(Testo tratto dal mio libro "Supreme Kind of Brew")
So What è il brano più famoso di Miles Davis e
uno dei più celebri dell'intero genere Jazz. Fu registrato e pubblicato nel
1959 e contenuto nel bellissimo disco Kind Of
Blue. È stato da sempre studiato da musicisti ed esperti per la sua peculiarità
stilistica e di contenuti: è ritenuto la scintilla della svolta epocale modale nell'ambito
Jazz, un manifesto.
Il preludio del brano è molto bello e sembra che sia stato
scritto da Gil Evans per Miles: in quel periodo erano stretti collaboratori.
Sono poco più di 30 secondi di musica con un linguaggio e uno stile diverso da quello
del Jazz: sembra un passaggio wagneriano armonizzato da Satie o Debussy.
Questo preludio è purtroppo un pezzo di musica poco capito e considerato; forse
anche perché lo stesso Miles dal vivo non l'ha più riproposto.
La linea melodica dell'unisono* insiste sul rapporto d'intervallo di quinta; prima
giusta, poi aumentata, poi diminuita e infine giusta, ma con traslazioni cromatiche.
Menziono che il temino di So What è caratterizzato proprio dall'intervallo
di quinta giusta espresso dalle prime due note (RE2-LA2).
Spesso questo preludio è stato inteso eseguito in tempo rubato cioè fuori tempo
rispetto alla parte principale. Invece è ravvisabile per il preludio un tempo di
circa 135 bpm, che coincide pure con la parte seguente del brevissimo tema.
Questo è eseguito dal contrabbasso e dura solo una battuta e mezza, l'altra mezza
è occupata dalla risposta (appunto il sowhat) del piano e fiati che eseguono due
accordi: sono costituiti da due intervalli di quarta e uno di terza maggiore. Il
primo parte da LA (dunque RE, SOL, SI), e il secondo identico scende di un tono
e quindi ha radice in SOL.
Tutto qui. Poi ci sono gli assoli.
E Miles apre le danze: il suo è bellissimo e notevole.
Lo è per vari motivi, il primo è che Davis si attiene per l'intero assolo (di circa
due minuti) esclusivamente alla stringa di note costituenti la scala dorica (solo
un paio di volte innalza di un semitono la settima minore, conseguendo un plus di
tensione/risoluzione sulla tonica e divenendo pertanto in quel minimo segmento,
una scala minore melodica).
Questa autolimitazione è per un jazzista quasi come andare contro natura, perché
è abituato casomai ad arricchire i passaggi melodici suggeriti dalle armonie sottostanti,
a ornare e rendere più fitta la trama melodica, o in ogni caso che le note melodiche
si vadano a incastonare come pietre preziose con estensioni e alterazioni nel diadema
armonico, appunto facendo in modo che l'uno arricchisca l'altro.
Insomma, di solito in questi casi accade che il risultato finale sia superiore della
somma delle singole parti (paradigmatico lo stile del sassofonista Lester Young).
Miles sceglie la via più pura e difficile, ossia di rinunciare a quei metodi sia
in termini armonici (la base degli accordi è quasi statica) sia nei termini melodici,
e quindi d'impreziosire il tutto come suddetto.
Il trombettista riesce, anche mediante il suo magnifico stile altero e nobile, di
cavare da materiali così poveri gemme melodiche sorprendenti e luminose, quasi imprevedibili:
la sua morbidezza e plasticità sonica è davvero una lampante dimostrazione che a
volte per "dire" cose importanti non serve necessariamente un lessico ricco di parole
difficili e colte, né di urlare contorcendosi, ma che un artista riesce d'inventare
tramite la sua fantasia, il suo eloquio, "racconti" appunto originali, meravigliosi
e affascinanti.
A 2'51" ripete esattamente la frase d'apertura del suo solo che inizia a 1'31",
questo è un importante segnale della consapevolezza che Miles possiede nell'edificare
il suo assolo: anche se improvvisato e suonato tutto in diretta pertanto senza sovraincisioni,
pure dopo tutto quel tempo, la storia che sta raccontando è completamente nella
sua mente e nelle sue mani.
In ogni caso il solo è impostato con le parti A che sono trattate come magnifiche
elaborazioni melodiche proprio delle note che strutturano l'accordo di RE minore7,
con pause e respiri, mentre nelle B Miles procede più fluidamente sulle note della
scala.
Questa pianificazione dona a questo assolo un carattere fortemente organizzato e
coeso quasi appunto di composizione istantanea: si svela così quel misterico assetto
prevalente percepito dai più.
Davis riesce a offrirci un solo così bello, dunque quasi a prescindere dalle note
in sé, tramite delle scelte peculiari di archi melodici morbidi, quindi particolari
direzioni dei flussi sonici (ascendenti/discendenti) e frequenze di tessitura delle
note (gravi/medie/acute), spazi intervallatici assoluti nel loro scorrimento, velocità
dei suoni e loro distribuzione nel tempo.
Insomma, abbiamo un disegno melodico con curve e senza angoli ma interpolato da
interruzioni di suono, da silenzi che concedono potenziali nuove vie da percorrere
perché carichi di condensazioni vitalizzanti che donano ulteriori e futuri slanci
con eventuali conseguenti planate, che quindi offrono opportunità di viaggi avventurosi
ma senza avventatezze e drammatiche precipitazioni: questo assolo di So What
è un flusso energetico morbido sospinto da una brezza e non da un uragano.
Solo il pilota Davis stabilisce, a dispetto di quello che noi prevediamo o vogliamo,
dove, come e quando condurci alla meta: sarà comunque quella giusta.
Questo brano e assolo di Davis saranno un'importantissima spora che successivamente,
di lì a qualche anno e decennio, permetterà una riproduzione di piante musicali
rigogliose non solo più propriamente per opera di una ramificazione Jazz, ma anche
in ambienti lontani dal Jazz, come il Rock chitarristico: quello progredente le
coordinate blues e quindi un diretto loro superamento per degli sviluppi davvero
impor-tanti che a loro volta...
Le prime otto battute dell'assolo di Coltrane sono quasi melodiche; riesce
di conseguire questo risultato avendo come obiettivo, dopo una piccola ascesa, quello
di privilegiare sempre un paio di note, sostando su di esse (o rimbalzando come
suo solito ripetendole ulteriormente rielaborando così la basica frasetta iniziale).
Questo peraltro suonando in una tessitura frequenziale più alta di quella di Davis
e con un suono più metallico e ruvido, sforzato, poco elegante.
Subito dopo a 3'41" il sassofonista estremizza questa sua metodica di concezione
costruttiva degli assoli: comincia a infittire il numero di note nel fraseggio che
diventa pure più nervoso; pone come obiettivi e cardini vitalizzanti sempre alcune
note come fossero margini invalicabili di quella veloce e urgente stringa scalare.
Spesso ripete più o meno pedissequamente le stesse sequenze, ottenendo in fondo
una specie di "motivazione melodica", di un'oratoria che sembra più un veloce salmodiare
che un discorso vero e proprio. È una maniera diversa di concepire e realizzare
gli assoli.
Dopo una breve frase (davvero) melodica da 4'02" a 4'06", mette in pratica in maniera
esplicita quella metodica prima esposta da 4'08" a 4'17" e poi dopo una minima frasetta
prosegue sempre così da 4'20" a 4'28"; ancora evidentissimo da 4'50" a 4'58".
Le soluzioni di continuità del grande Coltrane per raccordare queste esplicite sequenze
si basano su altre sequenze, sono solo più implicite quindi di più difficile individuazione,
ma sempre sequenze non difformi nella sostanza da quelle altre.
Va anche detto che Coltrane a differenza di Davis a mano a mano inserisce non poche
alterazioni alla scala dorica prescritta, e alza sempre di più la tessitura frequenziale
del suo suonato, anche se termina con una bella frase scalare discendente.
Anche questa è una sequenza: quasi tutte e sette le quartine di sedicesimi hanno
una nota bassa una più alta e le altre due più basse, e tutto l'arco disegnato discende
fino a terminare su una classica estensione coltraniana di nona maggiore.
Questa scelta dona leggerezza poiché è contrapposta benissimo con il bell'effetto
di attrazione di gravità verso il basso della frase a quartine, che però "fortunatamente"
non termina pesantemente sulla nota tonica: sembra l'agile volteggio di un acrobata
che atterra leggero e plastico dove (e quando) non te lo aspetti.
Da qui in avanti nel corso degli anni della sua carriera da leader, Coltrane estremizzerà
sempre di più queste procedure di realizzazioni dei suoi assoli: flussi di note
come torrenti in piena sempre meno arginati e arginabili pure dai suoi collaboratori,
e che come in preda a un fervore mistico, aggredendo e quindi irrompendo lo spazio
sonoro (e il tempo di durata), travolge tutto e tutti senza pietà.
Nulla sembrava poterlo placare.
Appena dopo Coltrane entra Adderley, quasi impaziente, già dopo pochissimi
secondi a 5'22"saltella allegro…
A lui l'ambiente modale sembra non suscitare stimoli particolari, anzi sembra un
po' un uccellino ingabbiato; a 5'40" anticipa di un'intera misura la prima modulazione
di un semitono in MIbm7.
A 5'54" gestisce benissimo la transizione modulante di ritorno al Rem7 dell'impianto
da MIbm7, mediante un'uscita melodica appunto a cavallo tra le due sezioni modulanti:
elegante ed efficace e che si protrae fino a 6'09", arrampicandosi su quell'albero
melodico che anni addietro aveva imparato a scalare dal "fratello maggiore" Charlie
Parker.
Però appena esce da questa bella condizione sembra un po' indeciso, e per mettere
le cose a posto, a 6'10" ripete una frasetta melodica (che aveva presentato già
a 5'58") come avesse voluto prendere un nuovo foglio per tracciare nuovi segni.
D'altra parte a 6'18" esegue un paio di trilli cinguettanti di ornamento a una frase
scalare: un po' vecchio stile di abbellimento melismatico. Successivamente aumenta
la velocità, si ferma e sottolinea a 6'24" (quasi come un riff da sezione fiati)
una sequenza melodica discendente, per poi innescare una veloce frase con un'articolazione
dinamica e una pronuncia molto bella ma non molto originale.
Continua sempre un po' così elegantemente schizofrenico e svolazzante, arrivando
pure (a 6'40") un po' a "bluesare", come fosse una lamentela, una protesta di un'anima
in gabbia; per terminare a 7'00"con quella frasetta melodica che già aveva presentato
a 5'58" e 6'10".
Adderley è in bilico tra l'architettura logica e ferrea densa anche di pause e melodizzazioni
pure e semplici di Davis, le aggressive infrazioni reiterative di Coltrane e la
sua propensione classicheggiante bop-blues di eredità parkeriana.
In questo ambiente modale un po' nuovo che non gli offre appigli sicuri delle progressioni
armoniche, si muove con la destrezza di un grandissimo tecnico artigiano, che gli
assicura comunque degli ottimi risultati, riuscendo sempre di essere all'altezza
della situazione pur non conseguendo delle artistiche vette assolute d'invenzioni
musicali.
Poi entra finalmente l'assolo di piano, ed è notevole.
Invece generalmente questo assolo di
Bill Evans
è stimato come un assolo non convincente, con un approccio incerto, qualcuno afferma
pure che esita di prendere il suo assolo: no, non è con un approccio incerto ed
Evans assolutamente non è esitante nell'entrata.
Il chorus di improvvisazione di Cannonball era correttamente terminato, difatti,
insieme con gli altri si stava evidentemente sistemando davanti al microfono per
suonare in sezione. Evans non poteva avere incertezze giacché stavano tutti nello
stesso stanzone a vista, e i fiati hanno suonato il miniriff "sowhat" appena prima
dell'inizio del chorus di assolo del pianista, dando perciò un ulteriore segnale
di avvio (seguito guarda caso pure dal batterista che cambia ritmo e dinamica).
Evans vuole differenziare i suoi assoli a fronte di essere in un gruppo con tre
giganti ai fiati.
Questo è lo stile di Evans (di allora) impregnato di tecnica squisitamente pianistica:
suonare gli assoli con raffinatissimi block chords e linee melodiche con le code
delle note che si stratificano un po' e per ciò articolando e pronunciando frasi
come nessun altro strumento è in grado di fare, tanto meno i fiati (e non per assicurarsi
un controllo preciso nei tempi lenti).
Evans intelligentemente vuole così differenziare i suoi assoli poiché sta in un
gruppo con tre fuoriclasse di strumenti monofonici, ossia che possono suonare solo
una nota alla volta.
Infatti, proprio in tutto Kind Of Blue il pianista suona gli assoli in questo
modo.
Nelle quattro sezioni dell'assolo A' A"B A"' (stessa forma del brano) Evans suona
a note singole solo in A", raggiungendo il punto più alto dell'intensità espressiva
nel B e non nella chiusura di A"', che termina con cluster di carattere ma non proprio
forti e drammatici; anzi in questa A"' molto sottilmente riduce l'energia, stabilendo
perciò l'anticlimax. Questo ha confuso qualche critico nelle loro analisi, i quali
concependo in modo convenzionale che lo schema degli assoli debba essere con l'entrata
d'attacco e non tenue, non hanno riconosciuto né che Evans era entrato con il suo
assolo in maniera perfetta né che avesse elaborato un assolo raffinato e originale
anche come schema, disegnandolo in termini di climax espressivo come appunto una
strada con un dolce e sinuoso salire (senza esprimere un vero acme) e discendere;
e non come (spesso accade soprattutto nel Rock e nel Pop) una specie di strada con
un primo ripido dosso di entrata (per attirare l'attenzione), uno svolgimento e
un altro ripido dosso di uscita (per imprimere nella memoria).
A margine invece diamo seguito a quello che il sibillino Davis ha raccontato, ossia
di essere stato "stimolato" da alcuni ascolti di Rachmaninov e Ravel; in particolare
il Concerto per pianoforte e orchestra n.4 (1927) e il Concerto per pianoforte per
la mano sinistra (1930). A circa metà di quest'ultimo (8'36") inizia un tema da
danza popolare: il primo segmento di 7 note è molto simile al temino suonato dal
contrabbasso di So What (trasposto è DO-FA-SOL-LA-SI-SOL-LA). E una parte
di un solo di Chambers registrato un paio di anni prima su un altro pezzo (Yestarday)
presenta traslata una linea del tutto simile.
* La sequenza di note dell'unisono (stessa parte musicale suonata simultaneamente
da 2 o più strumenti) è: LA1-MI2-SOL2-LA1-FA2-LA1-MI2-LA1-FA2-SOL2-SOL1-MI2-LA1-MIb2-LAb1-MIb2.
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Data pubblicazione: 15/09/2014
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