l'idea intervallare del pianista partendo da RE
e suonando una quinta ascendente LA, poi scende di una seconda maggiore SOL e risale
di una quarta, pervenendo dunque a un DO; scende ancora di seconda maggiore e minore
(SIb e LA).
Prosegue da un LA più basso di un'ottava (2'31'') che però subito appunto rialza
(di ottava) e ridiscende di seconda maggiore ribattendo la nota (SOL), per poi "seguire"
gli accordi in maniera un po' scolastica (2'34'').
A 2'37'' ci regala un bello slancio melodico fatto di una cellula di quinta ascendente
e di due terze discendenti: una minore e una maggiore; per poi permutarla tutta
in ascendente e ritornare però alla nota di partenza che scende e riposa sul semitono
MI (2'44'').
Tutto semplicissimo ma assolutamente non banale, e che sarà il seme per moltissime
sue idee realizzate dopo, anche nel suo capolavoro A Love Supreme.
Appena dopo ascende di quinta e suona un SI che rimbalza sul LA, e siccome sotto
arriva l'accordo di SOLmin7, Coltrane si appoggia semitonalmente al SIb, e ribadisce
a 2'50'' per ben due volte il movimento semitonale, discendendo da FA-MI e SIb-LA.
Questi appoggi semitonali tensivi/risolutivi sono sapientemente messi sempre su
accordi (guarda caso) che conseguono tensioni e risoluzioni cadenzali. Finissima
abilità.
Certo non dobbiamo dimenticare che i formidabili risultati sonici di questi grandissimi
musicisti sono dati anche per la loro straordinaria pronuncia musicale,
cioè il metodo tecnico di articolazione dei suoni che è l'insieme delle procedure
tecniche strumentali di soluzioni di continuità per passare da un suono all'altro,
e quindi di dinamiche forte-piano e così via.
Di seguito riprende Evans con un breve intervento solistico a tempo ancora doppio
(di scorrimento delle armonie) che prepara la planata finale della bella ripresa
per due chorus dell'assolo-tema per opera di Davis con gli accordi che rallentano
nel loro scorrere, e quindi con la medesima impostazione stilistica dell'avvio.
Poi il brano si conclude appunto con la solitaria coda di Evans.
Insomma, alcuni brani, spesso quelli che sono più suggestivi e atmosferici, semplici,
comunque più coinvolgenti, si pensa siano frutto di chissà quale ispirazione del
momento; che sono così perché il motivo (più o meno fischiettabile) è "indovinato",
o che la performance di questo o quel musicista sia maiuscola. Ma non è (solo) per
questo: questo errore si compie proprio perché la musica è comunemente intesa come
sinonimo di melodia e di virtuosi espressivi interpreti (coadiuvati da qualche accordo
e ritmo). Di certo moltissime musiche popolari sono così ridotte e sempre più diminuite
dalla reiteratissima messa in opera di questa convinzione che convince ulteriormente
la maggioranza.
Ma la Musica, anche quella in apparenza non complicata, è molto, molto di più.
* Non bisogna confondere il LIRISMO con l'essenza MELODICA reale e pertinente,
poiché il lirismo è dato da un esacerbato sfruttamento dei registri più alti degli
strumenti musicali, che cattura l'attenzione e avvince emotivamente, per causa di
un chiaro rapporto di somiglianza sonica con il tono dell'umano sforzato grido.
Invece l'essenza MELODICA è quella capacità di ottenere una sequenza di poche
note (di solito circa 10), ponderate tra lo scorrere scalare formato perlopiù da
intervalli di seconde (semitoni e toni), e i movimenti di distanze frequenziali
relative più ampie, quindi da intervalli perlopiù di terze, quarte e quinte, come
quelli formanti gli accordi più comuni.
Queste sequenze di note sono suonate con ritmi (durate diverse e articolate),
quindi disseminate di pause.
Ne deriva che per essere melodici non basta connettere poche note nel tempo (suonare
lenti e scalari), magari su tessiture alte e con gli accordi che "girano" sotto
e che donano così colori e prospettive diverse e interessanti anche a banali e reiterate
minime sequenze scalari, che quindi sembrano frasi melodiche ma che non lo sono:
vanno ricercati collegamenti di note peculiari, altrimenti si è solo CANTABILI e/o
LIRICI.
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Data pubblicazione: 15/06/2014
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