Il Jazz a Torino
di Gian Carlo Roncaglia
Ma cos'è questo Jazz Hot?
Se il Jazz a Torino visse subito, alla fine della guerra, momenti di vivacissimo entusiasmo ciò dipese senza alcun dubbio dalla ricchezza di iniziative che nell'anteguerra già avevano dimostrato un interesse verso questa musica davvero più che curioso, dati i tempi e gli anatemi del regime imperante. Addirittura era accaduto che su "Il Lambello", organo ufficiale dei "Fascisti Universitari del Piemonte", apparisse un lungo articolo su tre colonne dall'inequivocabile titolo "Ma che cos'è questo Jazz Hot?" firmato da
Renato Germonio. Un'appassionata accusa contro "l'ostilità di troppi misoneisti che non hanno voluto avvicinarlesi con l'onesto intendimento di studiarla come va studiata ogni nuova forma d'arte…" riferendosi, ovviamente, alla "musica Jazz Hot, sentita dai giovani che hanno l'animo fresco ed aperto a ogni bellezza…". E pubblicata proprio su un giornale che in prima pagina affermava, sotto il titolo "Intransigenza!", l'elogio dell'intolleranza quale elemento basilare del fascismo che, guarda caso, proprio nei confronti del jazz aveva in più occasioni decretato l'ostracismo più bieco e senza alcuna logica giustificazione.
Ma erano tempi strani, quelli. Con l'obbligo per i giovani prossimi alla chiamata alle armi di frequentare il sabato pomeriggio esercitazioni e manovre definite "pre-militari". E fu in una pausa di esse che accadde proprio al citato
Germonio di sentir fischiettare, dietro un cespuglio, "con uno swing che faceva torcere le budella", le note di un pezzo jazz celebre,
Dinah, che lo fecero scattare per scoprire chi conosceva tal tipo di musica.
Era un baldo giovane seduto in riva al Po dove aveva messo, legata con uno spago, una
Cussa ("zucca": la bottiglia tipica dei muratori, ricavata da una zucchetta oblunga svuotata e fatta seccare) piena di Barbera, con la quale rifocillarsi dai troppi "unò-duè" sopportati per ore. Si chiamava
Ferdinando Buscaglione il baldo giovane il quale aveva scoperto, nella portineria di Piazza Cavour dove abitava con la madre, un pacchetto di dischi (a settantotto giri, naturalmente) lasciati da un inquilino che aveva traslocato: erano dischi di jazz, e il ventenne Ferdinando se li era imparati a memoria sul vecchio grammofono a manovella di casa.
L'amicizia fra i due fu immediata. Germonio, con maggiori possibilità economiche, noleggiò subito un contrabbasso per Ferdinando, che frequentava il Conservatorio Giuseppe Verdi nel suo liceo artistico (che lasciò dopo soli sei mesi, però) studiando il violino. Corde più lunghe o corde più corte, sempre corde armoniche erano, e nacque così il primo duo jazzistico torinese, fisarmonica e contrabbasso, che per ore scorrazzavano sulle note di
The Sheik of Araby, la loro sigla musicale.
La guerra però incalzava, e "Nando 'd Piassa Cavour" (il soprannome di Buscaglione) fu chiamato alle armi e spedito in Sardegna dove con intraprendenza prelevò alcuni musicisti dalla banda militare costituendo il complesso "Aster" che, tornato a Torino, fu la matrice dei leggendari "Asternovas" con i quali interpretò, adottato il nuovo nome di "Fred", le canzoni che lo resero famoso. Ma questa è un'altra storia.
Il Jazz, quello vero, stava trovando sotto la Mole i suoi personaggi di spicco che, attorno a
Germonio, costituirono il nucleo musicale che questa musica aveva fatta propria. Primi fra essi
Riccardo "Dick" Mazzanti, trombonista e pianista di boogie woogie; Emilio Siccardi, un sassofonista fideisticamente ispirato da Lester Young e discendente dell'illustre giurista che aveva promosso la legge sull'abolizione dell'immunità ecclesiastica; e poi ancora il pianista
Piero Fasano, il batterista Alberto Tapparo (poi dirigente Rai), ed i tanti altri che addirittura nel luglio
1945, appena terminata la guerra, per primi in Italia dettero vita al periodico "Jazz" – con tanto di autorizzazione del PWB alleato che allora sovrintendeva a tutte le iniziative di stampa in Italia. E le iniziative si accavallarono arrivando addirittura a vedere il notissimo e classicissimo Conservatorio Musicale "Giuseppe Verdi" ospitare sul suo palco un altro dei pionieri torinesi, il trombettista
Sergio Farinelli, che vi tenne una audizione discografica (il jazz era allora fatto soltanto di dischi) di grandi trombettisti della storia del jazz stesso.
L'interesse per questa musica divenne sin troppo palese, ma presto le difficoltà dei promotori si rivelarono in tutta la loro evidenza, perché nei confronti del jazz l'ostracismo arrivava tanto dalla destra quanto dalla sinistra. "Musica dionisiaca e peccaminosa" tuonavano le gerarchie ecclesiastiche e, di contrapposto, i giornali della sinistra la definivano "decadente e capitalistica", trovando così, in un mondo che vedeva ben schierate l'una e l'altra parte politica, una sostanziale concordanza ancorché dettata da ideologie contrapposte.
Ma il jazz non era mai stato particolarmente accettato, di là e di qua dell'Atlantico. E chi aveva imparato ad amarlo seppe difendersi con vigore.
12/12/2018 | Addio a Carlo Loffredo, tra i padri del Jazz in Italia: "Ho suonato con Louis Armstrong, Dizzy Gillespie, Django Reinhardt, Stephan Grappelli, Teddy Wilson, Oscar Peterson, Bobby Hachett, Jack Teagarden, Earl "father" Hines, Albert Nicholas, Chet Baker, i Four Fresmen, i Mills Brother, e basta qui." |
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Data ultima modifica: 05/01/2008
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