Il Jazz a Torino
di Gian Carlo Roncaglia
Cavernicoli e Modernicoli
L'entusiasmo per la possibilità di esprimersi comunque, e malgrado i rammentati anatemi, uscendo allo scoperto, per i pionieri del jazz torinesi fu la molla che fece scattare meccanismi inimmaginati. Le raccolte dei graffiti dell'epoca rammentano le prime jam session trasmesse da Radio Torino con accesso "riservato ai soli soci in regola con le quote associative del primo semestre 1946" (!)
Jam session, non concerti veri e propri, perché i partecipanti, con tutta la loro buona volontà e la loro passione, preferivano la classica "sessione marmellata", alla quale ognuno poteva intervenire (magari "squadrando", ma che importava: l'importante, come aveva insegnato De Coubertin, era partecipare…), suonando per il Primo Maggio, allora festa grossa, ad Arborio nel Vercellese, o all'inizio dell'autunno in prestigiosi dancing torinesi. Era il sempiterno
Renato Germonio a condurre il gioco, con la sua storica fisarmonica, ma anche alla tromba assieme a
Sergio Farinelli; con loro "Dick" Mazzanti al trombone, e in qualità di pianista boogie-woogie man, e ancora
Piero Fasano al piano, Renato Gramaglia alla chitarra e il già rammentato
Alberto Tapparo cui via via si univano personaggi come Ettore Pedemonte
(poi presente nel 1988 al big concerto organizzato all'insegna dei "Cinquant'anni di Jazz a Torino") al piano,
Gino Carcassola e Mario Di Cunzolo, il poi celebre Franco Pisano
e Dedo Borgialli, Ettore Sobrero (il contrabbassista rampollo dell'anfitrione della leggendaria, omonima "Taverna") e altri ancora, ché l'elenco potrebbe essere ben più nutrito.
Gli anni passarono veloci e il jazz primigenio, quello che faceva battere il piede per seguire meglio il ritmo delle musiche che si ascoltavano, vide arrivare i primi dischi di una strana, rivoluzionaria musica che allora veniva definita
Rebop, prima di cambiare via via nome in Bebop e infine più semplicemente
Bop.
Erano di etichette Celson con protagonisti poco noti: un certo Charlie Parker; un trombettista che si chiamava
John Birks ma che per gli estimatori della sua musica era "Dizzy" ("pazzerellone")
Gillespie; e altri personaggi che suonavano in modo sino ad allora inconcepibile fregiando le loro esecuzioni con titoli come
Now's the Time
o Ornitology, o persino e addirittura
Klactoveedsedstene, provocando un vero e proprio movimento sussultorio nel mondo degli appassionati torinesi (ma non solo fra di loro, si badi), che diviso in opposte fazioni vide nascere le rispettive accuse: "Cavernicoli!" nei confronti di chi continuava a difendere il jazz "classico", e "Modernicoli!", indirizzato con eguale, veemente disprezzo verso chi reputava che solo le forme più moderne di jazz meritassero interesse preminente.
Fra questi ultimi spiccava la presenza di un giovane pianista che poi sarebbe diventato notissimo con il suo vero nome, Piero, ma che allora si faceva chiamare
Peter Angela, il quale comunque non rinnegava il passato, da quello di Sydney Bechet
a quello di Coleman Hawkins. La sua penna pungente però gli fece scrivere: "È interessante osservare come si possano trovare, nel campo jazzistico, quattro specie di individui: i veri artisti, quelli cioè che "sentono" e "sanno parlare", i "muti", quelli cioè che sentono ma che non sanno esprimersi, i "sordi", cioè una gran parte dei musicisti, ed infine i "sordomuti", cioè il pubblico" (…)
Stavano maturando però tempi di vacche magre. Un'indagine effettuata nel
'49
evidenziò che, su 146 ore di trasmissione della Rai in una settimana, trentasette erano state dedicate alla musica classica, trentacinque a quella leggera e "ben" trenta minuti al jazz!
Sì, qualche grosso nome del jazz arrivava in Italia, e le tournée toccavano in genere anche Torino:
Armstrong, Ellington, Benny Goodman potevano essere ascoltati (e visti!) dal vivo, ma gli stessi Hot Club videro diminuire nei loro confronti gli entusiasti interessi dell'immediato dopoguerra.
Non poca responsabilità dovette essere attribuita alle contrapposte concezioni politiche, e lo stesso
Massimo Mila venne costretto a prendere la penna per smentire un suo disaccordo con l'organo del partito comunista, "L'Unità", sulle sue valutazioni del jazz. Certo è che il modo di vivere il jazz stava per assumere altre caratteristiche. Anche a Torino.
12/12/2018 | Addio a Carlo Loffredo, tra i padri del Jazz in Italia: "Ho suonato con Louis Armstrong, Dizzy Gillespie, Django Reinhardt, Stephan Grappelli, Teddy Wilson, Oscar Peterson, Bobby Hachett, Jack Teagarden, Earl "father" Hines, Albert Nicholas, Chet Baker, i Four Fresmen, i Mills Brother, e basta qui." |
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Data ultima modifica: 05/01/2008
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