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 Il RITMO (e il tempo) si dà come per acquisito naturalmente 
anche perché nelle passate età era l'elemento dominante: esso governava la musica 
giacché la melodia e l'armonia (e la timbrica sonica) erano in una fase embrionale.
 
 
Il ritmo è comunemente avvertito come un elemento musicale inferiore e oltrepassato 
in maniera decisiva sin dalla "civilizzata" epoca rinascimentale.  
Sarà magari anche per questo e quindi per conseguente presunzione e superficialità 
che a tutt'oggi c'è una scarsa consapevolezza e conoscenza (anche tra gli specialisti). 
 
   Lo scorrere del tempo (scansione, pulsazione, battiti) 
in musica è dato dai valori assoluti delle durate assegnati agli eventi che si susseguono 
periodicamente. L'organizzazione degli eventi in unità di durata (con multipli e 
sottomultipli) con accentuazioni che ne caratterizzano ulteriormente l'andamento, 
spesso raggruppati pure in schemi regolari, crea il ritmo: dopo la numerazione e 
la misurazione appunto delle sue ricorrenze qualitative, esso ci fornirà i metri 
convenzionali del brano (3/4, 12/8 ecc.) e quindi sarà funzionalmente contenuto 
in formali misure quantitative (battute).  
 
La durata e l'interazione tra gli eventi concretano perciò il parametro fondamentale 
musicale che è il ritmo in una biunivoca relazione con il TEMPO. 
In musica tutto è ritmo e l'evento ritmico materializza, organizzandolo, il tempo; 
quindi il ritmo articolando il tempo assoluto ordinario, crea il tempo musicale, 
al quale tutto è connesso e pertanto tutti si riferiscono connettendosi necessariamente. 
 
Abbiamo pertanto l'opportunità di concretare esperienze straordinarie: il tempo 
musicale è il frutto di una manipolazione del tempo assoluto perciò è una manifestazione 
di una realtà trascendente.  
 
Dunque la musica è un modello per l'esplorazione della conoscenza del tempo: un 
laboratorio per conseguire modalità temporali non agibili nell'esperienza quotidiana. 
La peculiare conducibilità temporale della musica offre delle dimensioni che altrimenti 
sarebbero inaccessibili: possiamo realizzare una bolla temporale nella quale entrare 
e permanere a nostra volontà.  
 
Il materiale ritmabile di una musica è fornito dalla variazione periodica di una 
serie qualsiasi di parametri sonici: sia percussivi/melodici/armonici sia le eventuali 
curve dinamiche/timbriche applicate nel micro (singolo suono) e nel macro (cambio 
di registro, di strumento, di tonalità).  
 
La musica è scienza delle proporzioni applicate ai suoni; ALTEZZA (acutezza o gravità) 
e DURATA sono grandezze in base alle quali si può produrre musica eseguendo delle 
scelte dopo averle numerate e misurate: il compositore, per realizzare un'opera, 
le mette in relazioni reciproche, coordinandole come su di un diagramma bidimensionale 
(spazio e tempo). 
 
Dunque la profonda comprensione di strutture complesse dell'organizzazione musicale 
passa attraverso le due operazioni fondamentali della procedura del proporzionare: 
numerazione e misurazione. Cogliere le proporzioni mediante l'immaginazione, ordinando 
gli eventi passati e anticipando quelli futuri, ci permette di penetrare il senso 
totale della musica: dal singolo suono che insieme con altri in successione si costituisce 
in ritmo e quindi ricorsivamente in metri e battute, e che dopo diventeranno frasi, 
periodi, sezioni (intro, A, B ecc.), e infine appunto il brano nella sua interezza.
 
 
Quindi per eseguire correttamente una musica (seppur scritta), c'è bisogno di qualcosa 
o qualcuno che ne coordini temporalmente i rapporti: per un'orchestra c'è il direttore, 
al quale tutti i musicisti si riferiscono. Per i piccoli gruppi moderni di solito 
il compito di tenere "incollati" tutti alle misure musicali (battute) è demandato 
al batterista (o in alternativa al bassista), il quale spesso a sua volta ha una 
cuffia con un metronomo (il "click") e/o intere sequenze programmate di musica alle 
quali riferirsi. 
 
I musicisti sono come fluidi congegni degli orologi: però non misurano il trascorrere 
tempo, lo creano. E realizzano così la musica: il mutante cronometro nel quale "immergersi" 
poi tutti.  
 
I generi musicali più diffusi come il Pop, il Rock e il Funk-Dance, hanno delle 
forme strutturali semplici, brevi e ripetute. 
 
Ci sono alcune condizioni che agevolano il riscontro temporale che consente ai musicisti 
(e agli ascoltatori) non solo di procedere insieme con gli altri sincronizzati verticalmente, 
ma anche di non smarrire il dispiegarsi del fluire orizzontale che dà il profilo 
qualitativo alla struttura.  
 
Infatti, nella stragrande maggioranza dei casi il ritmo è breve, ripetuto e simmetrico: 
si ottiene così una specie di CRONOMETRO musicale che orienta e conforta il movimento 
in avanti, percependolo pertanto come UNA delle possibili modalità del fluire asettico 
e indifferenziato del tempo assoluto. In questa maniera però la peculiarità musicale 
di trascendere IL tempo assoluto (ordinario) è in gran parte neutralizzata.  
 
Effettivamente i generi musicali più diffusi come il Pop, il Rock e il Funk-Dance, 
hanno delle forme strutturali semplici (brevi e ripetute), all'interno delle quali 
ci sono anche delle certezze inequivocabili date da semplici e marcate ricorrenze 
di allineamento temporale a cui riferirsi per il controllo della musica che scorre 
per eseguirla correttamente.  
 
In questi casi la suddivisione in battute erigerà un simulacro dell'omogeneo divenire 
temporale ordinario, all'interno del quale far eventualmente scorrere e dislocare 
in parallelo alcune occasioni di singolarità temporali (pertanto non allineate al 
resto) procurate da semplici ma sincopate figurazioni ritmiche. 
Per la musica New Age è invece invalsa la prassi di non marcare il tempo (similarmente 
all'antica musica sacra gregoriana), per non suscitare naturali movimenti indotti 
da energia impulsiva ritmica (il contrario di tutte le profane popolari musiche 
da ballo*), quindi riferimenti fisici sensuali spontanei che distraggono la concentrazione 
per l'elevazione spirituale che consente l'armonia perfetta con il tutto. Questa 
staticità temporale insieme con i pochi eventi di connessioni melodici/armonici 
rende la musica più spaziale e non costruente "congegni", ma appunto con quei minimi 
suoni che si dispiegano, quasi immateriale e fluida: così dovrebbe permettere un'astrazione 
e una sublimazione dal bassamente vivere umano, senza pulsazioni e pulsioni. 
 
Ma ci sono brani che troviamo spesso in generi come il Jazz**, il Progressive ecc., 
che sfruttano la peculiarità temporale-ritmica della musica, attenendosi a prassi 
sia compositive sia esecutive per conseguire un sostanziale senso di contrazione/dilatazione 
e disallineamento temporale tra i vari elementi e derivante iper stratificazione 
poliritmica (e talvolta polimetrica). 
 
Questo determina una sospensione del normale fluire o comunque una non definizione 
univoca: l'ambiguità è sfruttata per far fluttuare la percezione temporale dell'ascoltatore 
che, ritrovandosi senza punti di appoggio, non può far altro che abbandonarsi alla 
deriva dell'ondeggiare tumultuoso del mare ritmico. Dunque, all'inverso delle musiche 
dei generi più popolari (Pop, Rock e Funk-Dance) ce ne sono invece di programmaticamente 
complicate: come per la New Age (e la musica sacra) anche qui c'è una sorta di volontà 
di elevazione, ma al contrario della passività qui c'è il desiderio (mediante "eroica" 
attività) di superare le enormi difficoltà date dal proporsi di dominare sia intellettualmente 
sia operativamente delle "forze" (il tempo) che sono al limite delle possibilità 
concesse all'uomo. Questo è un impegno quasi sovrumano per liberarsi dall'influsso 
massificante del tempo cronometrico. Che sia quello indifferenziato o che sia ciclico, 
la procedura è quella di annullare appunto il tempo facilmente preconizzabile mediante 
ritmiche e metriche più complesse e/o stratificate, andando a concretare di solito 
delle realtà temporali multiple sovrapposte. A volte addirittura si vogliono esprimere 
delle tensioni mediante dissonanze ritmiche. Il rischio è che nello sforzo di intricare 
si realizzino talvolta musiche un po' pretestuose: in ogni caso sono sempre da prendere 
in considerazione perché si fa comunque della ricerca e sviluppo di una disciplina. 
Come per tutte le avanguardie, anche ammesso che l'opera in sé non sia del tutto 
valida e creativa (o, con opinabilissimo giudizio, bella), si potrà dopo approfittare 
di quest'apertura di sentiero per comporre cose migliori.  
 
Due bravi chitarristi rockfusion illuminati, Brett Garsed e T.J.Helmerich, 
hanno pubblicato negli anni '90 due dischi di 
musica rock-fusion senza troppe pretese: durante gli assoli scorrazzavano molto 
velocemente ma con gusto lungo le loro tastiere "infiammate". Nel
1999 hanno pubblicato l'apprezzabile "Under 
the Lash of Gravity": è un disco diverso, più di ricerca perciò ambizioso. In particolare 
i brani "Galactic Waterhole" e "State of the Art" sono moderni prototipi di formidabili 
complicanze di stratificazioni ritmiche-metriche: il primo più orizzontale, il secondo 
più verticale (quindi più dissonante per causa di contemporanei contrasti temporali). 
Anche solo come addestramento vale la pena cimentarcisi per aumentare la propria 
sensibilità, pertanto conoscenza, tramite esperienza. (A volte l'analisi è più ardua 
della sintesi perciò è utilissima.) Sovvertendo tutte le naturali aspettative, non 
permettono predizioni e contrastano sia il normale fluire assoluto sia quello relativo 
ciclico: nel presente il passato non è memorizzabile e il futuro non è predicibile 
per causa di complicatissimi rapporti sonici sia simultanei (verticali) sia in successione 
(orizzontali). Il consiglio è di ascoltare i brani senza guardare e seguire la mappa; 
ma dopo fatelo! 
 
  
 
 
  
 
* Caso a sé è la musica afrocubana (malamente detta SALSA), che seppur molto percussiva 
e ritmicamente marcata, è caratterizzata dall'ambiguità percettiva dell'UNO delle 
misure (inizio), infatti, anche in musiche da ballo commerciali non è facilmente 
individuabile, figuriamoci in quelle più creative. 
 
** Il Jazz di solito non ha forme e metri complicati (AABA e 4/4), tuttavia la cosa 
più facile è proprio smarrirsi nello scorrere del brano nel tempo; ciò è determinato 
dal fattore programmatico di questo genere che è quello di non avere le scansioni 
ritmiche regolari per opera di tutti i suoi musicisti fatto salvo il bassista. In 
particolare spesso il Jazz ha una base ritmica data dalla batteria non marcata e 
non regolare, sostenuta solo da un veloce percotimento di un piatto chiamato ride 
(dagli anni quaranta in poi), fraseggi sul rullante e qualche "botta" di grancassa; 
il basso va in 4 (walkin' bass). C'è anche la libera e occasionale addizione e sottrazione 
degli interventi musicali per opera dei singoli musicisti che forniscono pure dislocazioni 
di accenti sincopati alle loro azioni. Insomma, la difficoltà non è data da ritmi 
e metri complessi né da strutture lunghe e intricate, ma da sapienti interventi 
improvvisati dei musicisti. La bolla di tempo concretata dalla riproduzione dell'intero 
brano, è il campo di azione nel quale operare occasionali e transitori e penetranti 
interventi di dinamica temporale da parte di solisti che s'immergono e nuotano in 
quel fluido divenire: questa è l'ulteriore magia di quelle musiche che sono permeate 
dalle improvvisazioni solistiche.  
 
Però il paradosso è che la maggior parte dei solisti (in tutti i generi musicali) 
si appoggia sin troppo alla scansione metronomica, anche se non è esplicita (che 
aiuta comunque a sincronizzare i musicisti), così si stabiliscono due lati svantaggiosi: 
non si sfrutta questa possibilità per elevare il grado di soggettiva stratificazione 
temporale, ed è parzialmente neutralizzato anche l'effetto della bolla di tempo. 
 
Si possono imparare sui libri tutte le non semplici nozioni melodiche e armoniche 
necessarie per essere in grado di suonare (anche in modo ortodosso) il Jazz, ma 
salire su quelle giostre veloci e prive di appigli è per molti una difficoltà insuperabile: 
spesso non si riesce di comprendere nemmeno dove sta l'UNO della misura e si cade 
rovinosamente dopo poche battute. 
 
Talvolta qualcuno si è divertito di realizzare qualche brano programmaticamente 
più complicato: ad esempio "Five" di
Bill Evans 
(del ‘56) ha delle metriche e suddivisioni interne non semplici (guarda caso il 
disco che lo contiene lo ha chiamato "New Jazz Conceptions"). Nel
1996 è stato pubblicato un intero libro di trascrizioni 
di suoi brani (Bill 
Evans Fake Book) contenente una scorretta partitura di "Five": l'autore 
(Pascal Wetzel) non ha capito dove era posto l'UNO iniziale, da qui tutta una serie 
di errori formali...
Per approfondimenti, il libro è disponibile anche presso 
www.amazon.it 
 
  
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
 
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			Data pubblicazione: 14/04/2014
	  
 
 
 
	
  
	
		
		
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