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Umbria jazz,
un successo al di là delle più rosee aspettative
di
Marcello Migliosi
400 mila le presenze stimate a Perugia nei dieci giorni di festival, 50 mila
biglietti venduti per i concerti a pagamento ed un incasso di oltre un milione duecentomila
euro, 150 tra fotografi e giornalisti accreditati, con inviati da Stati Uniti, Giappone,
Australia, Gran Bretagna, Francia, Serbia, 300 mila contatti internet e 250 concerti
in cartellone. Sono i numeri della 36/esima edizione di Umbria Jazz, il cui programma
si chiuderà questa sera con il concerto del chitarrista messicano, Carlos Santana.
Nella conferenza stampa conclusiva gli organizzatori (c'era anche il presidente
dell'associazione Umbria Jazz,
Renzo Arbore)
si sono detti soddisfatti, sia del livello medio della musica, sia della vendita
dei biglietti: l'incasso ha eguagliato quello record dell'edizione
2003, però con un numero ancora maggiore di
spettatori. Umbria Jazz ha annunciato un nuovo progetto, molto ambizioso: fare dell'Umbria
il polo di eccellenza in Italia della musica Nera creando il marchio Umbria Black
Music, cui aderiscono, oltre a Umbria Jazz con le edizioni estive (a Perugia)
e invernali (a Orvieto), anche il Narni Black Festival e Trasimeno Blues.
Il primo si svolge in settembre, il secondo comincia tra qualche giorno, entrambi
sono gratuiti. E' un progetto che lascerà la più completa autonomia artistica e
gestionale alle quattro manifestazioni e che intende procedere in modo graduale,
a partire dalla comunicazione comune. Per il futuro sono prevedibili però iniziative
realizzate in coproduzione. Il progetto "Ubm" ha riscosso fin dall'inizio
l'adesione della Regione e dei Comuni interessati. Umbria Jazz però vivrà questa
sera, fuori programma, il suo clou con il concerto di Carlos Santana, per
il quale si annuncia il pubblico delle grandi occasioni, anche più numeroso di quello
che aveva accolto Eric Clapton a inizio festival. Ieri sera, invece, in cartellone
il nuovo quintetto di
Herbie Hancock (con un'inedita formazione che comprende violino
e chitarra elettrica) ed il giovane crooner inglese Jamie Cullum. Nei teatri
si sono esibiti, tra gli altri, il quartetto di Gary Burton con
Pat Metheny,
il quintetto di
Roberto
Gatto dedicato al Miles Davis degli anni Sessanta e l'ensemble di
Enrico
Pieranunzi.
Il "Chitarrista
del Missouri" ad Umbria jazz, in un bagno di folla
di Marcello Migliosi
Al Missouri, la terra che gli ha dato i natali,
Pat Metheny
– uno dei più grandi artisti della nostra epoca – ha dedicato anche un album: "Beyond
the Missouri Sky". Ieri sera, per lui, l'Arena di Santa Giuliana era stracolma
di gente. Il vincitore di ben 17 Grammy alla carriera ha suonato con il suo trio.
Insieme a lui, sul palco, Chris McBride al contrabbasso e Antonio Sanchez
alla batteria. Questa sera sarà special guest del quintetto di
Enrico Rava,
al teatro Morlacchi, e domani ( domenica
16 luglio ndr) del quartetto
di Gary Burton, sempre sul palco dello stesso teatro. Inutile dire che, già
inprevedendita, i biglietti sono esauriti rapidamente. Il concerto del Santa Giuliana
si è riempito delle note del suo ultimo lavoro: "One Quiet Night". E sono
stati i brani di "Last train home", "Song for the boys"…Ce n'è stata
anche di musica elettrica, ma prima una piccola parentesi dove Pat ha usato uno
strumento singolarissimo nel quale convergono diverse tastiere. Paolo Occhiuto scrive
che: "Il chitarrista del Missouri, le padroneggia tutte e ne sfrutta, a meraviglia,
le notevoli possibilità creando sonorità estremamente suggestive". "Questions
and answers"; "Bright size life", "James e Lone Jack", questa
scritta in omaggio a
Ornette
Coleman, insieme a Lyle Mays. Con Coleman,
Pat Metheny
riesce persino a registrare un album: "Song X". Anche in una formazione minimale
come il trio, che dovrebbe rappresentare l'anima più jazz di
Metheny,
la musica non rinuncia alle atmosfere evocative che sono più proprie del
Pat Metheny
Group, ed anche questo ne spiega il successo di pubblico. La piccola band
funziona a meraviglia, perchè McBride, eclettico bassista di Philadelphia,
è un autentico virtuoso del suo strumento e perchè il batterista messicano Antonio
Sanchez, ultimo acquisto del
Pat Metheny
Group e per l'occasione prestato al trio, è straordinario per musicalità,
oltre che per virtuosismo.
Metheny
letteralmente stravede per lui. Oggi Umbria Jazz cambia musica. All'arena va in
scena una serata soul e r&b con il monumentale Solomon Burke e l'inossidabile
James Brown. Per i puristi però, nel pomeriggio, c'è il nuovo quintetto del
chitarrista Bill Frisell .
Katrina
ha rovinato New Orleans, ma non l'orgoglio del blues dei neri d'America
di
Marcello Migliosi
Se l'11 settembre 2001 ha visto un'America
unita, solidale, reattiva. L'uragano Katrina, che ha devastato New Orleans, ha viceversa
diviso, creato sospetti, costretto a rivedere le politiche ambientali, quelle sociali,
e persino l'intervento in Iraq. Lo stesso New York Times scrisse: «George Bush
ha tenuto uno dei peggiori discorsi della sua carriera» e, in quello che «appare
un rituale della sua amministrazione, è arrivato un giorno in ritardo». Chi
non è arrivato in ritardo, invece, è stata Umbria jazz. L'organizzazione di Carlo
Pagnotta – che da subito ha cominciato la raccolta di fondi – ha continuato
anche nell'edizione in corso a Perugia. Ieri sera i concerti di Davell Crawford,
Irma Thomas e The Neville Brothers hanno avuto una dedica comune:
" We love New Orleans".
Il blues, il lamento, quello dei neri della città del Delta è rivissuto a Perugia
con tutto il dolore che i protagonisti hanno potuto raccontare dopo la catastrofe.
Pensate, per un lungo periodo di tempo si è creduto che tra i dispersi ci fosse
anche Irma Thomas. E invece eccola a raccontare anche lei l'anima nera della
musica di protesta afroamericana: il jazz risuona quel miscuglio di soul, blues,
r&b, zydeco, dixieland che è la vera colonna sonora di New Orleans. Katrina ha messo
in ginocchio la città e ha rovinato la vita, in molti casi per sempre, ai suoi musicisti.
In parecchi se ne sono andati, altri faticano a riprendere l'attività normale e
i più si sono cercati un secondo lavoro, sono andati sott'acqua locali e studi di
registrazione. A New Orleans, insomma, si suona poco: un paradosso. Si rischia di
perdere un patrimonio americano ma in realtà universale, e allora la ricostruzione,
ancora molto lenta, dicono, rischia di essere di essere solo la ricostruzione dei
mattoni e del cemento, non della cultura della città. Ieri sera, scrive il critico
Paolo Occhiuto, il concerto nell'arena Santa Giuliana è stato tutto dedicato alla
città che un tempo veniva soprannominata "the Big Easy" e dove oggi tutto
è difficile. Per una serata, un omaggio alla capitale misteriosa dell'America del
voodoo jazz e del blues. Il suono è, con le diverse sfumature, esattamente quello
che è lecito aspettarsi: la Musica Nera più autentica e pura nella sua bizzarra
contaminazione di generi e incroci. Voci che oscillano tra il velluto e il vetriolo,
storie di gente normale (non iI vincenti dell'America opulenta), sax duri ed Hammond
B3, qui e là temi indimenticabili come Strange Fruit (evocazione di Billie
Holiday) o lenti assassini come I've been lovin' you too long, standards
sempreverdi come Time is on my side (che portarono al successo i Rolling
Stones quando avevano 40 anni di meno), canzoni autocelebrative come Louisiana
di Randy Newman. Ma anche racconti improvvisati di cronaca, come fa Crawford
quando ricorda il vento di Katrina che urla e l'acqua che sale sempre più. Momento
clou, l'esibizione dei Nevilles, la famiglia musicale più famosa, con i
Marsalis, di New Orleans. Gente che come band o a titolo individuale si è
portata a casa cinque Grammy. Alle tastiere il patriarca Art, vecchia colonna
dei Meters, ma soprattutto la voce di Aaron, un falsetto angelico
in un fisico da scaricatore di porto. La band canta Fire in the bayou e
Yellow Moon ed è il grande rock confederato, pittoresco piatto unico dai
mille sapori, piccante come la cucina creola e viscerale nel suo aggrapparsi alle
radici. Musica forse ricoperta da un velo di polvere, ma viva. E' la colonna sonora
della New Orleans che non vuole morire, quella alla quale in occasione del grande
festival che vi si è svolto nello scorso aprile-maggio, hanno reso omaggio Bruce
Springsteen, Paul Simon e Bob Dylan...
Chick Corea fa
"rivivere" il genio di Wolfgang Amadeus Mozart ad Umbria Jazz
di Marcello Migliosi
Chi pensa che l'improvvisazione musicale sia prerogativa riservata al
jazz si sbaglia, nel periodo barocco e arrivando fino al romanticismo, i pianisti
si cimentavano molto nel ricamare liberamente sui temi musicali dell'epoca. Se parliamo
di Wolfagang Amadeus Mozart – del quale, quest'anno ricorre il 250 esimo
anniversario della nascita – scopriremo che, per la sua epoca, era un pianista assolutamente
innovativo. Ieri sera Umbria Jazz ha presentato qualche cosa di insolito e di grandioso
allo stesso tempo.
Chick Corea, insieme alla Bayerische Kammerphilarmonie
di 27 elementi e al suo quartetto, ha proposto – su commissione del "Mozart
Jahr Wien" - una rilettura del concerto n° 24 in Do minore K 491 che - spiega
la pianista Cristina Capano - è in assoluto il più "doloroso" del grande
compositore di Salisburgo. Solo due, infatti, dei concerti mozartiani per pianoforte
e orchestra sono in tonalità minore. Corea ha deciso di interpretare il tema ‘'in
the spirit of Mozart'' in modo estensivo, cioè nel segno della creatività e
della libertà di espressione, il suo Piano Concerto non è stato un rifacimento di
temi mozartiani ne' una versione moderna dello stile di Mozart. E' stato un contributo
originale di un artista eclettico che ha tra le sue corde anche un amore per le
forme accademiche. Il concepimento di questo Concerto è stato influenzato dall'esperienza
di aver suonato, già in passato, Mozart in maniera giocosa, gaia, come ha dichiarato
lo stesso autore in occasione della presentazione del suo lavoro. «Mozart
– ha detto Corea - deve essere stato un pianista meraviglioso, sorprendente.
Lo dimostra la linea tracciata dalla sua partitura; le note scorrono come acqua,
le mani sembrano adagiarsi sulle frasi. I suoni, leggiadri, si distaccano dalla
pagina scritta». Da qui il presupposto che ha mosso la performance: non nelle
note, non nella melodia, ma nel feeling del momento è da ricercare la chiave per
l'interpretazione di questo Piano Concerto. Nelle mani di
Chick Corea
convivono, quindi, la tradizione classica e la sensibilità del jazz; non una collisione
di parole, dunque, ma una convergenza celeste, alla cui ricerca egli ha dedicato
gran parte del suo lavoro, gran parte della sua vita. Ieri sera era a Umbria Jazz,
stasera sarà a Caserta e sabato a Palermo. E' un progetto complesso e molto meditato,
che si inserisce in un filone che è stato sperimentato con una certa frequenza in
passato e che si basa sul tentativo di trovare possibili incroci tra il jazz e la
musica classica. In verità gli episodi davvero riusciti sono stati pochi. Per
Chick Corea
non è la prima volta, perché il suo amore per la tradizione accademica ed il virtuosismo
pianistico di cui è titolare lo hanno portato spesso a misurarsi con la composizione
di lavori "colti". "In the spirit of Mozart", scrive il critico musicale
Paolo Occhiuto, è però il tentativo più serio, e non solo, per il prestigio dell'occasione
e del committente.
Corea ha infatti appositamente composto il suo secondo Concerto per
pianoforte e presenta anche la sua versione del Concerto n. 24 di Mozart. All'altezza
del compito sono i mezzi dispiegati: un'orchestra da camera costituita da membri
della Bayerische Kammerphilarmonie ed il quartetto jazz con lo stesso
Corea,
Tim Garland ai sax, Hans Glawischnig al contrabbasso (casualmente,
austriaco) e Marcus Gilmore alla batteria. Il Concerto di
Corea si
intitola The Continents ed è sostanzialmente un inno al pianeta Terra: ogni
movimento è dedicato ad un continente. La scrittura prevede ampi spazi di improvvisazione
per i musicisti jazz, che si muovono con disinvoltura all'interno della partitura
orchestrale. Lo "spirito di Mozart", che è il principio ispiratore del progetto,
va inteso per Corea
nel senso della ricerca di una estrema libertà espressiva, non in una revisione
di temi mozartiani o in una loro traduzione nel linguaggio del jazz. Di autenticamente
mozartiana però c'é l'organico strumentale, che Corea ha voluto il più possibile
vicino a quello usato da Mozart per i suoi Concerti per pianoforte e orchestra.
E ovviamente mozartiano è il Concerto n. 24, in cui Corea dimostra ancora una volta
il suo eclettismo (dal free jazz alla fusion fino alla musica classica) e la bravura
di pianista, anche se la cadenza da lui composta è forse "eccessiva". Le intenzioni
sono sincere e l'impegno notevole, anche se alla fine gli scettici della "confusione"
tra i generi resteranno del loro parere: il progetto mozartiano non aggiunge nulla
al jazzman Chick
Corea, tanto meno a Wolfgang Amadeus Mozart. Per gli ascoltatori
più "laici" si tratta comunque di un lavoro di pregio che cerca di avere una visione
aperta della musica...
Brad e Wayne:
Umbria jazz si concede il "jazz"
di Marcello Migliosi
La serata era di quelle per palati "raffinati", di quelle che forse è
meglio organizzarle in spazi più ristretti rispetto all'Arena di Santa Giuliana.
Il popolo "cultore del jazz" è diventato così numeroso che lo spazio è, oramai,
diventato più che adeguato. Umbria Jazz, ieri sera ( 11
luglio
2006 ndr) si è "concessa del buon vero autetico
jazz". In programma il trio di
Brad Mehldau
e il quartetto di
Wayne Shorter. Il primo aveva con sé Larry Grenadier al contrabbasso
e Jeff Ballard alla batteria, mentre il "guru" del sassofono sul palco era
accompagnato da
John
Patitucci al basso,
Danilo Perez
al piano e dal batterista,
Brian Blade. Il combo del pianista di Jacksonville, in Florida, ha stupito
per forza ed eleganza. Le improvvisazioni del piano, mai banali, hanno fornito spesso
lo spunto per dei passaggi dal jazz al latin, dove emergeva con forza la sezione
ritimica di Ballard e Grenadier. Soprattutto quest'ultimo, avvinghiato
al suo contrabbasso ¾ si è reso protagonista di soli di pregevole fattura. Ricercato
il suono e coerenti i discorsi improvvisativi.
Mehldau,
uno dei musicisti più amati in Italia e in particolare da Umbria Jazz che lo ha
fatto scoprire al grande pubblico una decina di anni fa. "Allora - scrive
il critico Paolo Occhiuto - praticamente sconosciuto, il giovane Brad
suonava in un piccolo club davanti a ottanta persone, ora per lui ci sono I duemila
spettatori dell'arena, ma quella musica, rimasta praticamente la stessa, fa fatica
a riempire un grande spazio e talvolta si rimpiange l'intimità del trio nel suo
ambiente naturale. La scaletta come al solito gioca sui temi prediletti del rock
di oggi o del recente passato, come Oasis e Soundgarden, scivola su ballad come
Secret Love o su classici
jazz come il coltraniano Countdown".
Il trio, ormai a punto con il batterista Jeff Ballard che ha sostituito due
anni fa Jorge Rossy, non delude ma non si avverte quella magia di tante sere
che ha fatto di
Mehldau un artista di culto. O forse è il
Wayne Shorter che lo seguirà sul palco a fissare uno standard contro
cui non si può competere. Sul palco del Santa Giuliana
Brad Mehldau
ha riproposto gran parte dei suoi brani che appartengono ad una ricca discografia.
Il pianista ha al suo attivo 14 dischi come solista di cui due, "House on hill"
e "Love sublime" registrati entrambi nel 2006.
Un cambio palco rapidissimo ed è entrato in scena il guru del sax della musica fusion
e jazz rock:
Wayne Shorter. L'ex leader dei Weather Report sta vivendo un
momento di grande creatività, capace di andare oltre la sua storia e cercare strade
ancora nuove. Musica di pura improvvisazione, la sua, ma tutt'altro che casuale.
Al contrario, coerente e lucidamente costruita da un gruppo stabile da tempo (il
pianista Danilo
Perez, il bassista
John
Patitucci, il batterista
Brian Blade) e abituato a respirare suono sulle tracce del suo leader.
Ieri sera, come ha detto alla fine del concerto
Perez,
la musica è stata inventata sul palco: prima, non c'erano nemmeno i titoli dei "brani"
suonati, tranne che di uno, "Prometeo",
e del resto non c'erano nemmeno temi veri e propri. La musica nasceva in frammenti
che poco a poco si combinavano tra loro e trovavano posto e logica in un clima di
libertà totale. Quella che in fondo resta nel tempo e, nonostante il succedersi
degli stili, la convenzionale struttura del jazz (tema, assoli, tema), nel
Wayne Shorter attuale è messa da parte e sovvertita per entrare in una
dimensione assolutamente originale fatta di interventi, stimoli reciproci, bagliori
di idee che si rincorrono, schegge di suono. Apparentemente frammentaria e frammentata,
è invece una costruzione rigorosa fondata sulla sinergia intellettuale dei musicisti.
E' il jazz moderno come dovrebbe e potrebbe essere e come raramente capita di ascoltare.
Ma il miracolo di
Shorter è forse nel fatto che un jazz così, tormentato, inquieto, tutt'
altro che rassicurante, in definitiva difficile e scomodo, riesca a entrare in profondità
nella sensibilità di chi ascolta. Ieri sera il pubblico si è reso conto di stare
assistendo a un - parola abusata ma in questo caso lecita - autentico evento d'arte
contemporanea.
Caetano Veloso
canta anche Jimmi Fontana
Di Marcello Migliosi
Non ci crederete, ma Caetano Veloso – il magico figlio di Bahia
– il concerto di Umbria jazz l'ha aperto con una rilettura latina de: "Il
mondo" di Jimmi Fontana. Ed è stata subito magia. Preparato armonicamente
fino all'inverosimile sulla chitarra, Veloso ha riproposto anche degli standard
del real book tipo "Body And Soul" e "Stardust",
ovvio il tutto condito con samba e bossanova. Un'ora e venti di concerto dove l'artista
di Santo Amaro da Purificacao ha preso tutti per mano tanto da far dimenticare di
essere nell'immensa Arena di Santa Giuliana, ma nel salotto di casa sua tra pochi
amici. In realtà, davanti a lui, c'erano oltre 5000 persone. Ah, dimenticavamo,
il cantante di Bahia, sul palco, si è presentato insieme alla sua chitarra. Tutti
stregati, ammaliati, da La Violetera
a Cucurrucucu Paloma
a Volver,
Menino do Rio,
Terra,
Voce è Linda e tante altre.
La musica scivola semplice e naturale, per il solo piacere di farla. Il critico
Paolo Occhiuto scrive che: "E' quasi una pausa nel percorso artistico
di un musicista sempre in moto e spesso controvento e che sembra concedersi la possibilità
di esprimersi gioiosamente solo con il suo canto senza pensare ad arrangiamenti,
orchestrazioni, invenzioni. Al termine del suo concerto Caetano Veloso ha
parlato del suo nuovo disco. Un album che è stato appena finito di registrare e
che sarà composto da dodici canzoni – tutte inedite – e nel quale sarà presente
anche una collaborazione italiana, quella di Ennio Morricone". A Perugia
è venuto tante volte (la prima, nel 1993) e
vi ha portato praticamente tutti i suoi più recenti progetti. Ieri, prima data del
breve tour italiano (domani sera sarà all'anfiteatro di Ostia antica) il cantautore
di Bahia si è presentato con la formula più minimale possibile. C'è stato spazio
anche per parlare di calcio, del Brasile che è andato male e dell'Italia. Veloso
ha detto che dovrà riportare in Brasile almeno le maglie azzurre con i nomi
di Cannavaro, Camoranesi, Pirlo e Totti. Dopo l'ultimo
brano, una pausa per il cambio palco ed è arrivato il momento di Sergio Mendes.
E' un concerto atteso, perché Mendes sta vivendo l'ennesima giovinezza artistica
dopo aver dato alle stampe il cd
Timeless, in cui ha fatto
una operazione semplice e ad effetto: mescolare la tradizione più classica del Brasile,
samba e bossa nova, con le nervose frenesie ritmiche dell' hip hop. Complici i
Black Eyed Peas, Erikah Badou e altri divi dello show business contemporaneo,
che hanno collaborato a Timeless, Mendes ha sbancato il mercato e
ha riportato il suo nome nella hit parade. Il concerto perugino, in piazza e a ingresso
gratuito, si protrae fino all'una e si conclude con l'attesa
Mas Que Nada, la bella
canzone di Jorge Ben che Mendes trasforma in una rovente atmosfera
disco. Ma prima c'è stato spazio per
Pais Tropical,
Que sera (la canzone di
Chico Barque di cui anche Fiorella Mannoia ha dato una magnifica versione)
e altri classici carioca. Piazza in festa, con la sola delusione di non aver potuto
vedere sul palco Jovanotti. Come era stato svelato nei giorni scorsi,
Jovanotti è partito da Foligno alla fine del suo concerto - anteprima del tour
ma non ha fatto in tempo ad arrivare a Perugia per cantare con Mendes...
Pino Daniele
e il suo blues ad Umbria jazz
di Marcello Migliosi
"Je so' pazzo", "Napule
è", "Yes I know my way",
"A me me piace o blues"
e fino a "Iguana cafè",
l'Arena di Santa Giuliana ad Umbria jazz ha festeggiato I campioni del mondo di
calcio dell'Italia, con un concerto magistrale di Pino Daniele. Si ha la
sensazione che l'artista napoletano come strumentista cresca continuamente. Ce lo
ricordiamo tanti anni fa quando arrivava in Umbria con dei musicisti del calibro
di Steve Gadd, oggi Pino sulla chitarra è irriconoscibile. Mentre prima era
solo un buon cantante di blues napoletano, ora è uno strumentista al passo coi tempi.
Sono passati tanti anni da quando Pino si è imposto sul panorama musicale italiano,
lanciando un modo di suonare e cantare assolutamente personale. I suoi brani sono
una miscellanea di stili. Sono la fusione di jazz, rock, funky e soprattutto blues.
Ovvio, il tutto condito con i colori del Mediterraneo e della sua Napoli. Qualche
brano – a dire il vero – ha delle lievi sfumature mediorientali e se è vero che
di world music s'è parlato troppo e qualche volta anche in modo improprio, il termine,
per Pino Daniele torna ad essere pregno di significato. C'è di che essere
orgogliosi di avere in Italia un musicista di questo calibro. Al suo attivo ha concerti
e collaborazioni estere con: Bob Marley e Bob Dylan; ha suonato a Cuba e al Madison
Square Garden. Senza poi tenere conto delle colonne sonore scritte per i film dell'indimenticabile
Massimo Troisi: "Ricomincio da tre", "Le vie del Signore sono finite" e "Pensavo
fosse amore e invece era un calesse". La sua Napoli, che lui non ha mai tradito,
l'ama. E l'ama a tal punto che nel 2004, in un concerto in piazza del Plebiscito
c'erano oltre 200 mila persone. Con lui, ad Umbria jazz, una formula minimale e
quasi acustica, oltre alla sua chitarra, il basso di Alfredo Paixao, le percussioni
di Mariano Barba e il pianoforte di Gianluca Podio. "Le canzoni
di questa sera – ha detto Pino Daniele – sono tutte parti di una storia".
L'artista napoletano ha saputo creare, nell'immenso spazio dell'Arena, un'atmosfera
quasi da club. Il popolo dell'Arena in delirio al momento de: "A me me piace
o blues", ma anche sui brani come "Resta
cummè" e "Quanno chiove".
Quello di Pino Daniele è stato il quinto concerto, in tre giorni, all'Arena
di Santa Giuliana, prima di lui: Edmar Castaneda, Diana Krall,
Robert Cray e il grande bluesman, Eric Clapton. Stasera sarà la volta
del Brasile, on stage: Caetano Veloso e chitarra. Un concerto già visto e
sentito, diranno in tanti, ma Veloso – così ci ha abituati – non annoia mai.
Edmar Castaneda,
Diana Krall e "Slowhand", Umbria Jazz 2006 ha acceso i riflettori
di Marcello Migliosi
L'avevamo sentito a New York City, dove vive pur essendo colombiano, e
ci aveva impressionati, ma a Perugia
– nel concerto inaugurale di Umbria jazz – Edmar Castaneda ha dato il meglio
di se'. Uno strumento, l'arpa, che dovrebbe essere estraneo al mondo del jazz e
invece con Castaneda diventa protagonista. Il giovane artista colombiano
ha snocciolato una padronanza dello strumento stupefacente, da vero virtuoso, ma
soprattutto la capacità di suonare jazz e addirittura di fare swing, senza il quale,
come diceva Duke Ellington, il jazz non significa nulla. Nella sua musica è operata
un'interessante sintesi di musica popolare colombiana e tradizione afro-americana.
Dopo Castaneda è stata la volta di Diana Krall. La signora "Costello"
ha dimostrato di essere in ottima forma come vocalist. Un passaggio, l'artista canadese
l'ha fatto un po' su tutti I suoi album: When I Look In Your Eyes, The
Look Of Love, Love Scenes, Christmas Songs…Se è apparsa in forma
come cantante, non altrettanto si può, invece, dire del suo valore come pianista.
Diana Krall dà il meglio di sé nelle ballad, ma quando c'è da spingere nello
swing le sue improvvisazioni appaiono scontate e prive dell'apporto della mano sinistra.
Inutile dire, invece, che il suo gruppo ha fatto toccare il cielo agli amanti del
jazz e della improvvisazione. Poi ieri sera – 8 luglio ndr – sul palco dell'arena
del Santa Giuliana è salito "Slowhand", al secolo Eric Clapton: lui
e la sua Fender. Sulla ribalta quarant'anni di carriera davanti ad oltre settemila
spettatori: tutti in piedi! Alle sue spalle un gruppo solido, compatto e perfettamente
compiuto in cui spiccano il tastierista Chris Stainton e altri due chitarristi
bravi e di stretta osservanza claptoniana. In due occasioni si è aggiunto anche
Robert Cray (lo stesso Cray apre con la sua band il concerto in questo tour).
Tre chitarre, oltre Slowhand, sul paco, ma è il suono di Eric Clapton,
inconfondibile ed immutato dalla prima metà degli anni Sessanta, ancora prima che
nascessero I Cream ad imperversare, in ricordo della beat generation inglese, quando
sui muri di Londra si leggeva "Eric Clapton is God", e tutti volevano suonare
la chitarra e tutti volevano suonarla come lui. Sì è vero il passato è passato e
lui, Eric, propone anche il materiale di Back Home, l'ultimo cd e, come in
ogni concerto, il meglio – per dirla come il critico Paolo Occhiuto – arriva in
ultimo. A quel punto parte una micidiale sequenza di temi memorabili. Una rocambolesca
e frenetica After midnight
alla fine frena e introduce la lenta
Queen of spades, poi
Let it rain (dei tempi
di Delaney & Bonnie), che porta a
Wonderful tonight, sempreverde
magnifica dichiarazione d'amore. Un boato accoglie
Layla, una delle più perfette
rock songs mai scritte, e Cocaine,
per finire con il bis di Crossroads,
e si chiude quindi ancora con il blues di Robert Johnson. Archiviato Clapton,
Umbria Jazz continua con le chitarre. Prima di Carlos Santana, che chiuderà
il festival il 17 luglio,
ci saranno, sul versante jazz o crossover, Pat Metheny, John Scofield
e Bill Frisell...
27/08/2011 | Umbria Jazz 2011: "I jazzisti italiani hanno reso omaggio alla celebrazione dei 150 anni dall'Unità di Italia eseguendo e reinterpretando l'Inno di Mameli che a seconda dei musicisti è stato reso malinconico e intenso, inconsueto, giocoso, dissacrante, swingante con armonizzazione libera, in "crescendo" drammatico, in forma iniziale d'intensa "ballad", in fascinosa progressione dinamica da "sospesa" a frenetica e swingante, jazzistico allo stato puro, destrutturato...Speriamo che questi "Inni nazionali in Jazz" siano pubblicati e non rimangano celati perchè vale davvero la pena ascoltarli e riascoltarli." (di Daniela Floris, foto di Daniela Crevena) |
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Data pubblicazione: 23/07/2006
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