Jazzitalia - Pat Metheny: Tokyo Day Trip
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Nonesuch Records 2008
Pat Metheny
Tokyo Day Trip


1. TromsØ
2. Traveling Fast
3. Inori
4. Back Arm & Blackcharge
5. The Night Becomes You

Pat Metheny - guitar, electric sitar, baritone and acoustic guitars
Christian Mcbride - acoustic bass
Antonio Sanchez - drums, orchestra bells.




Nel maggio del 2004, prima di incidere in studio un album di grande successo come "Day Trip" (Nonesuch 2008), Pat Metheny registrò dal vivo 5 brani a Tokyo assieme ad una ritmica eccellente band formata dal bassista Christian McBride e dal batterista Antonio Sanchez: mixati dal chitarrista stesso con uno dei suoi migliori partner di sempre, Steve Rodby, vengono ora raccolti in questo EP.



O
gnuno sa quanto egli abbia mostrato nel corso degli anni in tecnica e scrittura musicale, alla ricerca di una purezza del suono che è riuscita ad imporre la chitarra come strumento di riferimento nel composito panorama musicale degli ultimi trenta anni, combinando colori e dinamica secondo un modo molto apprezzato e richiesto, senz'altro originale nel dar luce ad un sound esibito in timbriche leggere, in armonie sottili e delicate fra accordi che si muovono agilmente nelle ottave, grazie ad un fraseggio incisivo e ricco d'idee, virtuosistico e attento all'azione dei magneti ed alla filtratura degli effetti.

Con un certo stupore non del tutto inatteso dopo le perplessità relative a "Speaking of Now" (Warner Bros. 2002) e "The Way Up" (Nonesuch Records 2005), nei 5 brani paiono prender vita suoni conosciuti, in qualche modo non inattesi ed alquanto prevedibili, rincorrendo in modo forse eccessivo la ricerca della forma, d'una connotazione che voglia essere ancora stilisticamente innovativa nell'ambito di quei confini caduti fra le categorie dei generi, alla cui destrutturazione aveva contribuito con sintesi stimolanti e progressive, soprattutto quando ad ispirarle furono le soluzioni armoniche di una personalità creativa come quella di Lyle Mays, uscita troppo presto dal grande proscenio internazionale.

Le nuances e l'architettura improvvisativa in verità sembrano fin troppo orecchiabili, incastonate in schemi raffinati, in mélange stilistici fin troppo studiati, che non conducono più a nuovi progetti né più traducono le scelte armoniche in dimensioni originali, evocando semmai ipertecniche dimensionature romantiche e meditative, come in "TromsØ" e "Inora".

Forse la ricerca è terminata, i sintetizzatori ed i computer sono diventati parte essenziale e definitiva dell'evoluzione; le interfacce digitali, se hanno aperto a Metheny il più ampio controllo dei suoni, a parere di chi scrive ne hanno limitato la forza inventiva in una polifonia ed in una poliritmicità in definitiva non di rado uguali a se stesse, accattivanti nella spettacolarità di un gesto in realtà prevedibile e significativamente amato dallo show business.

Tutti ricordiamo i tormentati equilibri di "Shadows and Light", nei quali egli emerse grazie all'eleganza ed alla sensibilità di Joni Mitchell; hanno stupito le eccellenti e spregiudicate soluzioni vocalizzanti con Pedro Aznar, i calcoli e gli ingegni (per merito vero o presunto) con Gary Burton, con Mark Egan, con Steve Rodby, con Milton Nascimento, con Toninho Horta o addirittura con Ornette Coleman in un'apparentemente "scontroso e indigesto" "Song X"; per queste doti e per l'innato eclettismo si disse che Miles Davis lo volle come "spalla" nell'indimenticabile tour del 1991.

Al di là dell'ottima collaborazione con Brad Mehldau, ora però ci chiediamo dove sia finito "quel" Metheny… Non sappiamo dire quale sia la via migliore da augurare al chitarrista americano, se un deciso ritorno al jazz o se una più convinta sintesi fra rock, fusion, progressive e new age. Il problema è che la traduzione in suono di umori, emozioni, culture diverse, pare sia caduta nel prevedibile e che quell'immediatezza comunicativa che distinse album come "Offramp", "First Circle", "Letter from home", "We live here" o "Secret Story", sia stata superata da regole compositive talora "maestose" quanto deprivate del lato più artistico.

Forse significativa in tal senso "The night becomes you": il percorso emozionale e quello melodico declinano in istintività ed il suo talento indiscutibile sembra finire in un impressionismo sfuggente, tutt'altro che fluido nell'esecuzione. E se talora la sua indiscutibile versatilità rivive nei sussulti jazzistici di "Travelling fast", esposti in modo impeccabile ma non del tutto coinvolgente, la sensazione è comunque quella di trovarsi di fronte ad un'estetica di forte personalità, ad una visione del colore strumentale senz'altro singolare ma pur sempre troppo attento al bel disegno, all'ornamento, alla purezza stilistica ed alla tessitura di improvvisazioni che paiono molto ben "scritte", ma solo "scritte".

Questa osservazione parrebbe essere messa in crisi dall'incipit di "Back Arm & Blackcharge", acida escursione nei passi inebrianti e distonici delle atmosfere già percorse da John Abercrombie, da Fred Frith, da Derek Bailey, da Bill Frisell, e soprattutto da Robert Fripp con i suoi "frippertronics". Sarà un caso ma l'attuale progetto di Metheny ha nome "Orchestrionics", a proposito del quale egli ha recentemente dichiarato: "è un vero salto verso nuovi territori…una nuova direzione concettuale che fonde un'idea della fine del diciannovesimo secolo con le tecnologie di oggi per creare una piattaforma illimitata per l'invenzione musicale e la performance." In pratica, chitarra synth e tanti computers.

Se ne traggano le conclusioni. Resta senza dubbio la certezza che il chitarrista americano troverà modo di stupire ancora; per ora resta un gradevole e tendenzialmente malinconico atteggiamento, che si dice sia anche quello dell'uomo, denotato da una naturale facilità comunicativa che oggi sembra essere il vero segreto del suo successo.

Per inciso la presentazione italiana dell'Orchestrion Tour avverrà il 17 marzo all'Auditorium Parco della Musica di Roma, serata che aspettiamo con grande curiosità ed una certa dose di sano ottimismo.

Fabrizio Ciccarelli per Jazzitalia







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COMMENTI
Inserito il 14/2/2010 alle 9.44.07 da "michelecamarca"
Commento:
Metheny ha dato tanto al jazz e alla chitarra in particolare. E' stato ed è un innovatore. Sarei cauto nel commentare l'attuale suo momento. E' un grande musicista e compositore che - sarà ormai anche un icona del jazz, spazierà tra vari generi - è sempre alla "ricerca", mai appagato.
Non sono un suo fan sfegatato né un jazzofilo assoluto, ma mi bastano le poche note del brano "the night becomes you", che ci regala la Vs rubrica, per apprezzarlo per il suo poliedrico approccio musicale che nobilita la sei corde.
Grazie a Ceccarelli e a Jazzitalia per le informazioni e gli stimoli sempre graditissimi.
Michele Camarca
 

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Data pubblicazione: 13/02/2010

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